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Ecologismo vero o di facciata? Considerazioni sulle “green claims” aziendali

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Ultimo aggiornamento del 08.03.2021 | Tempo di lettura ca. 14 minuti


Rispettoso dell'ambiente", "riciclabile", "riciclato al 100 per cento", "biodegradabile", "naturale", "ecologico", "risparmio di risorse": ecco solo alcuni esempi di affermazioni ambientali (le cc.dd. “green claims"/"pubblicità ambientale"/"affermazioni ambientali") che oggi sono onnipresenti su alimenti e altri beni di consumo o sui loro imballaggi. 


Ne sanno qualcosa le aziende che effettuano investimenti sempre più cospicui in metodi di PR che diano loro un'immagine pubblica ecologica e responsabile. Le informazioni vengono fornite, ad esempio, sul sito web dell'azienda, nei social media, nel rapporto annuale, in una pubblicazione creata appositamente per questo scopo, o tramite contrassegni aziendali come l'eco-audit. Grazie alla maggiore consapevolezza ambientale dei consumatori e delle aziende, anche le proprietà ambientali dei prodotti e le attività commerciali in quanto tali rivestono un ruolo sempre più importante nella pubblicità. In questo contesto, tuttavia, occorre osservare numerose prescrizioni legali, la cui interpretazione e applicazione nella prassi giuridica talvolta sono molto complesse. Qui di seguito si fornisce una visione d’insieme sull’argomento.   


La situazione attuale: green economy e due diligence ambientale


Sempre più aziende sono interessate a far conoscere il loro comportamento ecologico ed etico e le proprietà ecologiche dei loro prodotti attraverso le strategie di commercializzazione. Una delle ragioni del moltiplicarsi di tali affermazioni ecologiche è che i consumatori avendo sviluppato una "coscienza verde", mostrano un crescente desiderio di beni e servizi ecologici. Sul fronte opposto, d’altronde, un'industria orientata esclusivamente alla progressiva crescita economica sta contribuendo in misura crescente alla distruzione della natura e dell'ambiente. Per contrastare tale fenomeno, alla Conferenza delle Nazioni Unite sullo Sviluppo Sostenibile di Rio nel giugno 2012 si è trovato un accordo sul modello guida di economia verde, che coniuga ecologia ed economia, a significare che in un’ottica internazionale l'economia deve mantenersi competitiva, senza però perdere di vista la compatibilità ambientale e sociale. L'obiettivo è dare vita a nuovi paradigmi di produzione e consumo improntati alla sostenibilità per consentire una crescita qualitativa, che sia compatibile con l'ambiente e altrettanto sostenibile. Per realizzare tale intento, il Ministero Federale dell'Istruzione e della Ricerca, insieme ad altri ministeri e associazioni, ha redatto l'agenda "Green Economy". Tra i fattori rientranti in un'economia compatibile con l'ambiente figura la progettazione sostenibile dei beni di consumo, compresi gli imballaggi. Una visione che riguarda da vicino anche il settore delle “life science”. Nel nuovo piano d'azione per l'economia circolare, che si basa sul Green Deal europeo, anche la Commissione europea ha annunciato che proporrà una legislazione da cui sviluppare una politica dei prodotti sostenibile: i prodotti commercializzati nell'UE dovrebbero essere progettati per avere una maggiore durata e facilità di recupero, riparazione e riciclaggio e contenere la più alta percentuale possibile di materiali riciclati piuttosto che di materie prime primarie. 

