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Introduzione dei reati tributari fra i reati presupposto ai fini della responsabilità 231 e implicazioni del decreto P.I.F. con riferimento specifico alle società operanti nel settore delle energie rinnovabili

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Ultimo aggiornamento del 01.12.2020 | Tempo di lettura ca. 6 minuti

Il D.L. 124/2019 convertito con modificazioni dalla L. 19 dicembre 2019, n. 157 ha esteso la responsabilità 231 anche nell’ambito penal-tributario, ampliando il novero dei reati presupposto, ricomprendendo i seguenti illeciti tributari in materia di IRES ed IVA:

  • la dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art.2)
  • la dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici (art.3)
  • l’emissione di fatture false o altri documenti per operazioni inesistenti 
  • l’occultamento o distruzione di documenti contabili (art. 10)
  • la sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte (art.11)

Successivamente, il D.L. 75/2020 (c.d. “Decreto P.I.F.”), pubblicato in Gazzetta Ufficiale in data 15 Luglio 2020, ha data attuazione alla direttiva (UE) 2017/1371, nota come “direttiva PIF”, recante norme per la “lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione mediante il diritti penale”.

L’obiettivo primario della direttiva P.I.F., la quale ha sostituito le precedenti convenzioni di disciplina della materia (in particolare la Convenzione del 26 luglio 1995 nota anche come “convenzione PIF”), è quello di proseguire nel percorso di armonizzazione del diritto penale degli Stati membri UE completando, per i tipi di condotte fraudolente più gravi, la tutela degli interessi finanziari dell’Unione, già offerta dai singoli ordinamenti nazionali. 

Ulteriore obiettivo cardine della direttiva P.I.F. è rappresentato dall’introduzione all’interno dei sistemi penali degli Stati membri di forme di responsabilità giuridica a carico degli Enti (nel nostro ordinamento come noto per il tramite del D.lgs. 8 giugno 2001, n. 231) con riferimento alle ipotesi di reato più gravi contro il sistema comune dell’IVA. Tale obiettivo viene realizzato agganciando il concetto di “gravità” del comportamento fraudolento di natura fiscale, al carattere transfrontaliero delle condotte illecite ed all’elevato ammontare del pregiudizio arrecato agli interessi finanziari dell’UE (fissato in un importo complessivo pari ad almeno dieci milioni di euro).  

Il Decreto P.I.F. dunque ha introdotto rilevanti innovazioni rispetto al preesistente impianto normativo in materia, in particolare:
  • ha ampliato il catalogo dei reati tributari per i quali è prevista la responsabilità della società includendovi, ora, anche i delitti di: 1) dichiarazione infedele, 2) di omessa dichiarazione e 3) di indebita compensazione, sempre che siano commessi nell’ambito di “sistemi fraudolenti transfrontalieri” ed al fine di evadere l’IVA in base ad un importo complessivo non inferiore a 10 milioni di Euro
  • ha introdotto la ipotesi di delitto “tentato” e non solo consumato con riferimento ai reati di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture false, frode fiscale mediante altri artifici e infedele dichiarazione, sempre che gli atti diretti a commettere tali delitti siano compiuti anche nel territorio di un altro Stato membro Ue (transnazionalità), e se l’IVA evasa è superiore a 10 milioni di euro (ammontare minimo)
  • ha esteso il regime della responsabilità degli enti anche al delitto di frode nelle pubbliche forniture, al reato di frode in agricoltura ed al reato di contrabbando
  • ha ampliato il panorama dei delitti contro la PA includendo il delitto di peculato, peculato con errore altrui e abuso di ufficio, quando il fatto offende gli interessi finanziari dell’Unione europea. 
  • infine il decreto P.I.F. è intervenuto su alcune fattispecie di corruzione, estendendo la responsabilità degli enti anche ai casi in cui siano sottratti denaro o utilità al bilancio dell’Unione o ad altri suoi organismi.

Implicazioni delle novità normative con riferimento ai reati tributari rilavanti ai fini della L.231 per le società energetiche 

Alla luce di quanto descritto sopra, appare evidente che l’impianto complessivamente offerto dalla riforma rimarca la tendenza generale del legislatore italiano a ricomprendere crescenti ipotesi di reati tributari fra i presupposti della responsabilità di società ed enti ai sensi del D.lgs. 231/2001 ed in particolare gli aggiornamenti sopradescritti rientrano nell’ambito dell’accresciuta attenzione rivolta dalle istituzioni internazionali alla modalità con cui le imprese gestiscono la propria variabile fiscale.

