Utilizziamo cookie tecnici per personalizzare il sito web e offrire all’utente un servizio di maggior valore. Chiudendo il banner e continuando con la navigazione verranno installati nel Suo dispositivo i cookie tecnici necessari ai fini della navigazione nel Sito. L’installazione dei cookie tecnici non richiede alcun consenso da parte Sua. Ulteriori informazioni sono contenute nella nostra Cookie Policy.



Licenziamenti illegittimi nelle piccole imprese: la Consulta abbatte il tetto delle sei mensilità

PrintMailRate-it

​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​Ultimo aggiornamento del 30.07.2025 | Tempo di lettura ca. 4 minuti

Con la recente sentenza n. 118 del 2025, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 9, comma 1, del D. Lgs. n. 23/2015, nella parte in cui prevede che l’indennità spettante al lavoratore licenziato illegittimamente da un datore di lavoro che non raggiunge i requisiti dimensionali di cui all’art. 18 dello Statuto dei lavoratori “non può in ogni caso superare il limite di sei mensilità”.

La pronuncia rappresenta un ulteriore intervento demolitorio sull’architettura normativa introdotta dal Jobs Act, in particolare sul regime speciale applicabile ai rapporti di lavoro instaurati presso le cosiddette “piccole imprese”, segnando – nel prevedere indennizzi potenzialmente triplicati rispetto al precedente massimale – un’evoluzione significativa nella disciplina sanzionatoria del licenziamento illegittimo, anche per i licenziamenti a cui si applicherebbe la tutela prevista dalla Legge n. 604/1966, ovvero ai lavoratori assunti antecedentemente al 7 Marzo 2015. 

Il caso da cui prende avvio la pronuncia​

La questione di legittimità costituzionale è stata sollevata dal Tribunale di Livorno, investito di un giudizio relativo all’indennità dovuta in conseguenza di un licenziamento, privo di giustificazione, intimato ad un dipendente assunto da una piccola impresa dopo il 7 Marzo 2015. Il Giudice rimettente ha contestato la compatibilità costituzionale della previsione di un tetto massimo rigido (sei mensilità) per le imprese sotto la soglia dei quindici dipendenti, ritenendolo irragionevole e discriminatorio rispetto al trattamento riservato ai lavoratori impiegati presso aziende di maggiori dimensioni, per i quali l’indennizzo può arrivare fino a trentasei mensilità.

Tale disciplina, oltre a introdurre una disparità difficilmente giustificabile alla luce dei principi di eguaglianza e ragionevolezza (art. 3 Cost.), secondo il Giudice a quo, si risolverebbe in una tutela meramente simbolica e standardizzata, spesso di carattere forfetario e svincolata da una reale considerazione del pregiudizio effettivamente subito.

La decisione della Corte Costituzionale​

Nel dichiarare l’illegittimità costituzionale della disposizione censurata, la Corte si è mossa dalla considerazione che, pur essendo nella discrezionalità del legislatore scegliere il modello di tutela applicabile – indennitaria anziché reintegratoria – questa deve comunque essere conforme ai canoni di effettività, adeguatezza e ragionevolezza. 

La previsione di un limite massimo fisso e invalicabile, anche nei casi di più marcata illegittimità del recesso, impedisce invece al Giudice di modulare l’indennità in relazione alla specificità della situazione concreta, in contrasto con quanto già affermato nella sentenza n. 194 del 2018. La Corte ha, infatti, ricordato che il danno derivante da un licenziamento ingiustificato non è suscettibile di quantificazione rigida e uniforme, ma richiede una valutazione che rispecchi ‘la specificità del caso concreto e quindi la vasta gamma di variabili che vedono direttamente implicata la persona del lavoratore’ (tra cui, l’anzianità di servizio, la condotta delle parti, il contesto occupazionale).

Non è stato, dall’altro lato, censurato il meccanismo del dimezzamento dell’indennità, previsto per le imprese di minori dimensioni. 

A essere dichiarato costituzionalmente illegittimo è, dunque, esclusivamente il limite invalicabile delle sei mensilità, in ragione del fatto che, l’esiguità dell’intervallo tra l’importo minimo e quello massimo – da tre a sei mensilità – ‘vanifica l’esigenza di adeguarne l’importo alla specificità di ogni singola vicenda, nella prospettiva di un congruo ristoro e di un’efficace deterrenza’. 

Conseguenze della pronuncia e prospettive future​

La conseguenza immediata della dichiarazione di incostituzionalità è la caducazione della parte della norma censurata, che non potrà più essere applicata, nemmeno nei giudizi in corso. Ne deriva che, per i rapporti di lavoro disciplinati dal D. Lgs. n. 23/2015 (ovvero quelli instaurati successivamente al 7 Marzo 2015) e instaurati con datori di lavoro non soggetti al limite dimensionale di cui all’art. 18 St. Lav., il Giudice potrà determinare l’indennità risarcitoria senza essere vincolato al tetto delle sei mensilità, pur restando fermo il criterio del dimezzamento (minimo 3 mensilità massimo 18 mensilità) rispetto al regime ordinario previsto per le imprese di maggiori dimensioni.

Si apre, dunque, uno spazio significativo di discrezionalità giudiziale, entro i limiti minimi e massimi previsti dalla disciplina generale, con la possibilità di riconoscere importi anche sensibilmente superiori rispetto a quelli finora liquidati in casi analoghi.

La Corte Costituzionale non ha, tuttavia, omesso di sottolineare la necessità di un intervento legislativo volto a riformulare organicamente la disciplina delle tutele nei licenziamenti illegittimi, superando un modello ormai anacronistico che distingue le imprese esclusivamente in base alla soglia dimensionale. In tal senso, si auspica l’introduzione di parametri ulteriori rispetto al solo numero dei dipendenti – come il fatturato o il bilancio – già valorizzati dalla normativa europea.

La sentenza in parola si colloca nel solco di un progressivo ripensamento dell’intero impianto del Jobs Act, contribuendo a un rafforzamento delle garanzie riconosciute ai lavoratori anche nel segmento delle piccole imprese. ​​​​​​​​

Resta tuttavia aperta la questione relativa alla disciplina applicabile ai rapporti anteriori al 7 Marzo 2015, per i quali continua a operare l’art. 8 della Legge n. 604/1966, che prevede un meccanismo molto simile a quello ora dichiarato incostituzionale. L’assenza di un’espressa presa di posizione su questo punto rischia di generare disallineamenti e incoerenze, che potrebbero essere oggetto di future iniziative giurisprudenziali o – come si augura la Corte Costituzionale stessa – legislative.​

dalla newsletter

Legal Newsletter​​​​​​​

autore

Contact Person Picture

Rita Santaniello

Avvocato

Partner

+39 02 6328 841

Invia richiesta

Profilo

Contact Person Picture

Massimo Riva

Avvocato

Associate Partner

+39 02 6328 841

Invia richiesta

Profilo

Contact Person Picture

Carlotta Caminati

Avvocato

Associate

+39 02 6328 841

Invia richiesta

Profilo

i nostri servizi

Skip Ribbon Commands
Skip to main content
Deutschland Weltweit Search Menu