Ci si aspetta quindi sempre più spesso che le aziende si assumano la responsabilità dell'impatto (globale) delle loro attività commerciali. In questa prospettiva, la tutela dell'ambiente e del clima e la sostenibilità si stanno tramutando, in una certa misura, in obblighi aziendali. Non a caso, è entrato in uso il termine "due diligence ambientale”, che assume una valenza trasversale per i diversi settori e in alcuni è diventata già una realtà concreta. In futuro le aziende alimentari saranno obbligate a includere gli aspetti della sostenibilità nella loro strategia aziendale (si veda l’approccio "Dalla fattoria alla tavola"). Questi obblighi di due diligence ambientale possono essere attuati, tra l'altro, attraverso sistemi di gestione ambientale interni (ad es.  ISO 14001, "eco-audit" o sistema EMAS basato sul Regolamento (CE) n. 1221/2009). Anche le certificazioni e le etichettature ricoprono un ruolo importante nel contesto della due diligence aziendale, essendo fondate su disciplinari che prevedono una valutazione dei prodotti in relazione alle loro prestazioni ambientali. Attualmente si conta un numero quasi ingestibile di etichette ambientali statali e private e per quasi tutti i settori e i beni di consumo: il Blaue Engel , il marchio Naturland, V-Label per i prodotti vegani e vegetariani, il marchio tessile Green Button, il logo biologico UE per i prodotti alimentari, l'Ecolabel UE, utilizzato in particolare per i detersivi e i detergenti ecologici, il logo "Hase mit schützender Hand" (Lepre con mano protettiva) per i cosmetici che non prevedono test sugli animali, e il marchio Fairtrade, per citarne solo alcuni. Inoltre, esistono etichette e marchi di qualità assegnati da istituzioni indipendenti ad aziende e marchi ecologicamente sostenibili (ad es. GREEN BRANDS). 

La due diligence ambientale usata come opportunità per la pubblicità ambientale


L'industria ha anche riconosciuto un'opportunità nei suoi obblighi ambientali e sta facendo un uso mirato delle green claims nella pubblicità relativa ai prodotti e all'azienda (la cosiddetta pubblicità d'immagine). Ad esempio, le certificazioni e le etichettature non servono all'azienda solo come misura e prova che accerti il possesso dei requisiti ambientali all'interno delle catene di valore economico. Al tempo stesso, infatti, possono anche comunicarli al mondo esterno, ad esempio se apposti sulle confezioni dei prodotti. Analogamente, l’adesione a sistemi di gestione ambientale può essere menzionata nelle comunicazioni aziendali, ad esempio su carta intestata, rapporti aziendali, siti web o in generale nella pubblicità aziendale. Infatti, la pubblicità aziendale, che mira a creare un'immagine di ecocompatibilità dell'azienda al di là delle specifiche caratteristiche del prodotto, svolge un ruolo sempre più importante, ad esempio attraverso la sponsorizzazione ambientale, l'offerta di smaltimento ecologico dei rifiuti e la pubblicità con appelli ambientali in cui gli acquirenti contribuiscono alla tutela dell'ambiente donando direttamente una parte del ricavato a tale scopo. 

La pubblicità ambientale si presenta quindi sotto una grande varietà di forme:  Esaltando gli aspetti ecologici con le parole, ma anche attraverso immagini, elementi grafici o simboli. Tra questi si annoverano il ben noto simbolo del riciclaggio con cui si possono etichettare la plastica e gli altri materiali: tre frecce (spesso verdi) che dovrebbero riflettere il ciclo di riciclaggio e un numero che identifica il materiale. Questa indicazione è volontaria, ma viene spesso utilizzata in abbinamento alle affermazioni ecologiche, ad esempio facendo riferimento alla possibilità di riutilizzare un prodotto o un imballaggio ("riciclabile") o con affermazioni sul contenuto riciclato ("bottiglia di plastica riciclata al 100 per cento"). In effetti, molte aziende, soprattutto nel settore alimentare e dei beni di consumo, pubblicizzano l'impegno a utilizzare imballaggi sostenibili, come Danone per le sue bottiglie di acqua minerale Volvic in PET di origine vegetale, o Tetra Pak per i suoi imballaggi per bevande in cartone ecologicamente vantaggiosi. Altri esempi sono le affermazioni relative all'impronta di carbonio quantificata di un prodotto, in particolare nel contesto della pubblicità per l'acquisto di prodotti regionali, biologici e/o vegani. 

