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Dispositivi medici o medicinali: la CGUE ne chiarisce i confini

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​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​Ultimo aggiornamento del 02.04.2025 | Tempo di lettura ca. 6 minuti

Numerose imprese sviluppano prodotti a base di sostanze con finalità mediche, la cui qualificazione giuridica non è sempre chiara. Infatti, le loro caratteristiche possono farli rientrare sia nella definizione di medicinale che di dispositivo medico. Tuttavia, un prodotto non può essere qualificato come entrambi. È quindi fondamentale determinare correttamente la sua qualificazione giuridica. Un errore potrebbe comportare gravi conseguenze per tutti gli operatori della catena di fornitura. A fare chiarezza è intervenuta la Corte di Giustizia UE con una sentenza del 13 marzo 2025.

Premessa

La regola generale prevede che un prodotto a base di sostanze con finalità medica debba essere qualificato alternativamente come dispositivo medico o come medicinale, escludendo espressamente la possibilità di una doppia qualificazione. Tale distinzione non ha carattere meramente formale, in quanto determina il regime normativo applicabile, incluse le procedure di valutazione della conformità e gli obblighi per gli operatori economici coinvolti nella catena di fornitura della filiera.

Per distinguere correttamente tra le due categorie, occorre partire dalle rispettive definizioni normative. L’art. 2 (1), regolamento (UE) 2017/745 sui dispositivi medici (“MDR”) li definisce come prodotti (sostanze incluse) destinati dal fabbricante ad essere utilizzati a fini medici specifici, la cui azione principale non è esercitata mediante mezzi farmacologici, immunologici o metabolici, ma è ottenuta tramite un meccanismo d’azione di tipo fisico o meccanico.
Invece, l’art. 1 (3) Direttiva 2001/83/CE sui medicinali per uso umano (“MPD”) li definisce come ogni sostanza o associazione di sostanze presentata come avente proprietà curative, o destinata a ripristinare, correggere o modificare funzioni fisiologiche, mediante un’azione farmacologica, immunologica o metabolica.

Molto rilevante è anche l’art. 2 (2), MPD secondo cui in caso di dubbio, se un prodotto può rientrare contemporaneamente nella definizione di medicinale e in quella di un prodotto disciplinato da un’altra normativa comunitaria, si applicano le disposizioni della MPD.

Questa regola si applica anche ai “medicinali per presentazione”, non soltanto a quelli “per funzione”, come chiarito dalla Corte di Giustizia nella sentenza del 19 gennaio 2023 (cause riunite C‑495/21 e C‑496/21). In tale pronuncia, la Corte ha affermato che, qualora non sia accertato se il prodotto eserciti un’azione farmacologica, esso non può essere qualificato né come medicinale per funzione né come dispositivo medico. In simili casi, spetta al giudice na-zionale valutare, se del caso, se il prodotto rientri nella definizione di medicinale per presentazione.

Ne consegue che un prodotto può essere qualificato come dispositivo medico solo se viene dimostrato che la sua azione principale non è esercitata tramite mezzi farmacologici, immunologici o metabolici. Qualora non sia possibile accertare scientificamente il meccanismo d’azione principale, il prodotto non può essere ricondotto né alla categoria dei dispositivi medici né a quella dei medicinali per funzione. In assenza di tale certezza, il giudice nazionale potrà valutare l’inquadramento del prodotto come medicinale per presentazione, sulla base di elementi quali la descrizione (etichetta, foglietto illustrativo), le modalità di commercializzazione (es. distribuzione esclusiva in farmacia), nonché eventuali comunicazioni pubblicitarie o informative idonee a indurre nel consumatore medio l’idea che il prodotto possieda proprietà curative o profilattiche.

Il caso: dispositivo medico o medicinale?

Nel caso C-589/23 la questione riguardava la qualificazione giuridica dei prodotti “Femannose” e “Femannose N”. Una società commercializzava e pubblicizzava questi prodotti in Germania come dispositivi medici destinati alla prevenzione e al trattamento delle infezioni del tratto urinario. In particolare, i prodotti contenevano una sostanza, il D-mannosio, che agisce legandosi ai batteri mediante legami a idrogeno capace di prevenire e trattare tali infezioni.

Tuttavia, tale qualificazione giuridica veniva contestata da un'associazione di categoria di imprese, che intentava una causa presso il Tribunale di Colonia chiedendo l’interruzione della commercializzazione e della pubblicità dei prodotti, in quanto, a suo avviso, i prodotti dovevano essere qualificati come medicinali anziché come dispositivi medici.

