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La rilevanza delle illegittimità delle procedure di autorizzazione o di accesso agli incentivi nei reati presupposto del D. Lgs. n. 231/2001

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Ultimo aggiornamento del 01.12.2020 | Tempo di lettura ca. 7 minuti

Il sistema della responsabilità amministrativa degli enti, di cui al decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231 (di seguito il “Decreto 231”) si basa sul verificarsi di fattispecie complesse dove la norma sanzionatoria – applicabile all’ente che si sia avvantaggiato di un reato commesso da persone fisiche – individua il proprio perimetro di applicazione in virtù di un doppio rimando. 


Com’è noto, infatti, il Decreto 231 elenca una serie di reati (cosiddetti “reati presupposto”) al verificarsi dei quali (e degli altri presupposti previsti dal Decreto 231) sono applicate le sanzioni amministrative ivi previste. I reati presupposto, a loro volta, sono individuati tramite fattispecie che descrivono le condotte degli agenti. Pertanto, l’applicazione delle sanzioni del Decreto 231 è subordinata all’accertamento che la fattispecie di volta in volta contemplata nel reato presupposto si sia effettivamente verificata.

Quanto sopra assume rilievo in ordine alle potenziali conseguenze che, in materia di impianti alimentati da fonti di energia rinnovabile (di seguito “Impianti FER”), possono derivare dalla circostanza che, nel corso della procedura di ammissione a meccanismi di incentivazione a carico delle finanze pubbliche, venga presentato un titolo autorizzativo illegittimo e/o una falsa rappresentazione delle caratteristiche tecniche e giuridiche degli Impianti FER da incentivare.

Infatti, è ormai notizia di dominio pubblico che diverse procure della Repubblica abbiano avviato procedimenti penali, ipotizzando il reato di cui all’art. 316-ter c.p. (indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato), nei casi di cosiddetto “artato frazionamento” di Impianti FER, ossia la scomposizione di un unico progetto in impianti di taglia minore, frutto comunque di un’unica iniziativa imprenditoriale, senza alcuna ragione apparente oltre a quella di beneficiare di una procedura di autorizzazione semplificata o di una tariffa incentivante di valore assoluto maggiore rispetto a quella cui avrebbe diritto l’impianto unitariamente considerato. Secondo gli inquirenti, la condotta consisterebbe nel presentare titoli autorizzativi non idonei, celandone l’illegittimità al Gestore dei Servizi Energetici – GSE S.p.a. (di seguito il “GSE”), e/o rendendo dichiarazioni false in modo da dissimulare l’unicità dell’iniziativa imprenditoriale.

Poiché l’art. 316 ter c.p. è appunto uno dei reati presupposto contemplati dal Decreto n. 231, è evidente come la correttezza delle procedure di autorizzazione degli Impianti FER assuma un ruolo centrale per l’eventuale applicazione delle sanzioni previste in tale ipotesi dal Decreto n. 231.

Il quadro normativo delle autorizzazioni degli Impianti FER

Com’è noto, il quadro normativo nazionale (art. 4, commi 3 e 4 Decreto legislativo 29 dicembre 2003, n. 387; art. 5 Decreto legislativo 3 marzo 2011, n. 28) prevede che gli impianti alimentati da fonti di energia rinnovabile siano autorizzati – in via ordinaria – tramite la procedura di autorizzazione unica a cura delle Regioni o – se delegate da queste ultime – delle Province, all’esito di un’istruttoria svolta secondo il modulo procedimentale della conferenza dei servizi. Si tratta di un procedimento articolato che coinvolge tutte le amministrazioni in ipotesi titolate ad esprimere un nulla osta o parere sul progetto e che, a sua volta, deve attendere l’esito dell’eventuale procedura di autorizzazione ambientale – quali l’assoggettabilità e la verifica di impatto ambientale – ove richiesto dalle caratteristiche del progetto o dei luoghi coinvolti dalla realizzazione del progetto.

A tal fine, le norme nazionali e regionali hanno previsto e prevedono tutt’ora procedure semplificate per gli impianti di piccola taglia – in genere tra i 20 kW e 1 MW – consistenti nel deposito, presso il comune territorialmente competente, di una dichiarazione asseverata di compatibilità del progetto con l’assetto territoriale e della relativa documentazione tecnica a supporto. Tali procedure semplificate consentono di avviare i lavori al termine di un periodo di 30 giorni per lo svolgimento da parte del comune di eventuali verifiche sulla veridicità e correttezza della dichiarazione.

