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Responsabilità fiscale dei soci nelle società di persone e di capitali

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​​​​​​​​​​Ultimo aggiornamento del 20.11.2025 | Tempo di lettura ca. 3 minuti​


La responsabilità dei soci per i debiti tributari della società è diventata un tema centrale del diritto tributario. Non è più una questione da manuale universitario: oggi incide sulla vita quotidiana delle imprese, sui loro assetti organizzativi e soprattutto sulla serenità di chi guida società di persone o di capitali. La recente Ordinanza della Cassazione del 1° novembre 2025 n. 28888 conferma una linea ormai evidente: l’Amministrazione finanziaria è sempre più attenta a ciò che accade “dietro” la società, e i soci non possono più considerarsi al riparo per il solo fatto di avere scelto una forma societaria teoricamente limitativa della responsabilità.

La Corte chiarisce che, per estendere la responsabilità ai soci, non basta un semplice automatismo o la presunzione che essi abbiano beneficiato della vita della società ma l’Ufficio deve dimostrare alcuni elementi concreti: ad esempio, la percezione di somme, la distribuzione di utili fuori controllo, operazioni di liquidazione poco trasparenti o movimenti patrimoniali che abbiano ridotto la garanzia dei creditori, fisco compreso. 

È un principio del tutto coerente con la decisione delle Sezioni Unite n. 3625 del 12 febbraio 2025, che aveva stabilito come — nelle società estinte o liquidate — i soci rispondano solo entro quanto effettivamente incassato. Ma la stessa sentenza evidenziava un passaggio chiave: se ci sono condotte o operazioni che hanno svuotato la società, la responsabilità può estendersi ben oltre il capitale conferito.

Nelle società di persone il discorso è ancora più diretto. La responsabilità solidale e illimitata dei soci non è uno slogan giuridico ma un dato reale. Qui la Cassazione non scopre nulla di nuovo, ma rafforza un concetto: il socio deve vigilare. Non può chiamarsi fuori perché “non sapeva” o perché “non si occupava della contabilità”. La Corte richiama più volte il dovere di diligenza del socio, che non è più una nozione astratta ma una responsabilità concreta: seguire l’andamento della gestione, pretendere informazioni, verificare i documenti e, se serve, sollevare questioni interne. La responsabilità nasce spesso non dalla partecipazione ad atti dannosi, ma dal non aver impedito che accadessero.

Nelle società di capitali la dinamica è diversa, ma l’evoluzione giurisprudenziale va nella stessa direzione. La responsabilità “limitata” non è un salvacondotto. La Corte lo ribadisce: se il socio — direttamente o indirettamente — beneficia di operazioni che impoveriscono la società o partecipa a distribuzioni patrimoniali anomale, la responsabilità può riemergere in forma piena. Le pronunce del 2025 sottolineano che il fisco può legittimamente chiedere al socio quanto necessario, purché sia dimostrato un vantaggio, un trasferimento o un comportamento che abbia concorso a ridurre ingiustamente il patrimonio sociale. Non si parla, quindi, di un’estensione automatica della responsabilità: si parla di responsabilità fondata su fatti concreti. 

In questo scenario, il rapporto tra socio e società assume un’importanza decisiva. Non basta essere “soci silenti”: occorre essere soci consapevoli. E non basta affidarsi al consulente o al commercialista: l’amministrazione finanziaria richiede un livello minimo di attenzione attiva da parte di chi investe, guida o controlla un’impresa. L’ordinanza del 1° novembre 2025 non apre scenari punitivi; semplicemente ribadisce che l’impresa non è solo un contenitore giuridico, ma un organismo di cui i soci sono parte integrante e responsabile.

La vera indicazione che emerge da queste pronunce è che la responsabilità fiscale, oggi, non è più un rischio episodico: è un elemento strutturale della governance. Per evitarla — o almeno per ridurla — servono trasparenza, organizzazione interna, tracciabilità delle decisioni, corretta gestione dei flussi patrimoniali e, soprattutto, buon senso imprenditoriale. Non è un tema da affrontare quando arriva un accertamento: è un tema da curare nella vita ordinaria della società.

In definitiva, la Cassazione ci dice qualcosa di semplice e molto concreto: il socio che partecipa ai benefici della società deve essere pronto a rispondere anche quando quei benefici derivano da operazioni disallineate rispetto ai principi fiscali. E il socio che non controlla, non verifica, non chiede e non vigila non può pretendere di essere del tutto estraneo alla gestione. È una logica che premia trasparenza e responsabilità. E, alla fine, è una logica che — se ben gestita — protegge imprese e soci più di quanto non li esponga.​​​

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Stefano Damagino

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