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Commercio con la Cina: quali prospettive alla luce della recente emergenza sanitaria?

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Aggiornamento del 02.03.2020


Recentemente la Cina è stata colpita dalla gravissima emergenza sanitaria causata da nuovo coronavirus, a seguito della quale è stato disposto il blocco di parte del Paese e delle sue strutture produttive e di commercio, per bloccare la propagazione del virus e contenere il numero di vittime e di contagi. A fronte di tale situazione, quali prospettive e scenari dovranno aspettarsi le aziende italiane impegnate in scambi commerciali con la Cina?


La Cina è da sempre considerato un paese ricco di contraddizioni: durante gli ultimi 20 anni ha presentato un fortissimo sviluppo economico da un lato, divenendo addirittura un motore per l'economia mondiale soprattutto nell'ultimo decennio, ma allo stesso tempo è caratterizzato da un'economia legata ancora, in larga misura, a logiche agricole per la maggior parte della propria popolazione. La Cina rappresenta uno dei principali mercati globali di sbocco ed è considerata insieme a Stati Uniti ed India fra le 3 maggiori economie a livello mondiale: basta considerare che ad oggi circa un quarto del PIL mondiale è made in China.

Come noto, di recente tale potenza economica è stata colpita dapprima dalla guerra doganale con gli Stati Uniti nel 2019, ed a cavallo fra 2019 e 2020 dalla gravissima emergenza sanitaria determinata dal propagarsi del c.d. "Coronavirus" presso la popolazione cinese. Come conseguenza, le autorità locali hanno di fatto bloccato parte del Paese e delle sue strutture produttive e di commercio, al fine di bloccarne la propagazione in termini di vittime e di contagi.


Gli effetti di tale emergenza sanitaria purtroppo si sono propagati anche in Italia ed in altri paesi al di fuori della Cina, con notevoli rischi sanitari per la popolazione mondiale e per la tenuta della economia e dei bilanci delle aziende situate nelle nazioni più colpite.


Ciò non bastasse, il rallentamento stesso della economia cinese, che negli anni recenti è stata definita spesso la c.d. "locomotiva cinese", di fatto avrà ripercussioni sulle PMI italiane sia per quanto riguarda la diminuzione della domanda di prodotti italiani, sia per quanto riguarda la produzione di beni che sono stati oggetto di delocalizzazione produttiva da parte delle aziende italiane.


Avendo la classe media cinese superato per potere di acquisto quella americana, risulta evidente l'impatto dell'attuale contesto emergenziale cinese anche sulle aziende italiane che fanno business con la Cina.


Per quanto riguarda gli scambi commerciali Italia-Cina, secondo fonti Eurostat, le merci prodotte dalle industrie italiane e dirette al mercato cinese, nel 2018 hanno superato i 13 miliardi di euro (per capire l'entità di tale valore, si pensi solo che l'ultima "Manovra di Bilancio" ha avuto un valore di 23 miliardi di Euro). Tale flusso di beni italiani diretti verso i mercati cinesi è controbilanciato dal volume di import cinese che nel 2018 è stato di 31 miliardi di Euro. Entrami i dati, sia l'export che l'import italiano verso e dalla Cina subiranno forti rallentamenti durante il 2020.


Quanto al paragone in termini di export verso la Cina degli altri Paesi EU si consideri che: l'export tedesco diretto in Cina ammonta a 93 miliardi di Euro, quello del Regno Unito supera i 23 miliardi di Euro, e quello francese circa 21 miliardi di Euro.


In particolare si pone in evidenza che, come riportato dal report "Esportare la Dolce Vita" del Centro Studi di Confindustria, fra le economie emergenti, i mercati principali prospettici per l'export del settore delle "3 F" (ossia Food, Fashion and Fornitures) la Cina risulta essere al primo posto (3,3 miliardi di Euro di potenziale ancora da sfruttare), seguita da Emirati Arabi Uniti (1,3 miliardi d Euro), Qatar (0,8 miliardi di Euro), Arabia Saudita (0,8 miliardi di Euro), e Russia (0,6 miliardi di Euro).