La gamma della pubblicità ambientale è quindi molto ampia e dalle molteplici manifestazioni. Tuttavia, da un punto di vista normativo, i produttori e gli esercenti impegnati nello sforzo pubblicitario sono sempre più spesso chiamati a rispondere della prova della sostenibilità e della compatibilità ambientale. Un quadro giuridico generale esiste da molto tempo a livello europeo e nazionale, ma con la crescente importanza e l'utilizzo di green claims, sono state create linee guida per consentirne l'interpretazione e l'applicazione concreta (ad esempio, la sezione sulle rivendicazioni ambientali nelle linee guida per il recepimento/applicazione della direttiva 2005/29/CE sulle pratiche commerciali sleali). Inoltre, con l’infittirsi della rete di controlli da parte delle autorità e degli organi giudiziari, ci si ritrova a muoversi in una difficile situazione di bilico. Le informazioni ambientali, se appropriate e chiaramente espresse, sono considerate un aiuto per i consumatori nel prendere decisioni di acquisto informate. Il divieto di pubblicità in questo settore comporterebbe quindi la perdita di informazioni importanti al servizio della tutela dell'ambiente. Tuttavia, se le dichiarazioni ambientali non sono appropriate o sono fuorvianti, non vi è alcuna giustificazione per creare la falsa impressione che un'azienda e i beni che offre siano rispettosi dell'ambiente. Questo tipo di comunicazione è noto come "greenwashing" e l'UE intende ora intraprendere azioni ancora più mirate per combatterlo (vedi Green Deal europeo).  

Quadro normativo: divieto di pratiche commerciali sleali 


Dal punto di vista giuridico, tale problematica comprende l’ambito delle pratiche commerciali sleali, in particolare la pubblicità ingannevole, che, oltre a particolari disposizioni di legge (ad esempio l'uso del logo biologico dell'UE, Regolamento (CE) n. 834/2007, dal 1° gennaio 2021 Reg. ecologico (UE) 2018/848,) sono disciplinate a livello UE dalla Direttiva 2005/29/CE (Direttiva PCS), recepita, in Italia, nel Codice del Consumo (Decreto legislativo, 06/09/2005 n° 206).  Da un lato, è fuorviante quando vengono fatte affermazioni ambientali errate e quindi non veritiere. Si prenda a esempio un materiale di imballaggio che viene pubblicizzato come "biodegradabile" o "riciclabile", anche se ciò non corrisponde al vero. È inoltre vietato dichiarare una falsa percentuale di materiale riciclato contenuto (ad es. "riciclato al 100 per cento"). Nel calcolo può essere incluso solo il materiale di partenza che è stato riciclato in modo verificabile. Tuttavia, spesso non è così facile dimostrarlo per i produttori dell'imballaggio o dei prodotti in esso contenuti (ad es. alimenti e beni di consumo). Cosa significa esattamente "riciclato" e cosa capiscono con ciò i destinatari della pubblicità? In questo caso è necessaria una difficile opera d’interpretazione giuridica, che in ultima analisi richiede la conoscenza del diritto sia in materia di pubblicità che di rifiuti, poiché i termini utilizzati come green claims hanno origine e sono regolati dalla legislazione sui rifiuti. Per questo motivo è spesso richiesta la consulenza di un esperto.  

Un'ulteriore fonte d’incertezza sul piano giuridico si individua anche nel fatto che anche le affermazioni ambientali corrette, di fatto, possono indurre in errore il destinatario della pubblicità: a ben guardare, i benefici ambientali dichiarati non si esplicano affatto nel modo suggerito al consumatore.  Questo tipo di pubblicità è inammissibile se è suscettibile di influenzare il comportamento del mercato, vale a dire, di norma, la decisione di acquisto del consumatore. Ad esempio, può capitare che un prodotto venga pubblicizzato come ecologico facendo leva su un'unica sua proprietà, il che è di fatto corretto, ma che, allo stesso tempo, esso presenti altre proprietà dannose per l'ambiente, cui non si fa riferimento. Un altro caso si ha quando un prodotto viene confrontato con uno ancora meno ecologico per presentarlo in una luce migliore. Anche vaghe affermazioni ambientali come "ecologico", "verde", "rispettoso della natura" o "sostenibile" possono essere facilmente fraintese, risultando quindi fuorvianti. Inoltre, sempre perché fuorviante, è vietato enfatizzare le caratteristiche ecologiche che sono di fatto prescritte dalla legge e quindi si applicano a tutti i prodotti della stessa categoria (c.d. divieto di pubblicità con fatti evidenti). Ciò deve essere tenuto in considerazione, ad esempio, nel caso dell'affermazione pubblicitaria "non sottoposto a sperimentazione animale" per i cosmetici, in quanto tale sperimentazione è vietata nell'UE dal 2013. Pertanto, una tale claim è ammissibile solo se, a tutti gli effetti, non è stata effettuata alcuna sperimentazione animale, neanche al di fuori dell'UE. 

