Utilizziamo cookie tecnici per personalizzare il sito web e offrire all’utente un servizio di maggior valore. Chiudendo il banner e continuando con la navigazione verranno installati nel Suo dispositivo i cookie tecnici necessari ai fini della navigazione nel Sito. L’installazione dei cookie tecnici non richiede alcun consenso da parte Sua. Ulteriori informazioni sono contenute nella nostra Cookie Policy.



Amministrazione giudiziaria delle aziende e contrasto allo sfruttamento lavorativo nella supply chain del settore moda

PrintMailRate-it

​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​Ultimo aggiornamento del 02.09​​.2025 | Tempo di lettura ca. 12 minuti


Introduzione »
I casi recenti tra conferme, revoche e nuove misure​ »
Conclusioni: un segnale forte per il futuro del Made in Italy​ »

​Non si fermano le contestazioni da parte della Procura di Milano nei confronti di alcune delle più note maison del lusso per l'omesso controllo della propria filiera produttiva. La trasparenza e vigilanza nella supply chain non è più un'opzione: è una necessità giuridica, etica e competitiva.​

Introduzione

Negli ultimi anni, il settore della moda italiana è tornato più volte sotto i riflettori dell’opinione pubblica e dei media per le gravi ombre che continuano ad affliggere la catena di fornitura. 

In particolare, si è assistito a una crescente emersione di casi di sfruttamento lavorativo, caporalato e violazioni sistematiche dei diritti fondamentali dei lavoratori, fenomeni che spesso si annidano nelle fasi di subappalto ed esternalizzazione della produzione.

Le recenti inchieste giudiziarie hanno portato alla luce una realtà fatta di turni estenuanti, salari irrisori, contratti irregolari o inesistenti, e condizioni di lavoro degradanti, spesso all’interno di laboratori clandestini o imprese apparentemente regolari ma, di fatto, gestite in modo illecito o colluse con la criminalità organizzata. 

Proprio in relazione a queste dinamiche, si colloca l’interesse per l’istituto dell’amministrazione giudiziaria prevista dall’art. 34 del D. Lgs. n. 159/2011, che si inserisce nel più ampio sistema di misure di prevenzione patrimoniale. Tale disposizione consente di sottoporre a controllo giudiziario le aziende o società che, pur non essendo direttamente colluse con contesti criminali, abbiano agevolato in modo colposo – ossia per carenza di controlli o gravi omissioni organizzative – attività illecite o pericolose, come quelle connesse al caporalato e allo sfruttamento dei lavoratori da parte di aziende fornitrici.

Comprendere la portata di questa disposizione e le sue applicazioni pratiche è essenziale per valutare le possibili responsabilità di imprenditori e committenti che, attraverso condotte negligenti, finiscono con l’alimentare un sistema produttivo distorto e illegale.

Alla luce di ciò, i più recenti sviluppi giudiziari – che hanno coinvolto alcune importanti società operanti nel settore moda – confermano quanto la questione dell’agevolazione colposa e delle misure di prevenzione patrimoniale presentino una drammatica attualità. Questi casi, che saranno analizzati nel dettaglio nel presente contributo, dimostrano come anche imprese di assoluto rilievo possano – anche in buonafede – ritrovarsi esposte a fenomeni di sfruttamento e violazioni della normativa lavoristica.

In questo contesto, assume un significato particolarmente rilevante il recentissimo Protocollo d’Intesa per la legalità dei contratti di appalto nelle filiere produttive della moda, sottoscritto in data 26 maggio 2025 presso la Prefettura di Milano: tale protocollo, come si vedrà, segna un importante passo in avanti verso una più incisiva collaborazione tra istituzioni, imprese e magistratura, con l’obiettivo di garantire standard di trasparenza, tracciabilità e tutela dei diritti dei lavoratori lungo tutta la catena di fornitura.