Quanto alle prospettive economiche future, secondo recenti stime, la crescita del Pil della Cina, dopo aver segnato una crescita a due cifre negli ultimi 20 anni con evidenza di un rallentamento nell'ultimo quinquennio, ora a causa dei recenti fatti emergenziali si stima rallenterà a circa il 5% nel 2020. L'entità del rallentamento dipenderà dalle tempistiche necessarie per il contenimento della emergenza sanitaria. La previsione intorno 5% per il 2020 si confronta con la precedente attesa di un incremento del 5,7% diffusa prima dell'epidemia. Nonostante l'incertezza del contesto attuale, le ipotesi di base sono che il virus sarà contenuto entro marzo 2020. Allo stesso tempo, l'agenzia S&P ha rivisto al rialzo la sua stima sulle previsioni di crescita della Cina nel 2021, evidenziando un probabile rimbalzo e portandole dal 5,6% al 6,4%.


Quello determinato dalla emergenza sanitaria, ha rappresentato dunque il primo esercizio globale di deglobalizzazione, con la avvenuta limitazione, per la prima volta, degli spostamenti di persone e cose da e per la Cina. Si tratta di una quarantena di circa 60.000.000,00 di persone su un totale di 1,4 miliardi di cittadini.


Tutto ciò potrebbe determinare nella fase post-emergenza sanitaria anche meccanismi di "re-shoring" da parte di aziende estere con branch in Cina, le quali valutando il contesto produttivo  cinese troppo rischioso e non più vantaggioso, potrebbero rimpatriare determinate produzioni.


Secondo gli analisti più quotati la maggior parte dell'impatto economico del coronavirus si dovrebbe far sentire nel primo trimestre del 2020, e la ripresa della Cina sarà stabilmente avviata entro il terzo trimestre.


Per rendere l'idea di quanto accaduto di recente e caratterizzante il contesto economico cinese, si evidenza che molte aziende straniere hanno temporaneamente bloccato le proprie attività economiche in Cina; alcuni esempi:

  • Capri holding (a cui fa riferimento il brand Michael Kors) ha chiuso 2/3 dei propri negozi;
  • Apple ha chiuso 2/3 dei propri negozi;
  • Starbucks ha chiuso tutti i suoi punti vendita in Cina (circa 2.300).


Secondo alcune stime, il danno stimato per le aziende italiane del fashion è al momento calcolato in circa Euro 300.000,00. Ciò è determinato dal fatto che i cinesi sono i primi consumatori di prodotti di lusso sia attraverso i loro acquisti in Cina sia attraverso il flusso di turisti che è inevitabilmente venuto meno.


Ad aver avuto la peggio non sono solo dunque il comparto turistico e le grandi aziende produttrici di beni di lusso, ma anche i retailer della moda o le multinazionali dell'auto in quanto varie fabbriche sono state chiuse forzatamente.  


D'altro lato, vari servizi resi tramite e-commerce hanno visto aumentare le vendite durante gennaio e febbraio 2020:

  • Alibaba e JD.com, due piattaforme di e-commerce in Cina, hanno lanciato servizi di consulenza gratuiti, dove migliaia di medici professionisti provenienti da tutto il paese forniscono servizi sanitari;
  • JD fresh, divisione alimentari freschi e delivery del colosso cinese ha mostrato che gli ordini sono aumentati del 215% nei primi 9 giorni del capodanno cinese;
  • Missfresh, un'altra app di consegna di alimenti freschi ha visto aumentare i suoi ordini;
  • Settori come l'insegnamento on-line stanno assistendo ad un aumento degli utenti poiché le scuole in Cina hanno dovuto ritardare l'apertura del semestre primaverile;
  • Foxconn la più grande fabbrica di I-phone  al mondo è stata chiusa.