Problemi legali legati alla valutazione dell'idoneità a trarre in inganno


È sempre opportuno decidere caso per caso se la pubblicità è effettivamente vietata perché ingannevole, a meno che non si tratti di una pratica commerciale della c.d. "lista nera" dell'allegato I Direttiva PCS o dell'allegato del Codice del Consumo. Secondo questo elenco, alcune pratiche commerciali ingannevoli, tra cui le dichiarazioni ecologiche, sono vietate in ogni caso, indipendentemente dagli effetti sortiti sul comportamento dei consumatori. Ciò include, tra l'altro, l'affermazione che un prodotto è stato approvato da un ente pubblico o privato (ad esempio, agenzia ambientale, organizzazione di normazione), sebbene ciò non sia vero o non sussistano le condizioni perché ciò sia possibile. Un altro esempio è l'uso non autorizzato di marchi di qualità, etichette di qualità o simili (ad esempio "Blaue Engel", "Naturland"). Per i casi non contemplati dalla "lista nera", invece, è richiesto l’accertamento della falsità o dell'ingannevolezza. Solo in alcuni casi giuridicamente standardizzati si presume che una determinata condotta sia idonea a trarre in inganno. Tra questi rientrano, ad esempio, le violazioni di codici di condotta con obblighi di tutela ambientale da parte di un'azienda che ha sottoscritto un tale codice, per quanto, anche in questa fattispecie, occorre sempre esaminare caso per caso se il consumatore prende effettivamente la sua decisione commerciale sulla base della conformità dei prodotti al codice. In tutti gli altri casi occorre individuare il significato di una dichiarazione pubblicitaria stando al grado di comprensione del pubblico di destinazione e se questo si discosta dalla realtà.  Di norma, i tribunali giungono a una tale determinazione sulla base delle proprie competenze e capacità di giudizio; perizie e sondaggi d'opinione sono necessari solo in casi eccezionali (cfr. Corte di giustizia delle Comunità europee, sentenza del 13.01.2000, Proc. C-220/98).  Va da sé che, dinanzi alla necessità di una tale valutazione, chi si fa pubblicità si trovi a sperimentare un'incertezza giuridica. Ciò è dovuto al fatto che la decisione è lasciata al vaglio delle autorità amministrative e giudiziarie, che si rifanno alla giurisprudenza nazionale e della Corte di giustizia. È quindi essenziale che l'azienda reclamizzata abbia familiarità con questo aspetto o che si avvalga di una consulenza legale esperta per verificare in anticipo la legalità della sua pubblicità ambientale. 
 
Infine, va notato che anche le norme tecniche stanno diventando sempre più importanti nel determinare se le affermazioni ambientali sono false o fuorvianti. È il caso della DIN EN ISO 14021:2016-07,  che stabilisce i requisiti generali sia per le indicazioni ambientali che per le dichiarazioni ecologiche specifiche (ad es. compostabile, riciclabile, contenuto riciclato, sostenibile, le dichiarazioni relative alle emissioni di gas a effetto serra, la cosiddetta "impronta di carbonio del prodotto"). Per quanto, in linea di principio, l'adozione di tali norme sia volontaria, è pur vero che possono semplificare l'applicazione concreta della legge. Ciò vale in particolare se, come nel caso in esame, nella formulazione e verifica di tali affermazioni devono essere presi in considerazione tutti gli aspetti significativi per l'ambiente del ciclo di vita del prodotto, vale a dire, anche numerosi aspetti tecnici. Anche il legislatore lo ha riconosciuto e ha reso obbligatoria l'applicazione di questa norma, ad esempio, per le indicazioni sul contenuto di materiale riciclato dei prodotti in plastica riciclata a contatto con gli alimenti (ad es. bottiglie per bevande in PET) facendo riferimento alla legge (cfr. 11 Regolamento (CE) n. 282/2008). La Commissione si era già richiamata a questa norma internazionale quando ha elaborato le Linee guida per effettuare e valutare le asserzioni ambientali

