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Lo Smart-Working emergenziale e l’assenza di accordo individuale: opportunità o rischio?

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Ultimo aggiornamento del 13.11.2020 | Tempo di lettura ca. 6 minuti​

Durante l’attuale emergenza sanitaria, il Legislatore ha immediatamente individuato lo smart-working come primario strumento di prevenzione, giungendo persino a qualificarlo come una vera e propria misura di distanziamento sociale. 


Questa modalità di svolgimento della prestazione lavorativa, che era stata in precedenza poco sfruttata soprattutto dalle imprese di piccole e medie dimensioni, oggi è sempre più diffusa. 

Tale successo è in parte dovuto al fatto che lo smart-working è passato dall’essere concepito come un benefit per il lavoratore, a rappresentare il mezzo prioritario per assicurare la continuità delle attività aziendali. Se prima della pandemia, infatti, lo smart-working era percepito come una mera concessione del datore di lavoro, volta a permettere al lavoratore di meglio conciliare la propria vita privata con l’attività lavorativa, durante il primo lockdown, invece, per numerosissime realtà, lo smart-working ha rappresentato l’unica alternativa alla chiusura totale, esperimento che – sotto il profilo della produttività – non ha determinato significative criticità per i datori di lavoro. 

Un altro elemento, che sicuramente ha incentivato i datori di lavoro all’adozione di questo strumento durante il periodo di lockdown, è stata la sospensione della necessità di un accordo individuale con il dipendente. 
Nella sua forma ordinaria, disciplinata dalla Legge n. 81/2017, lo smart-working necessita di essere regolato da un apposito accordo individuale da concludersi per iscritto col lavoratore, anche eventualmente richiamando disposizioni già oggetto di accordi collettivi aziendali con le parti sindacali, e da inviare al Ministero del Lavoro. 

Questo elemento non è, d’altra parte, richiesto per l’attivazione dello smart-working durante l’attuale fase emergenziale, dove tale modalità di svolgimento della prestazione può essere attivata semplicemente mediante una comunicazione, da trasmettere al portale del Ministero del Lavoro, contenente esclusivamente l’elenco dei lavoratori coinvolti. 

Chiaramente questa disposizione è volta a incentivare l’adozione dello smart-working, semplificandone fortemente la procedura di attivazione. 

Tuttavia, all’atto pratico, sono numerose le problematiche emerse proprio a fronte dell’assenza di un accordo individuale con il dipendente. Nella nostra breve analisi evidenzieremo le principali criticità derivanti da tale aspetto, anche tenendo conto dall’assenza di una disciplina legislativa di dettaglio. 
In primo luogo, l’assenza di un accordo con il dipendente non permette al datore di lavoro di regolamentare le modalità della prestazione in smart-working. 

È proprio in quell’accordo, infatti, che è possibile – ad esempio – disciplinare l’orario di lavoro dello smart-worker, definendo delle fasce orarie di disponibilità/reperibilità, nonché dei periodi di disconnessione, che rappresentano un diritto del lavoratore ai sensi della Legge n. 81/2017 e un obbligo del datore di lavoro anche ai sensi della normativa vigente in materia di riposi giornalieri e settimanali.

Inoltre, nello stesso modo è possibile limitare i luoghi dai quali il dipendente potrà svolgere la propria prestazione, ad esempio escludendo i luoghi pubblici come bar e ristoranti, che, oltre ad esporre i dati aziendali ad un maggior rischio di accesso non autorizzato, spesso non garantiscono le necessarie condizioni di sicurezza per la tutela della salute del lavoratore, a cui il datore di lavoro è sempre – in un certo qual modo – vincolato.

In secondo luogo, l’accordo individuale è essenziale per poter implementare specifiche modalità di esercizio dei poteri di controllo e disciplinare da parte del datore di lavoro. Questi, data l’assenza del lavoratore presso i locali aziendali, dovranno necessariamente esprimersi attraverso misure diverse e nuove, delle quali il lavoratore dovrà essere reso debitamente edotto. 

E, la conclusione di un accordo di smart-working può rappresentare l’occasione per il datore di lavoro per regolare questi aspetti e poter, in seguito, esercitare legittimamente il proprio potere disciplinare nei confronti dei dipendenti. 