I casi recenti tra conferme, revoche e nuove misure​

Negli ultimi due anni, il Tribunale di Milano ha disposto l’amministrazione giudiziaria nei confronti di tre società operanti nel settore moda e abbigliamento, contestando presunte violazioni sistematiche delle norme a tutela dei lavoratori lungo la catena di fornitura. In particolare, è emersa una gestione della filiera basata su appalti e subappalti opachi, l’utilizzo di manodopera irregolare e l’omessa adozione di controlli idonei a prevenire fenomeni di sfruttamento, condizioni di lavoro degradanti e violazioni di norme sulla sicurezza.

L’amministrazione giudiziaria delle aziende – istituto disciplinato dall’art. 34 del D.Lgs. n. 159/2011 – è una misura di prevenzione patrimoniale di natura ablativa temporanea, che mira a interrompere l’infiltrazione mafiosa o, come in questo caso, le condotte illecite agevolate da carenze organizzative dell’impresa. Essa consente di affidare la gestione dell’azienda a un amministratore terzo, incaricato di verificare la situazione interna, risanare le criticità e proporre misure correttive funzionali alla rimozione delle condizioni di pericolosità sociale.

Nei casi di specie, i provvedimenti di sequestro e amministrazione giudiziaria si sono basati sull’ipotesi di agevolazione colposa di attività illecite da parte delle società coinvolte. L’autorità giudiziaria ha valorizzato diversi elementi: dalla mancanza di controlli puntuali sui fornitori e subfornitori, all’assenza di audit periodici effettivi, fino all’inefficacia di protocolli interni di monitoraggio, ritenuti meramente formali.

Il primo caso emblematico di agevolazione colposa ai fini della applicazione della misura della amministrazione giudiziaria nel settore della moda

Con decreto del 15 gennaio 2024, il Tribunale di Milano, Sezione Autonoma Misure di Prevenzione, ha disposto l’amministrazione giudiziaria nei confronti di una nota società operante nel settore della moda, conosciuta in particolare per la produzione di borse iconiche caratterizzate da un motivo geografico.

In particolare, era stato contestato alla società di non aver mai verificato “la reale capacità imprenditoriale delle società appaltatrici” né di aver effettuato controlli o ispezioni per accertare le condizioni effettive di lavoro, consentendo di fatto una gestione non vigilata della catena di subappalti.

Secondo gli accertamenti, la mancanza di controlli e reazioni adeguate di fronte all’esternalizzazione della produzione aveva integrato la condotta agevolatrice prevista dall’art. 34 del D.Lgs. n. 159/2011, giustificando così l’amministrazione giudiziaria.

Successivamente la Sezione Autonoma Misure di Prevenzione del Tribunale di Milano, in data 24 ottobre 2024, ha revocato ‘in via anticipata’ l'amministrazione giudiziaria, riconoscendo che la società ha adottato “iniziative importanti, in condivisione con gli amministratori giudiziari, nella prospettiva di prevenire il ripetersi di fenomeni come quelli che hanno dato origine all'amministrazione giudiziaria”.

Il Tribunale ha evidenziato che “l'adozione e la concreta attuazione del Modello 231, l'organizzazione e l'applicazione delle procedure relative al controllo fornitori, l'istituzione dell'OdV [Organismo di Vigilanza, ndr.], la risoluzione del rapporto con un fornitore rivelatosi a rischio” hanno dimostrato “un atteggiamento positivo” e la capacità di cogliere “nella misura un'occasione di miglioramento”.

Controlli insufficienti nella filiera: un secondo caso di amministrazione giudiziaria

In un altro caso che ha coinvolto una nota azienda meneghina, il Giudice ha accertato che quest’ultima non avesse mai esercitato un controllo effettivo sulla propria catena produttiva, al punto che le società appaltatrici incaricate della realizzazione di borse e cinture avevano a loro volta subappaltato la produzione a opifici abusivi gestiti da soggetti di nazionalità cinese. 