Artato frazionamento e autorizzazioni

L’incertezza sui tempi per il conseguimento delle autorizzazioni uniche – che in alcune Regioni ha dato luogo a procedure durate più di tre anni – ha orientato molti degli sviluppatori ad abbandonare i progetti di taglia maggiore, in favore di quelli che potevano rientrare nelle procedure semplificate e che, pertanto, potevano essere autorizzati in tempi ragionevoli e certi. In alcuni casi, si è assistito alla concentrazione di numerosi progetti di piccola taglia nella medesima area agricola, facendo sorgere sospetti – sia presso le pubbliche amministrazioni che presso le Procure competenti – che si fosse di fronte a situazioni di artato frazionamento. Secondo la giurisprudenza, infatti, sebbene manchi in materia di autorizzazioni una norma espressa, la previsione di procedure differenti in base alla taglia degli impianti implica la sussistenza di un principio generale di divieto di artato frazionamento (cfr. tra le più recenti Cons. Stato, Sez. IV, ord. 4102/2020). Pertanto, il titolo autorizzativo conseguito all’esito di una procedura semplificata tramite un artato frazionamento è illegittimo e può essere annullato in via di autotutela dalla pubblica amministrazione competente. A tal fine, la giurisprudenza ha elaborato una serie di indici che possono riassumersi come segue:
  • presenza di più progetti nella medesima area (di solito nel raggio di 500 metri);
  • riferibilità ad un unico centro di interessi dei singoli progetti;
  • proprietà dei terreni coinvolti dai progetti in capo ai medesimi soggetti o frazionamento catastale in favore di ditte diverse avvenuto di recente (di solito nell’ultimo biennio);
  • svolgimento in parallelo delle procedure di autorizzazione dei singoli impianti;
  • avvalimento dei medesimi professionisti (progettisti, notai, ecc…), fornitori e operatori economici per le fasi di sviluppo, realizzazione e gestione dei singoli impianti;
  • identità delle opere di connessione dei singoli impianti alla rete elettrica.

La lista ha un valore puramente indicativo e non è necessario che siano presenti tutti gli indici sopra riportati, in quanto è compito del giudice del caso concreto valorizzare le circostanze che possano indurre a ritenere la sussistenza di un artato frazionamento.

Inoltre, se è vero – da un lato – che l’art. 21-nonies della Legge n. 241/1990 stabilisce che il provvedimento illegittimo possa essere annullato entro un termine ragionevole comunque non superiore a 18 mesi –  dall’altro lato – il medesimo art. 21-nonies dispone che tale termine non si applica nel caso in cui il titolo autorizzativo sia stato ottenuto tramite condotte costituenti reato accertate con sentenza passata in giudicato. Ciò comporta, specialmente nel caso di procedure semplificate consistenti nel deposito di una dichiarazione asseverata e prive di una fase istruttoria svolta dalla pubblica amministrazione, che il termine di 18 mesi non sia applicabile.

Artato frazionamento e incentivi

Con riferimento, invece, alle tariffe incentivanti, quasi tutti i meccanismi dispiegati in favore di impianti alimentati da fonti di energia rinnovabile hanno previsto procedure di accesso differenziate (accesso diretto, iscrizione a registro e aste) in base alla potenza nominale degli impianti, disponendo che gli impianti di taglia minore potessero avere accesso diretto e riservando le procedure concorsuali per gli impianti di taglia maggiore. Inoltre detti meccanismi hanno previsto tariffe differenziate in ragione inversamente proporzionale alla potenza nominale degli impianti, secondo il principio dell’equa remunerazione dell’investimento. 

Pertanto, anche in questo caso, la prospettiva di procedure di accesso semplificato e di tariffe più remunerative hanno indotto a privilegiare, in sede di sviluppo e di autorizzazione, impianti di taglia più piccola. A ciò si aggiunge il fatto che – come visto sopra – gli impianti di taglia minore beneficiavano di procedure di autorizzazione, pertanto rendendo ancora più appetibile sviluppare impianti di piccola taglia e il rischio di casi in cui gli impianti siano stati oggetto di artato frazionamento.

Tuttavia la corretta informazione circa le reali caratteristiche degli Impianti FER in sede di incentivazione assume una valenza cruciale, in quanto l’erogazione degli incentivi si fonda su risorse scarse che impongono l’attuazione di procedure comparative e di massa. Pertanto, secondo la giurisprudenza rilevante (cfr. da ultimo Cons. Stato, Sez. IV, sent. n. 4840/2020), si configurano in capo al singolo richiedente la tariffa incentivante obblighi di correttezza, specificati con il richiamo alla clausola generale della buona fede, della solidarietà e dell’autoresponsabilità, che rinvengono il loro fondamento sostanziale negli artt. 2 e 97 Cost. e che impongono che questi sia chiamato ad assolvere oneri di cooperazione, quale appunto è il dovere di fornire informazioni non reticenti e complete, di compilare moduli, di presentare la prescritta documentazione, ecc. Ne consegue che il mancato assolvimento agli oneri di buona fede, per come sopra sinteticamente illustrati, può comportare l’illegittimità del riconoscimento delle tariffe incentivanti.
A tal fine, l’artato frazionamento può dare luogo a due possibili conseguenze. Anzitutto, i meccanismi di incentivazione – come accennato sopra – prevedono che la tariffa incentivante sia calcolata in base ad intervalli di potenza nominale, con tariffe minori all’aumentare della potenza. Pertanto, ove il GSE accerti un artato frazionamento tra più impianti, provvederà al ricalcolo della tariffa sulla base del nuovo intervallo di potenza di riferimento, costituito dalla somma delle potenze dei singoli impianti.

In secondo luogo, l’illegittimità del titolo autorizzativo a causa di un artato frazionamento può far venire meno la sussistenza del requisito di ammissione al meccanismo di incentivazione. Ciò comporterebbe l’integrale decadenza dalle tariffe incentivante.

Sia in caso di ricalcolo che nel caso di decadenza integrale, sorge in capo al soggetto responsabile l’obbligo di restituire le somme illegittimamente erogate. 

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