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Nuovi criteri di residenza fiscale per le società

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​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​Ultimo aggiornamento del 27.09.2024 | Tempo di lettura ca. 6 minuti


Il D.Lgs. n.209/2023, modificando il comma 3 dell’articolo 73 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi ha fissato nuovi criteri di collegamento per le società di capitali con il territorio dello Stato, al fine di determinarne la residenza fiscale. 

Nel seguito si esaminano alcuni aspetti riguardanti: (i) il superamento del requisito dell’“oggetto principale” ed (ii) il coordinamento della disciplina afferente la residenza fiscale con la disciplina delle Controlled Foreign Companies.

Le modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 209/2023​​

Nell’apprezzabile tentativo di rafforzare la certezza giuridica e la competitività del sistema fiscale domestico il legislatore delegato ha incrementato il legame della norma con la “prassi internazionale” (articolo 3 comma 1 lett. c) della legge delega del 9 agosto 2023), modificando il contenuto dell’art. 73 del TUIR, e provvedendo ad eliminare il criterio dell’“oggetto principale” ed a sostituire il criterio della “sede dell’amministrazione” con i due criteri della “sede di direzione effettiva” e della “gestione ordinaria in via principale”, resta fermo, invece, la regola generale della “sede legale”.

Alla luce di quanto sopra, si può apprezzare un avvicinamento dell’Italia alle posizioni OCSE, che già con il Modello del 2017 perseguivano un criterio pratico e fattuale, basato sul concetto della sede di direzione effettiva (place of effective management o nel seguito anche “PoEM”).

I criteri della “sede di direzione effettiva” e della “gestione ordinaria in via principale” esprimono, infatti, la ratio della novella legislativa, sottolineando la rilevanza degli aspetti di natura fattuale, rispetto ai requisiti formali. La loro lettura combinata segna il superamento del riferimento alla sede dell’amministrazione, che ha determinato significative difficoltà interpretative ed applicative. 

Pertanto, mentre il criterio della “sede legale” (che permane rispetto alla previgente formulazione) rappresenta un elemento di necessaria continuità con la normativa in vigore anteriormente alla riforma, quelli della “sede di direzione effettiva” e della “gestione ordinaria” presentano aspetti innovativi, ed è in merito a questi ultimi che appare opportuno fermarsi a riflettere, sollevando alcune considerazioni al riguardo.

Il superamento dell’oggetto principale, maggiore chiarezza per le holding estere detentrici di partecipazioni e di immobili in Italia ​​

Dal novero dei criteri di residenza fiscale di cui al comma 3 dell’art. 73 del TUIR è stato eliminato, come si è detto, il criterio dell’“oggetto principale” che, al pari del concetto di “sede dell’amministrazione”, trovava la propria radice nel Codice Civile. La norma fiscale trasponeva, dunque, nell’ordinamento tributario un istituto di fonte civilistica.

Nella nuova versione del terzo comma dell’articolo 73 TUIR è più evidente la separazione tra i concetti di sede di direzione effettiva e quello di gestione ordinaria. 

Ora, come esaminato da Assonime attraverso la Circolare n.15 del 2024, si delinea un quadro in cui la società può essere considerata residente ai fini fiscali non solo quando in Italia sono assunte le decisioni strategiche (nella “sede di direzione effettiva”), ma anche quando è ivi localizzato il day-by-day management (la “gestione ordinaria in via principale”), nella misura in cui gli atti di gestione corrente non siano isolati ed episodici, ma dotati di un certo grado di coordinamento.

Proprio il collegamento al criterio del day-by-day management dovrebbe porre fine alle questioni che si erano in passato poste in merito all’interpretazione del termine “oggetto principale”, che taluna giurisprudenza aveva individuato non nel luogo dove è localizzata la gestione corrente della società, ma nel luogo dove sono localizzati i beni sociali: il tema risultava di interesse, in particolare, per le società immobiliari e per le società holding.

La nuova configurazione dovrebbe ridimensionare l’impatto di alcune distorsioni, data la sostituzione di entrambe le regole di fonte civilistica con criteri che meglio valorizzano le due anime del PoEM (ossia a ciò che la dottrina definisce come central management and control e day-by-day management). L’eliminazione del criterio dell’oggetto principale dovrebbe, infatti, di per sé escludere, ad esempio, che le holding estere possano essere considerate residenti in Italia per il solo fatto di possedere prevalentemente partecipazioni in società controllate residenti (fattispecie finora confusa con la presenza in Italia dell’“oggetto principale”).