Un fatto è certo: la valutazione giuridica delle green claims è una questione complessa. In particolare, devono essere chiare, precise, verificabili e precise; non devono essere fuorvianti. Per via del loro alto potenziale di essere fraintese dai consumatori le affermazioni ambientali vaghe o non specifiche, o che implicano in termini generali che un prodotto è ecologico o rispettoso dell'ambiente, non dovrebbero essere utilizzate. La giurisprudenza richiede quindi asserzioni formulate in modo chiaro che indichino perché, in che ambito e in che misura un prodotto è rispettoso dell'ambiente. Se una rivendicazione ambientale da sola può dare adito a malintesi, deve essere accompagnata da una spiegazione supplementare. Tuttavia, l'obbligo di fornire informazioni nel contesto delle green claims non è illimitato. Secondo la recente giurisprudenza, non vi è alcuna dichiarazione ingannevole se i rispettivi fatti sono generalmente noti al consumatore medio informato e sono quindi evidenti. In ogni caso, le asserzioni ambientali devono essere basate su metodi scientificamente verificabili che siano il più possibile accettati e accessibili. Anche per il confronto dei prodotti in relazione alle indicazioni ambientali devono essere osservati criteri rigorosi (cfr. Direttiva 2006/114/CE attuata in Italia nel Decreto Legislativo 2 agosto 2007, n. 145).

La prospettiva: futuri rimedi giuridici individuali per i consumatori, un quadro di riferimento più preciso e una metodologia standard per la valutazione dell'impatto ambientale.


Per non minare la fiducia del consumatore nelle green claims saranno imposti loro requisiti rigorosi, che dovranno essere rispettati dagli operatori economici autori della pubblicità.  Questo non è utile solo alla tutela dei consumatori. Piuttosto, l'uso di affermazioni ambientali veritiere è importante anche per proteggere i commercianti che progettano i loro prodotti e le loro attività in modo ecocompatibile e fanno affermazioni oneste dalla concorrenza sleale da parte di coloro le cui affermazioni ambientali non hanno una base fattuale. Le violazioni possono quindi non implicare solo una punizione come reato normativo o penale, ma anche, in particolare, richieste di provvedimenti ingiuntivi e di risarcimento danni ai sensi del diritto in materia di concorrenza.  Nel corso della riforma del diritto europeo in materia di tutela dei consumatori (Direttiva (UE) 2019/2161) sono previste in futuro multe elevate in caso di violazioni transfrontaliere (almeno il 4 per cento del fatturato annuo dell'imprenditore). Inoltre, questa riforma richiede che i consumatori danneggiati da pratiche commerciali sleali abbiano accesso a rimedi efficaci nel diritto nazionale, tra cui il risarcimento dei danni, la riduzione dei prezzi o la risoluzione del contratto. Resta da vedere se i requisiti dell'UE porteranno effettivamente alla creazione di nuovi mezzi di ricorso per i consumatori nei singoli Stati membri, compresa l’Italia. 

Tuttavia, il fatto che il "greenwashing" sarà sempre più contrastato in futuro e che i requisiti per la pubblicità ambientale aumenteranno di conseguenza, è stato chiarito ancora una volta dalla Commissione europea nel Green Deal europeo. Per questo fenomeno nasce anche il pericolo di un'economia meno "verde". Di conseguenza, la Commissione chiede ora alle aziende di comprovare la loro pubblicità ambientale utilizzando un metodo standard per la valutazione dell'impatto ambientale, in particolare i metodi di misurazione dell'impronta ambientale dei prodotti e delle organizzazioni (cfr. il Piano d'azione per l'economia circolare del marzo 2020). Resta da vedere quali misure legislative concrete saranno effettivamente attuate in futuro. Tuttavia, le aziende interessate dovrebbero seguire da vicino gli sviluppi e dare la giusta importanza alla verifica sotto il profilo legale delle dichiarazioni ambientali relative ai prodotti e alle aziende, ad esempio affrontando i rischi associati nei programmi di conformità interni. 

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Barbara Klaus

Avvocato, Attorney at law (Germania)

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