Come già emerso nel caso esaminato nel paragrafo precedente, tale meccanismo di sfruttamento lavorativo, agevolato in via colposa dalla società committente per non aver posto in essere adeguate misure di controllo, è stato ricondotto nell’alveo dell’agevolazione colposa ai fini dell’applicazione della misura dell’amministrazione giudiziaria ex art. 34 D.Llgs. n. 159/2011. Secondo gli atti dell’inchiesta condotta dai Carabinieri del Nucleo Ispettorato del Lavoro e dalla Procura della Repubblica, il laboratorio clandestino era in grado di vendere all’intermediario-fornitore una borsa a poco più di 90 euro, che veniva poi immessa sul mercato al prezzo finale di circa 1.800 euro.

All’esito delle indagini svolte, il Tribunale di Milano ha adottato un modello che ha previsto, in luogo del totale impossessamento dell’azienda da parte dell’amministratore giudiziario nominato dal Tribunale, un affiancamento degli organi della procedura a quelli societari.

Tale modello operativo si è rivelato senz’altro efficace, dal momento che il 18 febbraio 2025 – con largo anticipo rispetto alla scadenza originariamente fissata per la conclusione del periodo di amministrazione giudiziaria – il Tribunale ha depositato il provvedimento di revoca della misura di prevenzione. 

Nello stesso provvedimento sono riportati i passaggi più significativi delle relazioni dell’amministratore giudiziario, dai quali emerge come la società abbia reagito all’applicazione della misura con un approccio caratterizzato da un’effettiva e profonda presa di coscienza delle criticità rilevate, dimostrando fin da subito massima collaborazione e disponibilità nei confronti dell’organo nominato.

Analogamente a quanto accaduto nel caso esaminato nel precedente paragrafo, gli interventi rimediali adottati dalla Società si sono rivelati “non solo efficaci, ma anche innovativi: da un lato, attraverso l’implementazione di numerose iniziative per rafforzare la struttura organizzativa aziendale e il sistema dei processi di controllo; dall’altro, mediante l’accelerazione dell’attività di mappatura e razionalizzazione del parco fornitori e subfornitori”.

Nel dettaglio, tra le iniziative volte al rafforzamento dei presidi di gestione e controllo della supply chain, si evidenziano a mero titolo esemplificativo:
  1. la revisione del Modello Organizzativo di Gestione e Controllo (“MOGC”) ex D. Lgs. n. 231/2001 e la conseguente attività di formazione del personale;
  2. insediamento e attività del nuovo Organismo di Vigilanza (“OdV”);
  3. formalizzazione delle procedure di selezione e gestione dei fornitori (es. procedura di on-boarding dei fornitori; procedura di monitoraggio continuo dei fornitori);
  4. rafforzamento della funzione Internal Audit del Gruppo di cui fa parte la società.

Tale atteggiamento ha quindi fatto sì che il Tribunale di Milano disponesse la revoca della misura straordinaria e dichiarasse chiusa la procedura di prevenzione, consentendo così alla società di proseguire in autonomia l’attività produttiva secondo modelli di gestione più sostenibili e con una significativa riduzione del rischio di reiterazione di condotte analoghe.

L’ultimo eclatante caso in merito all’omissione dei controlli sulla propria filiera produttiva​​

In data 8 luglio 2025, il Tribunale di Milano ha disposto l'amministrazione giudiziaria, per la durata di un anno, nei confronti di un’altra storica realtà del lusso italiano, nota per l'eccellenza nella lavorazione del cashmere. 

Anche in questo caso, il provvedimento richiesto dalla Sezione Autonoma Misure di Prevenzione non riguarda condotte illecite dirette della società, ma si fonda sull'accusa di aver colposamente agevolato pratiche di caporalato e sfruttamento del lavoro lungo la propria catena di fornitura. Ancora una volta, la Procura di Milano ha individuato una grave mancanza di controlli efficaci sulle imprese subappaltatrici che avrebbe permesso l’infiltrazione sistemica di operatori irregolari, privi di reali strutture produttive, che a loro volta si affidavano a laboratori spesso privi di ogni forma di tutela per i lavoratori.

