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Il solo deposito del ricorso monitorio non è idoneo ad interrompere il termine di prescrizione del credito

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​​​​​​​​​​​​​​​Ultimo aggiornamento del 9.09.2024 | Tempo di lettura ca. 7 minuti


Con l’Ordinanza n. 27944, pubblicata il 23 settembre 2022, la Corte di Cassazione, Sesta Sezione Civile, si è pronunciata sul tema della prescrizione affermando che “Il solo deposito del ricorso monitorio nella cancelleria del giudice, prima e indipendentemente dalla sua notifica unitamente al decreto ingiuntivo, non può considerarsi idoneo a produrre l'effetto interruttivo dei termini di prescrizione”.

L’Ordinanza trae origine da una sentenza con cui il Tribunale di Roma ha confermato la decisione resa dal Giudice di primo grado che, accogliendo l’opposizione proposta dal debitore, aveva revocato il decreto ingiuntivo emesso per il pagamento della provvigione dovuta per l’attività di mediazione svolta, ritenendo che il credito di cui al decreto ingiuntivo si fosse prescritto. 

In particolare, a detta del Tribunale, la prescrizione del diritto a ricevere il pagamento della provvigione era maturata perché era trascorso più di un anno tra la ricezione della lettera di messa in mora da parte del debitore e la notifica del ricorso con il pedissequo decreto ingiuntivo. Di avviso contrario era, invece, parte creditrice che, nel corso del giudizio di merito, eccepiva di aver depositato presso la Cancelleria del Giudice di Pace il ricorso per ingiunzione prima che decorresse il termine di prescrizione e che, pertanto, l’iscrizione a ruolo nel procedimento monitorio dovesse essere intesa come un interruttivo della prescrizione.

Tuttavia, nonostante le difese svolte, il Tribunale ha comunque ritenuto prescritto il diritto di credito revocando il decreto ingiuntivo emesso dal Giudice di Pace. In considerazione di quanto precede, dunque, il creditore si è visto costretto a presentare ricorso per Cassazione avverso la sentenza emessa dal Tribunale di Roma, lamentando l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio. Più precisamente,  parte ricorrente sosteneva che il deposito del ricorso per ingiunzione fosse l'ultima possibile azione di impulso del creditore al fine di far valere il proprio diritto, nonché il termine interruttivo della prescrizione annuale e che nessun'altra attività di impulso fosse prevista a carico della parte procedente dal momento del deposito del ricorso, fino al momento definitivo dell'emissione del decreto ingiuntivo stesso. Ciò che sostiene parte ricorrente è che non sarebbe logicamente possibile penalizzare il creditore per un'azione di impulso spettante all'ufficio, laddove la sua attività, eseguita invece correttamente e nei tempi di legge, si era esaurita in attesa dell’emissione del provvedimento. 

Tuttavia, la conclusione a cui è giunta la Suprema Corte ha confermato il principio di diritto che già da tempo stava iniziando a prendere piede e che muove dal presupposto che qualsiasi atto, per avere un’efficacia interruttiva della prescrizione, deve avere natura recettizia e, pertanto, “il solo deposito del ricorso monitorio (…) non può considerarsi idoneo a produrre l'effetto interruttivo dei termini di prescrizione”. Infatti, la Suprema Corte ha ribadito che quando una domanda giudiziale viene introdotta con la vocatio iudicis e non con la vocatio in ius, l'effetto interruttivo di cui all’art. 2943 c.c. si produce al momento in cui l'atto introduttivo perviene nella conoscenza di fatto o legale della controparte. In tal senso, dunque, “nessun rilievo può assumere la circostanza che il tempo decorso dal (presunto) effettivo deposito del ricorso e la sua successiva iscrizione a ruolo sia addebitabile esclusivamente a inerzia e cattiva organizzazione dell'ufficio, dal momento che tale circostanza non impediva comunque al creditore ingiungente di notificare altro diverso atto interruttivo idoneo nelle more a interrompere la prescrizione”. 

In sostanza, l’intero ragionamento su cui si fonda l’Ordinanza in commento prende le mosse dalla struttura e dalla natura propria del ricorso per decreto ingiuntivo e mette in luce la differenza strutturale che lo contraddistingue rispetto al procedimento sommario (oggi superato dalla Riforma Cartabia che lo ha sostituito con il procedimento semplificato). Infatti, a differenza del procedimento semplificato, prima rito sommario, il ricorso per decreto ingiuntivo si sostanzia in un procedimento inaudita altera parte che non comporta l’instaurazione di un vero e proprio giudizio e di cui il debitore viene a conoscenza solo con la notifica del decreto ingiuntivo che avviene una volta emesso il titolo.