Con specifica attenzione alle società operanti nel mondo delle rinnovabili, rileva la centralità del requisito della transnazionalità, per esempio, nell’ambito della nuova ipotesi di tentativo di commissione del delitto specifico e nell’ulteriore ampliamento del catalogo di reati fiscali; in tale contesto la riformata normativa relativa alla responsabilità degli enti dunque interessa in particolar modo i Gruppi energetici multinazionali, i quali sono spesso strutturati tramite holding o subholding a livello italiano e/o tramite ramificazioni di società di scopo italiane dedite alle varie attività di produzione di energia.  

Pertanto, le società energetiche, sia con riferimento agli ordinari reati presupposto stabiliti dal D.Lgs 231/2001, ma anche all’ampliamento degli stessi a seguito del Decreto P.I.F., dovranno fare particolare attenzione ai regimi fiscali tipici previsti dalla normativa vigente, implementando controlli e procedure ad hoc al fine di cristallizzare comportamenti che evitino condotte fraudolente le quali possano comportare una responsabilità in capo agli enti stessi.  

In particolare, le società energetiche dovranno a titolo esemplificativo tenere sotto controllo i processi di gestione delle fatture attive e passive relative ad acquisti infra-comunitari di importo elevato (come quelli relativi allo sviluppo di progetti energetici internazionali), la gestione di eventuale ribaltamento di costi verso o da consociate non residenti, le politiche di Transfer pricing, il trattamento fiscale relativo ai flussi di denaro cross-border tipici dei gruppi transnazionali che pagano interessi a fronte di finanziamenti intercompany a casamadre estera o che distribuiscono dividendi a soci non residenti (in termini di corretta dichiarazione, predisposizione di modelli di esenzione o di applicazione di regimi convenzionali da presentare alla agenzia delle entrate competente, e corretta tassazione degli stessi), gli aspetti dichiarativi relativi ad esempio al regime agevolativo c.d. “Tremonti ambiente”, previsto dall’ art. 6 co. da 13 a 19 della  Legge 388/2000, il quale ha introdotto la detassazione a fronte di investimenti ambientali delle piccole-medie imprese o altri regimi agevolativi specifici, e così via. I controlli posti in essere dalla società energetiche dovranno anche tenere in considerazione la caratteristica relativa al fatto di utilizzare normalmente consulenti fiscali esterni all’ente, in modo di evidenziare i possibili relativi comportamenti a rischio e coprirli.

Conclusioni

Pertanto, per le società che ad oggi non abbiano ancora adeguato il proprio Modello 231 alle recenti modifiche già in vigore, risulterà senz’altro conveniente affrontare l’ingresso dei reati tributari nel mondo della responsabilità 231 degli enti in modo organico e complessivo.

Questo anche per evitare possibili sanzioni applicabili in caso di reati commessi dai dipendenti dell’ente sprovvisto di Modello 231, che possono consistere in sanzioni di natura pecuniaria (da Euro 25.800,00 ad Euro 1.549.000,00) secondo il meccanismo delle quote previsto dall’art. 10 del D.lgs 231/2001 ed in base ai minimi e massimi previsti per ciascun reato, nella confisca, nella pubblicazione della sentenza di condanna e, soprattutto in sanzioni interdittive (quali l’interdizione dell’esercizio dell’attività, la sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell’illecito, il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio, l’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l’eventuale revoca di quelli già concessi, il divieto di pubblicizzare beni o servizi).    

Alla luce di quanto sopra, anche per le società c.d. energy, al fine di adeguare i propri modelli 231, ove non vi abbiano già provveduto, risultano fondamentali i seguenti passaggi interconnessi fra loro:
  • l’analisi della storia fiscale della società e la ricognizione di eventuali modelli di compliance già esistenti
  • la mappatura di processi e attività sensibili a rischio di commissione dei nuovi reati
  • le analisi, valutazioni e lo sviluppo del Sistema di Controllo Interno
  • l’aggiornamento finale del Modello Organizzativo 231 ed attuazione dello stesso. 

A seconda dei casi dunque, deve essere anche valutata la necessità di definire un sistema di tax compliance “di gruppo” e delle regole che consentano di gestire in modo rigoroso le valutazioni fiscali le quali riguardano sia le società di scopo, sia le società terze da cui le medesime sono controllate così come le società che ne esercitano il controllo o tra le quali intercorrono rapporti infragruppo di qualsiasi natura.

Infine, va regolato il corretto flusso di informazioni tra compliance officer, responsabili delle funzioni finanza e controllo e organismo di vigilanza, a cui deve essere demandato lo svolgimento di funzioni di controllo anche con riferimento alla corretta applicazione delle procedure dedicate alla prevenzione dei reati tributari.

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