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Emergenze climatiche: buone pratiche e linee di indirizzo per la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori

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​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​Ultimo aggiornamento del 17.07.2025 | Tempo di lettura ca. 5 minuti​

L’inesorabile cambiamento del clima ha innescato un vivace dibattito relativo ai potenziali pericoli per la salute e la sicurezza dei lavoratori, causati dell’intensificarsi di eventi metereologici estremi.


Le principali misure di hard e soft law

Le conseguenze, spesso tragiche, dell’esposizione dei lavoratori a condizioni ambientali critiche hanno suscitato numerosi interventi normativi, che si concretano sia in misure di hard law, aventi efficacia dispositiva e vincolante, sia di soft law, prive di natura cogente.

Nella prima categoria si collocano, ad esempio, i recenti provvedimenti straordinari adottati, sotto forma di ordinanze, dalle Regioni italiane, per fronteggiare i rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori derivanti dalle temperature estreme nei luoghi di lavoro. Le disposizioni approvate dai diversi consigli regionali sono piuttosto uniformi, e riguardano principalmente la sospensione delle attività lavorative nelle ore più calde, la rimodulazione dei turni e il ricorso, a determinate condizioni, agli ammortizzatori sociali.

Nell’ambito delle misure di soft law, invece, particolarmente rilevanti sono le Linee Guida emanate dalla Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome il 19 giugno 202​51 , che si concentrano sulle modalità di valutazione del rischio termico, con un approccio trasversale applicabile ai principali settori produttivi.
Più recentemente, le medesime considerazioni relative al cambiamento climatico, hanno indotto diverse organizzazioni sindacali e datoriali a sottoscrivere, con il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, il “Protocollo quadro per l’adozione delle misure di contenimento dei rischi lavorativi legate alle emergenze climatiche negli ambienti di lavoro”, siglato il 2 luglio 20252 ​. 

Un simile provvedimento, privo di efficacia obbligatoria in quanto atto di soft law, si inserisce nel quadro di quanto disposto dal D.L. n. 98/2023, che favorisce la sottoscrizione di intese, tra i ministeri competenti e le parti sociali, relative all’adozione di linee guida e procedure concordate a tutela della salute e sicurezza dei lavoratori esposti a eventi climatici avversi. L’obiettivo prioritario del Protocollo è, pertanto, quello di coniugare lo svolgimento delle attività produttive con le garanzie di tutela della salubrità e della sicurezza degli ambienti di lavoro, valorizzando le iniziative, anche contrattuali, già assunte in sede nazionale di categoria, territorio o azienda. Infatti, le parti sindacali e datoriali dovranno impegnarsi a predisporre tavoli contrattuali finalizzati all’elaborazione di nuove strategie di intervento per la prevenzione dei rischi determinati dall’emergenza climatica.  

Oggetto e ambito di applicazione del Protocollo

A differenza delle normative precedentemente citate, le “emergenze climatiche” oggetto del Protocollo non contemplano esclusivamente eventi avversi legati all’aumento delle temperature, ma anche altri fenomeni estremi, quali inondazioni, siccità e temporali. Inoltre, ai sensi dell’Art. 180 del d.lgs. n. 81/2008, viene fatto espresso riferimento ai rischi in materia di microclima, i quali impongono al datore di lavoro, nell’attività di valutazione dei rischi, di tenere conto dell’impatto, sulla salute e sulla sicurezza dei lavoratori, delle condizioni climatiche presenti in ambienti specifici e confinati, quali, ad esempio, umidità, temperatura e velocità dell’aria.

All’interno del Protocollo, infatti, si riconosce espressamente che il cambiamento climatico costituisce una minaccia sia per i lavoratori addetti allo svolgimento di attività in ambienti all’aperto (c.d. outdoor), sia per coloro che esercitano le loro mansioni al chiuso (c.d. indoor), laddove non vengano garantite condizioni adeguate rispetto ai criteri minimi di tutela. Di conseguenza, in prospettiva prevenzionale, il Protocollo suggerisce possibili temi di intervento per i tavoli contrattuali sopracitati: la formazione e l’informazione dei lavoratori, la sorveglianza sanitaria, la scelta degli indumenti e dei DPI, nonché la riorganizzazione dei turni e degli orari di lavoro per evitare le ore più calde, tenendo conto delle condizioni climatiche proprie di ogni diverso ambiente di lavoro.

I richiami al T.U.S.L. (d.lgs. n. 81/2008)

I principi posti dal Protocollo, così come quelli sanciti all’interno delle diverse ordinanze regionali e delle Linee Guida del 19 giugno 2025, sostanzialmente, ribadiscono e si sovrappongono a quanto già statuito, in maniera esaustiva, dal Testo Unico in materia di sicurezza sul lavoro del 2008. Quest’ultimo, all’Art. 28, sancisce che il datore di lavoro debba valutare tutti i rischi presenti nel luogo di lavoro, compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, qual è appunto quello relativo alle emergenze climatiche. Pertanto, a norma di legge, in tale attività dovranno essere coinvolti anche il RSPP, nonché il medico compente, al quale il datore di lavoro è tenuto a comunicare la possibile esposizione del lavoratore a particolari fenomeni atmosferici, così da poter valutare, attraverso la sorveglianza sanitaria, la compatibilità delle sue condizioni di salute con le mansioni lavorative alle quali è adibito. 

Inoltre, anche in tema di informazione, formazione e scelta dei DPI dei lavoratori, il d.lgs. n. 81/2008 già prevede che occorre tenere conto di ogni potenziale rischio, compreso, evidentemente, quello derivante da peculiari condizioni climatiche. Di conseguenza, qualora il datore di lavoro risulti inadempiente rispetto ai suoi doveri prevenzionistici in tema di valutazione del rischio climatico, troveranno applicazione le sanzioni previste dal d.gs. n. 81/2008. 

Strumenti integrativi e policy interne

È dunque evidente come il Testo Unico, seppur datato, mantenga una struttura così ampia e generale da adattarsi efficacemente, ancora oggi, a nuove emergenze, come quelle climatiche, fungendo da quadro normativo di riferimento sempre valido. Tuttavia, per affrontare con maggiore specificità e tempestività le nuove sfide, si rivelano fondamentali, accanto alle norme di hard e soft law, ulteriori strumenti integrativi quali policy e regolamenti aziendali interni, utili a indirizzare il datore di lavoro nell’adempimento degli obblighi sanciti dal d.lgs. n. 81/2008. Un esempio è dato dalle Climate Change Risk Management Policy, che permettono di modellare le misure di prevenzione sulle specifiche caratteristiche del contesto lavorativo. Tali documenti interni rappresentano non solo un’efficace strategia di adattamento, ma anche una concreta prova dell’avvenuto adempimento degli obblighi normativi di identificazione, valutazione e gestione del rischio.

Conclusioni

Il Protocollo del 2 luglio 2025 e le Linee Guida della Conferenza delle Regioni, sebbene privi di valore vincolante, assumono nell’attuale quadro normativo un ruolo sempre più incisivo, consentendo la puntuale integrazione, nelle ordinarie procedure di valutazione e organizzazione del lavoro, delle peculiarità proprie del rischio climatico. Pertanto, la distanza tra le misure di hard law e quelle di soft law si riduce, data l’elevazione di queste ultime a strumenti quasi legislativi, che integrano le lacune linguistiche di una normativa ancora poco aggiornata alle specifiche criticità dei rischi climatici in materia di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori.  

Autori:
Rita Santaniello - Partner
Elena del Bosco - Intern

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Rita Santaniello

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