L’assenza di tale regolamentazione (che normalmente è contenuta in un apposito Regolamento sull’Utilizzo degli Strumenti Informatici, il quale deve essere altresì accompagnato da un’adeguata Informativa Privacy, entrambi da richiamare nell’accordo individuale di smart-working) espone, invece, il datore di lavoro al rischio di contestazioni da parte del lavoratore, qualora il potere disciplinare venga esercitato senza che questo sia stato debitamente informato circa i controlli che il datore di lavoro svolgerà.

Peraltro, occorre segnalare che l’eventuale implementazione di strumenti informatici che consentano, tra le loro varie funzioni e anche solo potenzialmente, il controllo da remoto della prestazione lavorativa dei dipendenti è sempre soggetta all’ordinaria disciplina prevista dall’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori.
Ai sensi dello Statuto dei Lavoratori, salvo il caso di tools informatici considerati assolutamente indispensabili per lo svolgimento della prestazione lavorativa, è necessario ottenere un’apposita autorizzazione da parte dell’Ispettorato Territoriale del Lavoro oppure dalle R.S.A./R.S.U. (se presenti in azienda).

Diversamente, l’eventuale controllo sarebbe illecito e il datore di lavoro potrebbe incorrere in sanzioni anche sotto il profilo penale.

Inoltre, l’assenza di un accordo individuale che regoli, nello specifico, le modalità della prestazione da remoto e fornisca al dipendente le necessarie linee guida riguardo la protezione dei dati aziendali, determina un ulteriore svantaggio per il datore di lavoro. 

È, infatti, nell’interesse del datore, fornire ai propri dipendenti delle istruzioni per l’adozione delle accortezze necessarie alla tutela dei dati aziendali anche durante la prestazione in modalità smart-working. Per esempio, è importante che il dipendente limiti l’utilizzo dei devices elettronici personali per lo svolgimento della prestazione lavorativa e che tale eventualità, qualora necessaria, venga appositamente regolata. 

D’altro canto, la prestazione in smart-working implica, in molti casi, che il lavoratore non disponga di uno spazio fisico appositamente dedicato presso la propria abitazione. Ciò può comportare la presenza di altri soggetti durante lo svolgimento della prestazione lavorativa (sia qui sufficiente pensare a call e videochiamate ecc.). Questi soggetti potrebbero, così, avere accesso a dati aziendali o a dati sensibili dei clienti/fornitori, che avrebbero dovuto restare riservati. Lo stesso potrebbe avvenire nel caso in cui il dipendente lasci incustoditi documenti cartacei o i propri devices (sia aziendali sia personali), permettendo a chiunque si trovi nella loro abitazione di avervi accesso.
 
Infine, l’assenza di un accordo individuale non permette nemmeno di disciplinare gli aspetti legati alla tutela della salute e sicurezza del dipendente. 
Questi, infatti, seppur descritti nell’informativa messa a disposizione dall’I.N.A.I.L. e liberamente utilizzabile dai datori di lavoro (che, anzi, hanno l’onere di consegnare ai propri dipendenti ai sensi della normativa emergenziale), non possono essere regolati nello specifico e calati nella realtà aziendale, in assenza di un accordo che ne dettagli l’applicazione, esponendo così le aziende a potenziali contestazioni sotto questo profilo.

A tal proposito, è altresì utile ricollegarsi alla tematica del diritto alla disconnessione.
Come detto, l’accordo individuale dovrebbe prevedere specifici tempi di riposo per lo smart-worker nonché le misure tecniche che consentano di rispettare questi tempi di riposo.

E, la regolamentazione del diritto alla disconnessione è essenziale: diversamente, il lavoratore potrebbe essere esposto al rischio di tecnostress, riconosciuto come malattia professionale da una sentenza del Tribunale del Torino ed annoverato tra i maggiori rischi emergenti in materia di salute e sicurezza sul lavoro in conseguenza della digital trasformation, quale tipologia specifica di rischio da stress lavoro-correlato (circostanza che imporre altresì un eventuale aggiornamento del D.V.R. aziendale).

Ciò detto, alla luce di quanto illustrato e a quasi un anno dall’introduzione dello smart-working emergenziale, appare chiaro che l’assenza di accordo individuale coi dipendenti determina - alla lunga - l’emersione di numerose criticità, contrarie agli interessi dei dipendenti e soprattutto dei datori di lavoro. 

Per questo motivo, per le aziende è consigliabile affrontare la situazione non appena possibile, senza attendere ulteriori estensioni dello smart-working emergenziale, ma agendo immediatamente al fine di concludere appositi accordi con i dipendenti, che ne regolino la prestazione da remoto.

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