Sono due i laboratori coinvolti nella catena di subfornitura finiti al centro dell’inchiesta. Le indagini sono scattate in seguito alla denuncia di un lavoratore impiegato in uno di essi, il quale ha riferito di essere stato aggredito dal datore di lavoro dopo l’ennesima richiesta di pagamento dello stipendio. Secondo il suo racconto, l’uomo lo avrebbe colpito con un pugno e ripetutamente con un tubo in plastica e alluminio, per poi accompagnarlo al pronto soccorso solo diverse ore dopo, tentando nel frattempo di dissuaderlo dal ricorrere alle cure mediche. Il dipendente ha anche denunciato condizioni lavorative estenuanti: turni di 12 ore al giorno, con sole due pause di mezz’ora e nessun giorno di riposo.

In questi opifici, gli operai – in larga parte immigrati irregolari – sarebbero stati costretti a turni massacranti tutti i giorni, compresi i sabati, le domeniche e i giorni festivi, con una retribuzione all’evidenza sottosoglia rispetto ai minimi tabellari retributivi previsti dal contratto collettivo, avvalendosi, inoltre, del c.d. cottage system, dove il fabbricante costruisce dormitori contigui all’opificio e ‘assume’ solo chi va ad abitarci, pagando il relativo affitto.

Eppure, i capi prodotti in condizioni disumane e a basso costo finivano nelle boutique con prezzi che potevano superare i 3.000 euro, a fronte di un prezzo di un centinaio di euro corrisposto al fabbricante.
Il Tribunale ha evidenziato che la maison, pur non essendo direttamente coinvolta nella gestione dei laboratori illegali, avrebbe dovuto esercitare un controllo più rigoroso sulla propria supply chain, specie in un contesto già noto per episodi analoghi che hanno coinvolto anche altri marchi del settore. 

​Il Protocollo per la Legalità nella Filiera: nasce la “Piattaforma di Filiera” per contrastare lavoro irregolare e sfruttamento​

Il 26 maggio 2025 è stato firmato presso la Prefettura di Milano un importante Protocollo d’Intesa per la legalità nei contratti di appalto nelle filiere produttive della moda, promosso da istituzioni, forze dell’ordine, organizzazioni sindacali e associazioni rappresentative del settore della moda. L’obiettivo è ambizioso: rendere trasparente e tracciabile l’intera catena produttiva, contrastando fenomeni come caporalato, lavoro nero, evasione fiscale e il dumping contrattuale che minaccia la tenuta sociale ed economica del Made in Italy.

Elemento centrale dell’accordo è l’istituzione della “Piattaforma di Filiera”, un sistema digitale volontario attraverso cui le imprese potranno registrarsi, fornire documentazione aggiornata su aspetti giuslavoristici, fiscali e di sicurezza e ottenere – in assenza di irregolarità – un “bollino verde” che attesti la conformità ai criteri di legalità. 

Le aziende produttrici che otterranno tale attestazione entreranno a far parte di una “Green List”, visibile ai brand e agli altri operatori della filiera.

Il Protocollo coinvolge anche le case di moda committenti, che dovranno inserire nei contratti clausole vincolanti a garanzia della regolarità lungo tutta la filiera, promuovendo audit, formazione e sistemi di onboarding per i fornitori di primo livello. Il fornitore di primo livello dovrà comunicare preventivamente al committente i soggetti terzi dei quali intenda avvalersi (in tutto o in parte) per l’esecuzione delle lavorazioni (c.d. piramide di filiera), anche al fine della più adeguata pianificazione degli audit da parte dello stesso committente. 

