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L’agente di commercio secondo la corte europea

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Ultimo aggiornamento del 22.09.2020 | Tempo di lettura ca. 7 minuti​


Con sentenza del 4 giugno 2020, la Nona Sezione della Corte di Giustizia Europea (C-828/18) ha stabilito che la definizione di agente di commercio comprende chi promuove la vendita di beni o servizi in nome e/o per conto del preponente, a prescindere dal potere di trattare i prezzi di vendita. 

Tale precisazione si è resa necessaria per far fronte a un orientamento della giurisprudenza francese che, in base alla Loi n. 91-593, aveva finora negato la qualifica di agente di commercio (e il riconoscimento dell’indennità di fine rapporto) agli agenti privi del potere di negoziazione e di firma in nome dell’impresa mandante.

La questione interpretativa è stata sollevata nel 2018 dal Tribunal De Commerce di Parigi, chiamato a dirimere la controversia insorta tra la società Trendsetteuse SARL e il suo agente DCA SARL. Sosteneva il preponente che l’agente non avesse diritto ad alcuna indennità di fine rapporto perché “[…] Trendsetteuse non disponeva del potere di modificare le condizioni di vendita degli articoli da essa venduti per conto della DCA, in particolare di modificare i prezzi di tali articoli così come fissati da quest’ultima” (cfr. par. 15 sentenza C-828/18). 

La Corte di Giustizia Europea, ricostruendo la definizione di agente di commercio di cui all’art. 1 della Direttiva 86/653 sul coordinamento dei diritti degli Stati membri concernenti gli agenti commerciali indipendenti, ha concluso che il potere di trattare il prezzo dei beni/servizi non è un elemento essenziale del contratto di agenzia. 

Secondo la Corte, “[…] trattare per un’altra persona […] la vendita o l’acquisto delle merci […]” è una definizione che garantisce massima libertà di azione all’agente di commercio, che ha come obiettivo quello di sviluppare e/o incrementare le attività di vendita e il volume di affari del preponente e che può raggiungere questo scopo anche solo mediante azioni di informazione, promozione e consulenza. 

Ne consegue che, secondo l’ordinamento comunitario, può dare luogo a un rapporto di agenzia commerciale anche quel contratto in base al quale un soggetto (agente), svolgendo attività informativa, consulenziale o ricerche di mercato, promuova stabilmente per conto di un’altra parte (preponente) la conclusione di affari in una zona determinata, ovvero operi ai fini della conclusione di contratti, ancorché agisca senza poteri di rappresentanza né margini di trattativa.

Nel valutare quando si possono considerare integrati i requisiti essenziali di un contratto di agenzia, quindi, i giudici comunitari hanno valorizzato la sostanza sulla forma: in altre parole – si può dedurre – non si deve negare la qualifica di agente (e non si possono non riconoscere le relative tutele, anche economiche) a quel soggetto che abbia svolto attività strettamente funzionali alla conclusione di un affare, anche se l’affare si dovesse perfezionare con un contratto formalmente sottoscritto e concluso direttamente ed esclusivamente dal preponente con il terzo. 

Questa recente pronuncia è in linea non solo con l’impostazione “sostanzialista” già adottata dalla giurisprudenza italiana (v. sentenze della Corte di Cassazione concernenti il caso Philip Morris ), ma anche con la nuova definizione di stabile organizzazione “personale” contenuta nell’Action 7 del Progetto BEPS (Domestic tax base erosion and profit shifting), con cui l’OCSSE (Organisation for Economic Co-operation and Development) ha modificato il testo del § 5 dell’articolo 5 del Modello di Convenzione contro le doppie imposizioni, partendo proprio da un concetto sostanziale di agente indipendente.

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Giovanni Montanaro

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