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Supply Chain Due Diligence: una normativa in costruzione

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​Ultimo aggiornamento del 2.11.2023 | Tempo di lettura ca. 7 minuti



Le catene di fornitura (c.d. “supply chain”) rappresentano il motore dell’economia globale poiché, attraverso la diffusione di prodotti e servizi in tutto il mondo, collegano imprese e individui superando confini geografici, industriali, culturali e normativi. 

La gestione sostenibile della filiera sta diventando un elemento sempre più importante della sostenibilità aziendale, in quanto consente di verificare gli impatti ambientali, sociali ed economici (“ESG”) delle organizzazioni e incoraggia le pratiche di buon governo mediante l’analisi del ciclo di vita di beni e servizi.

L’obiettivo della gestione sostenibile della supply chain è creare e aumentare il valore sociale, ambientale ed economico a lungo termine dei prodotti e dei servizi sul mercato, promuovendo e proteggendo al contempo pratiche commerciali eque per tutti gli stakeholder coinvolti. La gestione sostenibile della filiera diventa, così, un’opportunità di business, offrendo alle aziende la possibilità di continuare a garantire la qualità dei propri prodotti o servizi, di gestire meglio i rischi operativi e reputazionali e assicurare la continuità aziendale, generando impatti economici anche molto significativi.

Il dibattito pubblico degli ultimi anni è stato fortemente incentrato sulla necessità di introdurre la regolamentazione di un processo di due diligence nella filiera per prevenire, mitigare e rimediare alle violazioni dei diritti umani (comprese le moderne forme di sfruttamento e il lavoro minorile) e per promuovere e sostenere gli standard ambientali, consentendo alle aziende di condurre attività produttive responsabili e pratiche commerciali corrette.

Mentre a livello europeo si attende la pubblicazione (nel 2024) della Corporate Sustainability Due Diligence Directive (“CS3D”)[1] , l’Italia non ha ancora adottato una legge specifica che imponga alle imprese un obbligo normativo generale di due diligence della supply chain in materia di diritti umani e ambiente, a differenza di altri Stati europei. Tuttavia, nel contesto ESG, le imprese che operano in Italia devono tenere conto di alcuni obblighi specifici di derivazione europea, sia per quanto riguarda la due diligence per la fornitura di determinati beni, sia per quanto riguarda la rendicontazione ESG.

Obblighi di due diligence per la fornitura di determinati beni

In primo luogo, occorre menzionare il Regolamento (UE) 2017/821 (c.d. “Regolamento sui Minerali da Conflitto”) – e il D. Lgs. 13/2021 con cui ne è stata assicurata la corretta attuazione a livello nazionale – che ha stabilito obblighi di due diligence della filiera per gli importatori dell’UE di stagno, tantalio e tungsteno, dei relativi minerali e dell’oro, provenienti da aree di conflitto o ad alto rischio, al fine di garantirne un approvvigionamento responsabile e trasparente. 

La catena di fornitura di queste materie prime è spesso poco chiara e la loro estrazione può avvenire ricorrendo al lavoro forzato o ad altre forme di schiavitù moderna, facilitando anche reati come la corruzione, il riciclaggio di denaro o il finanziamento di gruppi armati. Pertanto, ai sensi del Regolamento sui Minerali da Conflitto – applicabile dal 1° gennaio 2021 – le imprese importatrici europee (comprese quelle che operano in Italia) sono tenute ad adottare sistemi e procedure per assicurarsi di poter identificare, gestire e comunicare i rischi effettivi e potenziali legati alla fornitura di questi metalli e minerali, al fine di evitarne o mitigarne gli effetti negativi. 

Recentemente è stato pubblicato il Regolamento (UE) 2023/1115 (c.d. “Regolamento sulla deforestazione”), che stabilisce norme relative sia all’immissione e alla messa a disposizione sul mercato dell’UE sia all’esportazione dall’UE di determinate materie prime (bovini, cacao, caffè, olio di palma, gomma, soia e legno) e di prodotti contenenti, alimentati o costituiti da tali materie prime, al fine di frenare la deforestazione e il degrado forestale causati dal loro consumo. Il Regolamento sulla deforestazione – applicabile a partire dal 30 dicembre 2024 – impone alle imprese (comprese quelle italiane) che immettono tali prodotti sul mercato dell’UE o li esportano, l’obbligo di: 
  • effettuare la due diligence su tutte le materie prime e i prodotti pertinenti menzionati per garantire che soddisfino le aspettative di assenza di deforestazione;
  • rendere disponibile una dichiarazione alle autorità competenti, attraverso un sistema informativo istituito a tale scopo, per confermare che la due diligence è stata effettuata e non è stato riscontrato alcun rischio o solo un rischio trascurabile.

