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Tra sostenibilità e semplificazione: il cammino del Pacchetto Omnibus I e la sottile linea dell’equilibrio europeo

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​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​Ultimo aggiornamento del 29.10.2025 | Tempo di lettura ca. 3 minuti


Il percorso del Pacchetto legislativo Omnibus I, concepito per semplificare la normativa europea in materia di sostenibilità aziendale, si sta rivelando più tortuoso del previsto. Nonostante l’approvazione iniziale da parte della Commissione per gli Affari Legali (“JURI”), il voto in plenaria del Parlamento europeo ha ribaltato le previsioni, respingendo il mandato negoziale e bloccando l’avvio dei triloghi. La decisione getta un’ombra d’incertezza sul futuro di due direttive chiave – la Corporate Sustainability Reporting Directive (“CSRD”) e la Corporate Sustainability Due Diligence Directive (“CSDDD”) – riaccendendo il dibattito su un tema cruciale: come conciliare competitività industriale e integrità ambientale nell’Unione Europea.

La posizione della Commissione JURI

Nelle deliberazioni di ottobre, la Commissione JURI ha ridefinito alcuni aspetti chiave del Pacchetto Omnibus I, proposto dalla Commissione europea a febbraio 2025, estendendo i margini di semplificazione rispetto alla proposta originaria dell’Esecutivo.

In relazione alla CSRD, la Commissione Europea aveva previsto una riduzione dell’80 per cento ​del numero di imprese soggette all’obbligo di rendicontazione delle proprie performance di sostenibilità. La Commissione JURI ha ulteriormente circoscritto il perimetro, stabilendo l’obbligo esclusivamente per le aziende con più di mille dipendenti e un fatturato annuo superiore a 450 milioni di euro, lasciando alle altre imprese la facoltà di rendicontare su base volontaria.

Analogamente, per quanto riguarda la CSDDD – la direttiva sulla due diligence in materia di sostenibilità – JURI ha proposto di limitare l’applicazione agli operatori di grandi dimensioni, ossia alle imprese con oltre cinquemila dipendenti e un fatturato superiore a 1,5 miliardi di euro.

Particolarmente significativa appare la svolta metodologica introdotta: l’obbligo universale di due diligence è stato sostituito da un approccio basato sul rischio. Le aziende sono tenute a intervenire soltanto qualora emergano rischi concreti di impatti negativi sui diritti umani o sull’ambiente lungo la propria catena di fornitura, in linea con i Principi Guida delle Nazioni Unite. Secondo i sostenitori, tale impostazione conferisce maggiore pragmatismo e proporzionalità; per i critici, invece, può generare ambiti di responsabilità meno definiti.

Gli obblighi relativi alla redazione di piani di transizione per mitigare i cambiamenti climatici, coerenti con l’Accordo di Parigi, sono rimasti in vigore, sebbene con una terminologia più cauta. Il riferimento ai “massimi sforzi” è stato sostituito da “sforzi ragionevoli”, rendendo gli impegni più realistici e proporzionati. Sono stati inoltre rimossi i riferimenti espliciti al limite di riscaldamento globale di 1,5 °C e agli obiettivi intermedi di neutralità climatica al 2050, pur mantenendo la necessità di adottare piani credibili e trasparenti.

L’Omnibus I sotto la lente del Parlamento europeo  

Il 22 ottobre, a Strasburgo, l’Assemblea plenaria ha respinto la posizione negoziale di JURI con un voto sorprendente: 318 contrari, 309 favorevoli e 34 astensioni. Una decisione che ha colto molti di sorpresa e che riflette inevitabilmente profonde divisioni all’interno del Parlamento europeo.

Il dissenso si è basato sul timore che il compromesso proposto dalla Commissione JURI andasse oltre un mero “snellimento tecnico” delle norme sulla sostenibilità. Invero, le modifiche suggerite sono state percepite come una deregulation mascherata, capace di indebolire i principi di trasparenza e responsabilità posti alla base delle direttive originarie. Ciò nonostante, alcuni eurodeputati hanno considerato la bocciatura come un’opportunità mancata per alleggerire un quadro normativo percepito come eccessivamente gravoso, soprattutto per le piccole e medie imprese, con possibili effetti negativi sulla competitività europea.

I prossimi passi e gli impatti per le imprese

Con il voto contrario, il Parlamento europeo ha di fatto sospeso l’avvio dei triloghi – i negoziati interistituzionali tra Parlamento, Consiglio e Commissione – rinviando l’intero processo legislativo. Gli eurodeputati torneranno a esaminare il testo e i relativi emendamenti nella sessione plenaria di Bruxelles, prevista per il 13 novembre, momento in cui sarà possibile valutare se l’Omnibus I potrà riprendere il proprio iter.

Il voto di novembre costituirà un passaggio cruciale per il futuro della sostenibilità d’impresa in Europa. Le regole potranno subire adeguamenti ma trasparenza, responsabilità e impegno verso la sostenibilità resteranno auspicabilmente i pilastri del modello europeo. In questa fase di incertezza le imprese sono chiamate a mantenere alta l’attenzione e a prepararsi con anticipo, avviando un percorso di analisi e adeguamento e facendo leva su competenze specialistiche per prevedere i cambiamenti, reagire tempestivamente ai nuovi obblighi e valorizzare le opportunità offerte da una transizione che mira a conciliare sostenibilità e competitività.​​

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