A seguito di un lungo iter giudiziario, la Corte federale di giustizia tedesca decideva di sospendere il procedimento e richiedeva alla Corte di giustizia europea di chiarire se l'azione di una sostanza che agisce mediante un legame reversibile con dei batteri tramite legami a idrogeno, che impediscono a questi di fissarsi a cellule umane, debba considerarsi farmacologica. Ovviamente, da questa risposta, dipendeva l’esito sulla qualificazione giuridica dei prodotti “Femmanose”.

Il percorso argomentativo della Corte

La CGUE ha voluto dapprima affermare che la nozione di “azione farmacologica” indica gli effetti di una sostanza su un organismo vivente, a fini terapeutici o preventivi. A sostegno di tale tesi, la Corte ha citato le linee guida Meddev e MDCG che, sebbene non giuridicamente vincolanti, sono redatte da esperti indicati dalle autorità nazionali. Tali documenti interpretativi definiscono l’azione farmacologica come un’interazione tra le molecole di una sostanza e un com-ponente cellulare del corpo umano, generalmente qualificato come recettore, che determina l’avvio il potenziamento, la riduzione o il blocco di funzioni fisiologiche oppure di processi patologici.

Sul punto, la Corte ha inoltre ricordato (C-308/11) che anche gli agenti patogeni presenti sul corpo umano o al suo interno (come batteri, virus o parassiti) devono essere considerati componenti del corpo umano. Pertanto, deve intendersi come farmacologica anche l’azione della sostanza volta a interagire con questi agenti. 

Infine, la Corte ha affermato che l’interazione fra le molecole deve essere interpretata in modo ampio, e pertanto non si chiede che le sostanze debbano per forza modificare la struttura del componente cellulare o che questa interazione debba avvenire mediante un legame durevole.

La decisione della Corte

Sulla base del percorso argomentativo appena espresso, la Corte ha stabilito che il legame reversibile con i batteri che impedisce l'adesione alle cellule umane costituisce un'azione farmacologica, in quanto in grado di bloccare processi patologici.  

Pertanto, le sostanze come il D-mannosio, che interagiscono con i batteri presenti nel tratto urinario, impedendogli di attaccarlo, svolgono un’azione farmacologica e dovrebbero essere classificati come medicinali ai sensi della direttiva 2001/83.

La Corte ha altresì ricordato che in un precedente già citato (C-495/21 e C-496/21) aveva già avuto modo di affermare che, in caso di dubbio su un prodotto che rientra sia nella definizione di medicinale, anche solo per presentazione, che in un’altra definizione di prodotto regolato da una normativa comunitaria, questo deve essere sottoposto alla disciplina sui medicinali.

In virtù di ciò, i prodotti Femmanose, ma in generale tutti i prodotti che esercitano la medesima tipologia di azione, devono essere qualificati come medicinali. Dunque, per poter essere commercializzati dovranno seguire le procedure di conformità previste dalla normativa sui medicinali, fra cui, lo ricordiamo, è prevista un’autorizzazione (invece non prevista per i dispositivi medici).

Conseguenze pratiche per le imprese

Come visto, la corretta classificazione di un prodotto a base di sostanze come dispositivo medico o medicinale non è immediata. Le imprese sono chiamate ad effettuare una valutazione caso per caso partendo dalle definizioni fornite dal diritto comunitario, prestando particolare attenzione sia alla presentazione del prodotto che al suo meccanismo d’azione. 

Infatti, la normativa sui medicinali e quella sui dispositivi medici prevedono specifiche procedure di valutazione della conformità e, se applicata una procedura non idonea al prodotto, sarà necessario avviare nuovamente l’intero iter previsto dalla normativa corretta.

Inoltre, il rischio è di vedersi irrogate sanzioni, persino di natura penale. Ad esempio, in Italia, l’immissione sul mercato di un medicinale erroneamente qualificato come altro prodotto è punita con l’arresto fino ad un anno e l’ammenda da 2.000 a 10.000 Euro (art. 147 co.2 d.lgs. 24 aprile 2006, n. 219). In questi casi, l’AIFA può disporre l’immediato ritiro del prodotto dal mer​​​cato (art. 144 co. 1 d.lgs. 24 aprile 2006, n. 219).

Rödl & Partner offre un supporto specializzato e interdisciplinare alle imprese operanti nei settori regolamentati – tra cui quello dei dispositivi medici e dei medicinali – nei processi di verifica della compliance, che include anche la corretta qualificazione giuridica dei prodotti, con l’obiettivo di evitare contestazioni da parte delle autorità competenti e di prevenire conseguenze legali e danni economici.​

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