Un analogo obbligo di due diligence sull'approvvigionamento di materie prime è stato recentemente stabilito anche in relazione alle batterie, con il Regolamento (UE) 2023/1542 (c.d. “Regolamento sulle batterie”), che ha introdotto, tra l'altro, requisiti di sostenibilità, sicurezza, etichettatura, marcatura e informazione per consentire l’immissione sul mercato o la messa in servizio delle batterie all’interno dell’UE, oltre a stabilire requisiti minimi per la raccolta e il trattamento dei rifiuti di batterie e per la rendicontazione. In particolare, a partire dal 18 luglio 2025, tutte le imprese (comprese quelle italiane) che immettono batterie sul mercato dell’UE, ad eccezione delle PMI, dovranno sviluppare, attuare e condurre una policy di due diligence della catena del valore per verificare i rischi sociali e ambientali nel ciclo di vita delle batterie. Queste policy dovranno poi essere sottoposte a un processo di verifica da parte di terzi e a un audit periodico.

Dalla rendicontazione non finanziaria alla rendicontazione di sostenibilità aziendale

Sebbene non introduca specificamente obblighi di due diligence, un altro provvedimento legislativo rilevante che le imprese operanti in Italia devono tenere in considerazione è il D. Lgs. 254/2016 di attuazione della Direttiva 2014/95/UE (c.d. “Direttiva sulla rendicontazione non finanziaria” o “NFRD”). Tale Decreto ha introdotto per alcune imprese (i grandi “enti di interesse pubblico”) l’obbligo di pubblicare una dichiarazione non finanziaria (“DNF”) in cui riportare la strategia attuata dall’impresa per gestire in modo efficace, inclusivo e circolare le questioni di impatto sociale ed etico, illustrando nel dettaglio le politiche adottate in materia di sicurezza e salute (pubblica e dei propri dipendenti), ambiente, rispetto dei diritti umani e lotta alla corruzione, anche in relazione alla propria filiera produttiva.

Le pratiche di rendicontazione sono destinate a cambiare nel prossimo futuro, dopo il recepimento in Italia della Direttiva UE 2022/2464 sul bilancio di sostenibilità delle imprese (c.d. “CSRD”). Tra le principali novità della CSRD vi sono l’estensione del perimetro delle società obbligate (ovvero le grandi società non quotate e tutte le società quotate ad eccezione delle microimprese) e l’introduzione della rendicontazione di sostenibilità nella relazione finanziaria annuale, in base all’idea che le informazioni sulla sostenibilità non siano più qualificabili come “non finanziarie” ma abbiano un chiaro impatto sul piano finanziario dell’organizzazione. L’obbligo di rendicontazione comporta quindi una valutazione delle pratiche di governance aziendale, tra cui il monitoraggio costante della sua catena di approvvigionamento e dei rischi correlati, sull’ambiente e sui diritti umani.

Quando la responsabilità “penale” dell'impresa incontra la ESG due diligence 

Di rilievo per le imprese che operano in Italia è anche una normativa tipicamente italiana che ha forti connessioni con i temi dell’ambiente, dei diritti umani e della governance, ovvero il D. Lgs. 231/2001 sulla responsabilità amministrativa degli enti derivante da reato (c.d. “Decreto 231”). Il Decreto 231 ha introdotto per la prima volta in Italia la possibilità di ritenere le società responsabili e sanzionabili in caso di commissione, nel loro interesse o vantaggio, di alcune tipologie di reati (definiti “reati presupposto”) commessi da soggetti apicali e sottoposti al loro controllo (ad esempio, amministratori, dirigenti, dipendenti, ecc.). 

Il catalogo dei reati presupposto comprende la maggior parte degli abusi relativi all’ambiente e ai diritti umani, come i reati ambientali, l’omicidio e le lesioni personali colpose per violazione delle norme sulla salute e la sicurezza sul lavoro, la schiavitù, il traffico di esseri umani, il lavoro forzato e la corruzione. Infatti, per evitare di incorrere nella responsabilità prevista dal Decreto 231, le aziende devono dimostrare di aver adottato ed efficacemente attuato modelli organizzativi contenenti procedure e regole di condotta volte a identificare, prevenire e mitigare il rischio di commissione dei reati presupposto in relazione alle c.d. attività aziendali sensibili. Ciò significa che, per evitare la responsabilità, il Decreto 231 richiede essenzialmente che le imprese intraprendano un processo di due diligence continuo per identificare, prevenire, mitigare e rendere conto (internamente) di come affrontano specifici reati che rappresentano anche gravi violazioni dei diritti umani e dell’ambiente.

Osservazioni finali

Come accennato, sebbene non esista ancora una legge specifica sulla supply chain due diligence, il quadro normativo in Italia è comunque fortemente influenzato dai recenti sviluppi a livello europeo, e i requisiti per la supply chain due diligence derivano dal recepimento in corso dei vari obblighi europei sopra descritti.
Sarà quindi fondamentale verificare come il legislatore italiano li recepirà, trasformandoli in nuovi obblighi per le imprese che operano sul territorio nazionale.



[1] La CS3D ha lo scopo di introdurre un obbligo generale di due diligence per promuovere il contributo delle imprese europee al rispetto dei diritti umani e dell'ambiente nelle attività che svolgono e nelle catene del valore a cui partecipano. Attualmente, la CS3D è ancora in fase di approvazione da parte del legislatore europeo.

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