Si pone anche in evidenza che fino al 14 febbraio la Cina ha rilasciato, 1.615 certificati per "causa di forza maggiore" attraverso il China Council for the Promotion of International Trade (Ccpit) con il conseguente blocco di contratti per 15,7 miliardi di dollari. I certificati emessi riguardano aziende di oltre 30 settori, per un valore contrattuale totale di 109,9 miliardi di yuan. Tali certificati proteggono le aziende dai danni legali derivanti dalla ritardata produzione, poiché le misure di quarantena imposte dalle autorità hanno impedito a molti lavoratori di tornare alle loro postazioni di lavoro (sui certificati per "cause di forma maggiore" leggi anche questo articolo).


Allo stesso tempo sono state messe in atto da parte delle autorità locali delle politiche agevolative a favore delle aziende più colpite con posticipazione delle principali scadenze fiscali e contributive, con aumento del periodo di riporto delle perdite (da 5 a 8 anni) per le aziende delle località maggiormente colpite dalla crisi, con misure di supporto finanziario per le aziende appartenenti ai settori maggiormente colpiti, e con la calmierazione imposta al costo degli affitti commerciali per le aziende maggiormente colpite.


Infine risulta chiaro quanto tale contesto sia negativo sia per quelle aziende italiane che esportino in Cina, ma anche per la filiera produttiva italiana facente parte a determinati settori, ad esempio l'ecosistema moda o il settore manifatturiero, che a causa di ritardi nella consegna di beni prodotti in Cina da inglobare nelle produzioni italiane si trovano impossibilitate a soddisfare la domanda dei propri consumatori. Per lo stesso motivo risulta gravemente colpito anche il comparto italiano del trasporto via mare, l'intera filiera della logistica, il settore dell'autotrasporto ed i centri di stoccaggio.


Conclusioni

  • Per quanto riguarda le prospettive economiche dunque non ci dovrebbero essere scelte drastiche di aziende che lasceranno per sempre la Cina
  • Forse da parte delle aziende estere con presenza in Cina, saranno adottate politiche prudenziali e verrà diminuito il valore degli assets esteri detenuti in Cina, con anche probabili fenomeni di c.d. "re-shoring" (fenomeno economico che consiste nel rientro delle aziende che in precedenza avevano delocalizzato le proprie produzioni)
  • Le conseguenze economiche negative derivanti dalla contrazione della domanda cinese, soprattutto indirizzata verso i settori del lusso Made in Italy si sommeranno a quelle derivanti dal contesto emergenziale scoppiato di recente anche in Italia
  •  Gli Stati coinvolti nel contesto emergenziale sanitario attuale (sia Cina che Italia) hanno posto in essere misure economiche e amministrative al fine di limitare i danni economici oltre che sanitari, provocati dalla diminuzione delle attività commerciali e dallo stop imposto alle attività economiche nelle regioni più colpite
  • La durata dello stop imposto alle aziende cinesi dipenderà dalle tempistiche di isolamento del virus e dalla messa in sicurezza delle persone da parte delle autorità cinesi. Secondo gli analisti più quotati la maggior parte dell'impatto economico del coronavirus si dovrebbe far sentire nel primo trimestre del 2020, e la ripresa della Cina sarà stabilmente avviata entro il terzo trimestre anno. Ma si tratta di stime
  • Probabilmente i canali di vendita online riceveranno un ulteriore impulso nella fase post emergenziale per quanto riguarda il commercio transnazionale fra Italia e Cina
  • La ripresa dei rapporti commerciali Italia- Cina dipenderanno anche dalla capacità delle autorità italiane nel fronteggiare nel più breve tempo possibile l'emergenza sanitaria italiana e la conseguente emergenza economica relativamente ai settori ed alle Regioni maggiormente colpite

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Emanuele Spagnoletti Zeuli

Dottore Commercialista e Revisore legale

Senior Associate

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