 Per  tali società, alla luce della novità normativa, sarà più facile valorizzare la mancanza o meno di un criterio di collegamento con l’Italia, rilevando come le attività proprie delle medesime dovrebbero coincidere, per esempio, con la valutazione e il supporto nella redazione dei piani economici delle società controllate, piuttosto che nell’approvazione di nuovi investimenti con l’utilizzo della liquidità ricevuta dalle stesse, così come le attività di gestione ordinaria dovrebbero coincidere, ad esempio, con il monitoraggio degli investimenti effettuati. 

Il coordinamento fra i nuovi criteri di residenza fiscale con la disciplina CFC​

Secondo l'attuale art. 167 del TUIR, in merito al regime delle Controlled Foreign Companies, è possibile optare per l’applicazione di un’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi, pari al 15 per cento dell’utile contabile netto dell’esercizio di ciascuna controllata, a prescindere dalla verifica del livello di tassazione effettiva estera. La normativa è stata modificata dall'art. 3 del D.Lgs. 209/2023, coordinando la verifica del livello impositivo della partecipata estera con la disciplina della tassazione minima globale del 15 per cento (BEPS Pillar 2) ed ha introdotto un innovativo regime opzionale di imposizione sostitutiva.

Al fine di fruire del particolare regime di favore, il bilancio d'esercizio dei soggetti controllati non residenti deve essere oggetto di revisione e certificazione da parte di operatori professionali a ciò autorizzati nello stato estero di localizzazione. 

Tuttavia, occorre valutare adeguatamente la novità normativa nel suo declinarsi nelle scelte imprenditoriali. Infatti, a buona ragione e per scelte di semplificazione nella gestione della compliance, un’impresa potrebbe decidere, occorrendone i presupposti, di optare per la applicazione semplificata della disciplina CFC, scegliendo aprioristicamente di non valorizzare la eventuale circostanza esimente. La scelta potrebbe derivare ad esempio, dalla volontà di evitare una onerosa raccolta di dati od il coinvolgimento nella analisi delle controllate non residenti. In tal caso, l’impresa che decidesse di sfruttare la procedura semplificata, per effetto di una mancanza di collegamento -ad oggi- fra la disciplina afferente la residenza fiscale e quella relativa alle società estere controllate, potrebbe riscontrare alcune criticità.  

Non si può escludere, infatti, che per la Amministrazione Finanziaria laddove una società residente consideri applicabili le norme in materia CFC, presupponga che sia la società medesima a qualificare la controllata estera che realizza passive income come entità non giuridicamente ed economicamente autonoma, motivo per il quale -di fatto- essa opta per la applicazione della disciplina; anche laddove ciò avvenga meramente per scelta di semplificazione. Pertanto, a partire dal periodo di imposta 2024, le imprese dovranno effettuare alcune approfondite valutazioni fattuali sia circa i criteri di sostanza economica (CFC) che di residenza, valutando attentamente le norme alla luce delle novità introdotte dal legislatore.

Infatti, se da un lato non dovrebbero sorgere particolari problemi finché si ricade nella tassazione ordinaria per trasparenza con conseguente assoggettamento del reddito della controllata estera ad una aliquota di imposta pari al 24 per cento (caso in cui non si applica la imposta sostitutiva del 15 per cento). Dall’altro lato, seguendo il caso di cui sopra, la società che si trovi nella condizione di poter optare per il regime semplificato da cui la facoltà di applicare un prelievo del 15 per cento su una base imponibile “forfettizzata”, non potrebbe escludere, tuttavia, che la Amministrazione Finanziaria successivamente indaghi e verifichi se il contribuente abbia inteso avvalersi dell’istituto applicando una imposizione più mite  ovvero se in Italia risieda la sede di direzione effettiva o la gestione ordinaria in via principale dell’ entity. 

Qualora ne ricorrano i presupposti, al reddito della controllata estera potrebbe essere, quindi, applicata una imposta pari al 24 per cento (imputazione per trasparenza) sollevando un’eccezione in materia di residenza ex articolo 73 del TUIR., anche in caso di previa applicazione della imposta sostitutiva (CFC) del 15 per cento. ​​

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