Utilizziamo cookie tecnici per personalizzare il sito web e offrire all’utente un servizio di maggior valore. Chiudendo il banner e continuando con la navigazione verranno installati nel Suo dispositivo i cookie tecnici necessari ai fini della navigazione nel Sito. L’installazione dei cookie tecnici non richiede alcun consenso da parte Sua. Ulteriori informazioni sono contenute nella nostra Cookie Policy.



Regime impatriati: principali chiarimenti forniti negli ultimi mesi

​​​​​​​​​​​Ultimo aggiornamento del 2.12.2025 | Tempo di lettura ca. 5 minuti​


Negli ultimi mesi, il regime impatriati è stato al centro di importanti chiarimenti da parte dell’Agenzia delle Entrate e della giurisprudenza. Le recenti interpretazioni riguardano aspetti rilevanti come l’applicabilità alle stock options, l’applicazione del regime in caso di più attività svolte, la possibilità di presentare dichiarazioni integrative per fruire dell’agevolazione e i limiti imposti dagli aiuti “de minimis” per i lavoratori autonomi.​

​​​

Quando le stock options sono escluse dal regime degli impatriati?

L’Agenzia delle Entrate, con la risposta a interpello n. 274 del 28 ottobre 2025, ha analizzato il caso di tre dipendenti di una società italiana che avevano fruito del regime impatriati per i periodi d’imposta 2021-2024 (applicando le diposizioni in vigore per tali annualità riportate nell’art. 16 del D.Lgs. 147/2015). In particolare, tali dipendenti avevano ricevuto dalla società italiana redditi derivanti da piani di incentivazione azionaria (stock option e strumenti similari) la cui maturazione era prevista per l’anno 2025. 

Nel 2024, i suddetti lavoratori avevano cessato il rapporto di lavoro con la società italiana e, a partire dal 2025, hanno trasferito la propria residenza fiscale in Grecia. Pertanto, l’interpello presentato all’Agenzia delle Entrate verteva sulla possibilità di applicare il regime impatriati ai predetti redditi percepiti da soggetti non più residenti fiscalmente in Italia ma riferiti ad attività di lavoro dipendente prestata in Italia. L’Agenzia delle Entrate ha negato la possibilità di applicare il regime impatriati a tali redditi in quanto i lavoratori non presentavano più tutti i requisiti necessari per poter fruire dell’agevolazione in esame dato che la loro residenza fiscale non era più in Italia. 

Sebbene i redditi derivanti dai piani di incentivazione azionaria si riferiscano ad anni in cui era possibile applicare il regime degli impatriati, essi sono stati effettivamente percepiti nel 2025. Poiché per questi redditi vale il principio di cassa, l’imposizione avviene nell’anno di percezione, quando non sussistono più i requisiti per beneficiare del regime impatriati.

Regime impatriati applicabile anche se una delle attività è senza requisiti

Con riferimento al nuovo regime impatriati (disciplinato dall’art. 5 del D.Lgs. 206/2023 e applicabile dal 2024), la risposta a interpello n. 263 del 13 ottobre 2025 ha esaminato il requisito della residenza estera. 

In particolare, l’interpello riguardava il caso di un contribuente che ha risieduto all’estero per tre periodi d’imposta, durante i quali ha lavorato per una società estera e, contemporaneamente, svolto attività di insegnamento per un’università italiana. Dal 2026, il contribuente vuole trasferirsi in Italia per lavorare presso una società non collegata a quella estera, continuando però la collaborazione con la stessa università.  

L’Agenzia delle Entrate ha chiarito che il neo-residente italiano potrà beneficiare, per l’anno 2026, del regime agevolato degli impatriati con esclusivo riferimento al reddito derivante dall’attività che intende svolgere alle dipendenze della società per la quale non ha svolto attività lavorativa all’estero. In riferimento al reddito percepito per la collaborazione con l’università, invece, il medesimo non è ricompreso nel suddetto regime agevolato in quanto derivante da un’attività svolta per lo stesso datore di lavoro per cui aveva lavorato quando era residente all’estero e prima dell’espatrio con conseguente necessità di riscontrare il maggior periodo di sette anni di residenza estera pregressa.

Benefici impatriati anche con dichiarazione integrativa

Con l’ordinanza n. 30569 del 20 novembre 2025, la Corte di Cassazione è tornata sulla possibilità di accedere al regime agevolato per lavoratori impatriati, disciplinato dall’art. 16 del D.Lgs. 147/2015, anche se l’opzione è stata esercitata tramite una dichiarazione integrativa.

Il caso riguardava un contribuente rientrato in Italia nel 2016 che non aveva presentato richiesta al datore di lavoro per l’applicazione del regime in busta paga né aveva beneficiato di tale regime nell’ambito della dichiarazione dei redditi presentata nei termini ordinari. L’Agenzia delle Entrate aveva negato il rimborso delle maggiori imposte versate nelle annualità 2016-2017 in quanto l’adesione al regime era stata effettuata con dichiarazioni integrative presentate in data 15 febbraio 2020 (i.e. oltre il termine di 90 giorni dalla scadenza ordinaria). Il diniego al rimborso da parte dell’Agenzia delle Entrate si poneva in linea con l’interpretazione fornita dalla Circolare n. 33/2020 la quale aveva chiarito che per la fruizione del regime impatriati, essendo un regime opzionale, è preclusa la possibilità di presentare una dichiarazione dei redditi integrativa a favore oltre il termine di novanta giorni dalla scadenza ordinaria.

Con l’ordinanza in esame, invece, la Cassazione (in linea con un orientamento giurisprudenziale che sembra consolidarsi) ha contraddetto questa interpretazione, affermando che il beneficio spetta se il contribuente dimostra di possedere i requisiti sostanziali, anche se l’adesione avviene tramite dichiarazione integrativa oltre i termini. 

Regime impatriati e aiuti “de minimis”

La risposta del ministero dell’Economica al question time n. 5-04717 in commissione Finanze alla Camera ha confermato che la detassazione del reddito prodotto in Italia dai lavoratori autonomi impatriati è soggetta al rispetto delle condizioni e dei limiti della vigente legislazione unionale in materia di aiuti “de minimis”.

In sostanza, l’art. 5, comma 7 del D.Lgs. 209/2023 prevede che lo sconto fiscale concesso ai lavoratori autonomi impatriati non può eccedere i limiti di cui al regolamento UE 1407/2013 secondo cui l’importo complessivo degli aiuti “de minimis” concessi a un’impresa unica non può superare 200.000 euro in tre esercizi finanziari. Tale massimale è stato poi innalzato a 300.000 euro dal regolamento UE n. 2831/2023.
Il periodo di tre anni va considerato su base mobile: per ogni nuova agevolazione, occorre verificare il totale degli aiuti concessi nei tre anni precedenti.

Il decreto Mise n. 115/2017, che disciplina il Registro nazionale degli aiuti (RNA), stabilisce che il superamento del massimale rende illegittima la fruizione dell’agevolazione.

Di conseguenza, se il professionista impatriato supera il suddetto massimale (e.g. calcolando erroneamente il triennio su base fissa anziché mobile), alcuni uffici dell’Agenzia delle Entrate ritengono che perda l’intera esenzione, e non solo la quota eccedente il massimale.​​

dalla newsletter

​​​​​Tax Newsletter​​​​​​

autore

Contact Person Picture

Luca Pagani

Dottore Commercialista e Revisore legale

Senior Associate

+39 02 6328 841

Invia richiesta

Profilo

i nostri servizi

Skip Ribbon Commands
Skip to main content
Deutschland Weltweit Search Menu