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I diritti di proprietà intellettuale sulle banche dati

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Ultimo aggiornamento del 3.01.2022 | Tempo di lettura ca. 3 minuti

Nell’odierna società dell’informazione viene condivisa un’enorme quantità di dati di fondamentale importanza nello sviluppo del business. Sia per il valore economico dei dati quali beni di scambio, sia per l’utilità che possono avere in varie situazioni come, ad esempio, nella crescita economica delle imprese oppure nell’implementazione di sistemi di machine learning.  

Questa tecnologia per funzionare in modo ottimale necessita di ingenti quantità di dati che permettono alla macchina di apprendere dalla realtà e di auto-perfezionarsi. Quanti più dati si hanno a disposizione, quindi, tanto più la macchina fornirà delle risposte pertinenti agli input che le vengono dati in modo sempre più accurato. 

I dati sono quindi uno strumento fondamentale per lo sviluppo del business, in tutti i settori, ma anche e soprattutto per la valorizzazione delle nuove tecnologie. 

È però necessario evidentemente un investimento rilevante in termini di risorse umane, tecniche e finanziarie per raccogliere, memorizzare, analizzare quei dati e archiviarli in apposite banche dati. 
In questo contesto torna quindi ad essere attuale la questione della tutela delle banche dati attraverso il diritto della proprietà intellettuale. 

Varie sono le fonti normative che prevedono strumenti di tutela delle banche dati riconducibili al diritto di proprietà intellettuale: la Convenzione d’Unione di Berna per la protezione delle opere artistiche e internazionali (1886), l’art. 10 dei TRIPs (Trade Related Aspects of Intellectual Property Rights), l’art. 5 del WCT (WIPO Copyright Treaty), la Direttiva 1996/9/CE dell’11 marzo 1996, recepita in Italia nella legge sul diritto d’autore (L. 22 aprile 1941, n. 633, “l.d.a.”).

Ai sensi dell’art. 1, co. 2, l.d.a., la struttura delle banche dati è protetta se per la scelta o la disposizione del materiale contenuto al suo interno, è qualificabile come creazione intellettuale dell’autore.
La tutela del diritto d’autore riguarda tuttavia solo la forma espressiva, il modo in cui il materiale è stato disposto o sistemato e conferisce al titolare i diritti esclusivi di utilizzazione economica della struttura della banca dati (art. 64-quinquies l.d.a.).

Nella misura in cui copiare o comunque accedere alla banche dati ha un costo molto più basso rispetto a quello richiesto per crearle autonomamente, le banche dati sono tutelate quindi anche da un altro diritto di proprietà intellettuale, c.d. sui generis, che vieta operazioni di estrazione o reimpiego della totalità o di una parte sostanziale dei contenuti.

Tale diritto di proprietà intellettuale viene concesso al costitutore della banca dati, colui che si è occupato di reperire, verificare e presentare i dati (non di crearli), sostenendo un investimento rilevante sotto il profilo qualitativo o quantitativo. Dura quindici anni decorrenti dal primo gennaio dell’anno successivo alla data del completamento.

Il diritto sui generis sulle banche dati, prescinde dall’eventuale protezione ai senesi del diritto di proprietà intellettuale dei singoli dati, riguarda invece l’insieme dei contenuti raccolti ed è volto a tutelare l’investimento sostenuto dal costitutore.

Nessuna limitazione è posta invece sia per l’accesso o la consultazione della banca dati per finalità didattiche o di ricerca scientifica, esercitata al di fuori dell’esercizio di attività d’impresa, con obbligo di indicare la fonte dei dati. 

Come gli altri diritti di proprietà intellettuale, anche quello sulle banche dati può essere ceduto o concesso in licenza esclusiva o non esclusiva. Sempre più di recente poi, le licenze acquistano caratteri Open, ne parleremo nel prossimo articolo dedicato a questo tema.

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