Sono previste, inoltre, all’art. 7 del Protocollo delle misure premiali per le imprese virtuose, quali:
  1. il rilascio automatico da parte di Regione Lombardia di un “Attestato di trasparenza nel settore moda” della validità di 6 mesi e rinnovabile, subordinato alla completezza e al costante aggiornamento della documentazione caricata; 
  2. il riconoscimento di specifiche premialità nell’ambito delle misure di incentivazione per le imprese stabilite dalla Regione Lombardia, tenendo conto del mantenimento dei livelli occupazionali lungo la filiera.

Firmato da soggetti come Regione Lombardia, Arma dei Carabinieri, Politecnico di Milano, Camera di Commercio, Confindustria Moda, CGIL, CISL, UIL e numerose altre associazioni di categoria, il Protocollo segna un punto di svolta per la governance della legalità in un settore cruciale per l’economia nazionale.

Conclusioni: un segnale forte per il futuro del Made in Italy

Il Protocollo rappresenta un segnale concreto e innovativo nella lotta al lavoro irregolare e nella promozione della trasparenza nelle filiere produttive della moda, che si inserisce in un contesto già complesso e che, come già visto, ha attirato più volte l’attenzione della Procura. 

L’adesione di istituzioni, sindacati e associazioni di categoria al Protocollo testimonia la volontà condivisa di imprimere una svolta strutturale a un comparto che è stato spesso esposto a fenomeni di sfruttamento.

Se attuato con coerenza, il sistema della Piattaforma di Filiera potrà diventare un modello replicabile anche in altri settori strategici del Made in Italy. Il Protocollo segna dunque un passo in avanti che lascia intravedere un futuro in cui le aziende agiscano con maggiore responsabilità, in armonia con i diritti e le tutele dei lavoratori.

Riprendendo i vari provvedimenti con cui il Tribunale ha disposto l’applicazione e la revoca della misura dell’amministrazione giudiziaria, occorre comunque sempre ricordare che,  tra i strumenti preventivi volti a contrastare la proliferazione di condotte illecite nell’ambito della catena di fornitura, rivestano un ruolo centrale (i) l’adozione e l’effettiva attuazione di un efficace Modello di Organizzazione, Gestione e Controllo ai sensi del D. Lgs. n. 231/2001, nonché (ii) la formalizzazione e proceduralizzazione dei processi relativi alla selezione e al monitoraggio dei fornitori, per le quali la Piattaforma di Filiera svolgerà un ruolo essenziale.

Nel dettaglio:
  • Con riferimento ai Modelli 231/2001, è necessario che gli stessi contemplino una specifica valutazione del rischio di sfruttamento lavorativo da parte di appaltatori o subappaltatori della filiera produttiva, includendo – come peraltro richiesto in diversi provvedimenti di amministrazione giudiziaria – anche audit in loco presso i fornitori;
  • Per i Presidenti e i componenti degli Organismi di Vigilanza, è opportuno prevedere, all’interno dell’Action Plan annuale, verifiche ad hoc e l’attivazione di specifici flussi informativi relativi alla gestione dei rapporti con i fornitori;
  • Fondamentale risulta anche la predisposizione di una procedura aziendale che disciplini i criteri di selezione dei fornitori, partendo da un’analisi delle diverse tipologie di supplier presenti nell’organizzazione e valutandone l’impatto economico e strategico;
  • Infine, è necessario introdurre criteri di valutazione successiva dei fornitori – il c.d. monitoraggio (audit) – volti a escludere i soggetti che non rispettano standard predefiniti di affidabilità, i cosiddetti fornitori “a rischio”.​

dalla newsletter

Legal Newsletter​​​​​​​

autore

Contact Person Picture

Rita Santaniello

Avvocato

Partner

+39 02 6328 841

Invia richiesta

Profilo

Contact Person Picture

Alessandro Murru

Dottore in Giurisprudenza

Junior Associate

+39 02 6328 841

Invia richiesta

Profilo

Contact Person Picture

Pasquale Lazzaro

Dottore in Giurisprudenza

Junior Associate

+39 02 6328 841

Invia richiesta

Profilo

Skip Ribbon Commands
Skip to main content
Deutschland Weltweit Search Menu