Pertanto, il mero deposito in cancelleria del ricorso per decreto ingiuntivo non è ritenuto di per sé solo idoneo ad interrompere la prescrizione: tale effetto può essere integrato solo una volta che si è provveduto alla notificazione del ricorso medesimo e del pedissequo decreto, quale espressione della volontà dell’istante, manifestata al debitore, di interrompere la situazione di inerzia che condurrebbe all’estinzione del diritto.

Posto quanto precede, sebbene siano trascorsi due anni da tale pronuncia, il tema risulta ancora oggi più che attuale. Come noto, infatti, l’Ufficio del Giudice di Pace è stato di recente oggetto di notevoli innovazioni in considerazione dell’implementazione del processo telematico e delle modifiche apportate dalla Riforma Cartabia. Ebbene, trascorso oltre un anno da tali novità, l’informatizzazione dell’Ufficio del Giudice di Pace presenta differenti criticità connesse, principalmente, (i) alla mancata formazione del personale e alla conseguente incapacità di tali uffici di far fronte alle innovazioni telematiche (ii) alla mancanza di infrastrutture adeguate che permettono l’utilizzo dei supporti informatici e (iii) al sottodimensionamento di tali Uffici in termini di personale.

Tali aspetti critici, per quanto qui rileva, determinano necessariamente una serie di problematiche, soprattutto nei Fori di maggiori dimensioni. Si riscontra, infatti, un ritardo nei tempi di apertura delle PEC di deposito da parte delle Cancellerie (fino addirittura a dover attendere 7 mesi per ricevere la conferma dell’avvenuta iscrizione a ruolo e la conseguente indicazione del numero di ruolo assegnato al fascicolo), nonché il conseguente ritardo nell’emissione dei provvedimenti monitori che vengono concessi mesi e mesi dopo l’iscrizione a ruolo del ricorso.
Per quanto riguarda l’Ufficio del Giudice di Pace di Roma, da una recente indagine del Movimento Forense è emerso che esso presenta una scopertura dell’organico di oltre il 70 per cento, e, a seguito della modifica del rito, si è già accumulato un ritardo superiore a 4 mesi soltanto per l’esame iniziale degli atti ai fini dell’iscrizione a ruolo dei procedimenti. Lo stesso Movimento Forense ha rilevato anche che ad una decina di Giudici era stata affidata la gestione di tutti i procedimenti monitori che hanno registrato in un anno circa 13.000 ricorsi depositati, e si tratta degli stessi Giudici che devono anche assumersi il carico dei procedimenti ordinari.

Conseguentemente, tali problematiche rendono più che attuale e certamente rilevante il principio di diritto sancito dall’Ordinanza in commento. Infatti, il rischio che si incappi nella prescrizione del diritto di credito, viste proprio le lungaggini procedurali degli Uffici, è più che evidente. 

Prendiamo l’esempio, del diritto alla provvigione vantato dal mediatore per l’attività di mediazione svolta che, si prescrive in 1 anno. Dunque, a seguito della notifica della lettera di messa in mora, il creditore, al fine di vedersi riconosciuto da un Giudice il proprio diritto di credito non potrà far altro che  depositare un ricorso per ingiunzione che, nel caso di un credito inferiore ad Euro 10.000,00 sarà di competenza del Giudice di Pace. Ebbene, è proprio in questo caso che sorgono i problemi di cui sopra. Infatti, il creditore che ha depositato il ricorso, potrebbe sentirsi “sicuro” della propria posizione e si potrebbe, quindi, limitare ad attendere l’emissione del decreto da parte del Giudice. 

Tuttavia, ciò che si evince dall’Ordinanza in commento e dal principio di diritto che ne discende è che il creditore deve comunque prestare la massima attenzione dei termini di prescrizione che continuano a decorrere dalla data in cui si è perfezionata la notifica della lettera di messa in mora e non si sospendono, né si interrompono per il solo fatto che il ricorso per decreto ingiuntivo è stato iscritto a ruolo. In sostanza, quindi le problematiche e i ritardi dovuti agli Uffici competenti potrebbero determinare il decorrere del termine di prescrizione e la conseguente prescrizione del diritto di credito vantato. È bene ricordare, infatti, che per giurisprudenza consolidata, la prescrizione si interrompe con la notifica dell’atto introduttivo del giudizio che presuppone la conoscenza/conoscibilità da parte del debitore dell’intenzione del creditore di azionare il proprio diritto di credito. È irrilevante che il giudice ci metta molto tempo ad emettere il decreto ingiuntivo facendo così decorrere i termini di prescrizione. 

Sul punto, dunque, nell’attesa di un auspicato intervento risolutore da parte del legislatore, l’unica opzione che resta al creditore è quella di “correre ai ripari” inviando, nelle more dell’emissione dell’ingiunzione, una nuova raccomandata al debitore con cui gli intimi il pagamento interrompendo in tal modo il decorso del termine prescrizionale.​

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