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Intelligenza artificiale e lavoro attraverso le piattaforme digitali: le più recenti prospettive

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​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​Ultimo aggiornamento del 5.11.2025 | Tempo di lettura ca. 8 minuti

Negli ultimi anni il lavoro attraverso piattaforme digitali ha conosciuto una diffusione senza precedenti. Dalla consegna di cibo a domicilio al trasporto urbano, fino alle micro-prestazioni online, milioni di lavoratori in Europa e nel mondo si confrontano con un modello produttivo che rompe gli schemi tradizionali del diritto del lavoro. Al centro di questo sistema vi è l’intelligenza artificiale, che non si limita a supportare l’attività della piattaforma, ma svolge un vero e proprio ruolo direttivo: assegna le mansioni, ne controlla l’esecuzione, valuta i risultati e può arrivare persino ad escludere un lavoratore dal sistema. 

La questione giuridica cruciale è, dunque, se questi lavoratori possano ancora essere qualificati come autonomi, come spesso sostengono le piattaforme, o se invece ci si trovi di fronte a forme nuove e mascherate di subordinazione. 

La specificità del lavoro su piattaforma​

Il cosiddetto platform work si caratterizza per l’intermediazione digitale tra domanda e offerta, per la frammentazione della prestazione in incarichi di breve durata e per la mancanza di un rapporto personale con il committente. Il modello contrattuale adottato dalle piattaforme è quasi sempre quello della collaborazione autonoma, spesso nella forma della prestazione occasionale o della partita IVA. Ciò consente alle imprese di evitare i costi e gli obblighi tipici del lavoro subordinato, quali contributi, ferie, malattia e tutele contro il licenziamento. Tuttavia, dietro l’apparente libertà organizzativa, si nasconde spesso una realtà gestionale che di fatto riduce notevolmente – fin quasi ad annullare – l’autonomia del lavoratore.

Il cuore del problema risiede nell’uso dell’intelligenza artificiale per il cosiddetto algorithmic management. L’algoritmo decide chi può accedere a un incarico, quando è più conveniente lavorare e come deve essere svolta la prestazione. I sistemi di monitoraggio, spesso basati su GPS e sulle valutazioni degli utenti, tracciano costantemente l’attività del lavoratore. Anche le conseguenze ‘disciplinari’, da intendersi in senso ampio, come l’esclusione temporanea o definitiva dalla piattaforma, sono frequentemente gestite in modo automatico. In questo modo, la piattaforma esercita un potere direttivo e disciplinare tipico del datore di lavoro, seppur attraverso strumenti opachi e impersonali. Infatti, non è presente alcun superiore gerarchico che impartisce ordini, ma un software che orienta e condiziona non solo le scelte del lavoratore ma anche l’intero rapporto con il proprio ‘committente’/‘datore di lavoro’. Per questo motivo, in dottrina si parla sempre più spesso di subordinazione algoritmica o persino di ‘caporalato digitale’.

L’attuale contesto normativo italiano​

Grazie all’emanazione del D.L. n. 101/2019 (convertito con Legge n. 128/2019) è stata modificata la natura delle collaborazioni organizzate dal committente e disciplinate dal D. Lgs. n. 81/2015, al fine di stabilire livelli minimi di tutela per coloro che prestano la propria prestazione lavorativa attraverso piattaforme digitali.

Questo intervento, infatti, oltre a sancire una normativa speciale per il lavoro autonomo prestato attraverso piattaforme digitali, ha, in generale, disposto l’estensione della disciplina del lavoro subordinato ai rapporti di collaborazione etero-organizzati, ovvero a quelli che si concretano in prestazioni di lavoro prevalentemente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche rispetto a tempo e luogo di lavoro. E ciò anche quando le modalità di esecuzione sono organizzate ‘mediante piattaforme, anche digitali’. 

Un importante contributo, volto a una più precisa ricognizione dei contenuti dell’etero-organizzazione dell’attività di collaborazione, è poi offerto dalla sentenza n. 1663/2020 della Corte di Cassazione, in tema di inquadramento contrattuale dei riders, relativa al caso “Foodora”. Da qui emerge come la nozione di etero-organizzazione richieda la sussistenza di un rapporto di collaborazione funzionale all’organizzazione del committente, in maniera tale che le prestazioni del lavoratore possano strutturalmente inserirsi e integrarsi nell’organizzazione dell’impresa. Pertanto, in tale occasione, i giudici di legittimità hanno affermato che, laddove venga riscontrata la presenza delle condizioni di etero-organizzazione, sarà possibile applicare la disciplina del rapporto di lavoro subordinato.

Ulteriori indicazioni in merito alla qualificazione dei ciclo-fattorini delle piattaforme digitali, sono fornite dalla Circolare del Ministero del Lavoro n. 9/2025. In questo contesto, il Ministero ha provveduto a svolgere una ricognizione relativa alle diverse modalità organizzative in cui può concretarsi la prestazione lavorativa tramite piattaforme digitali. Anzitutto, viene espressamente riconosciuta una possibile natura autonoma del lavoro tramite piattaforma, qualora venga appurata la sussistenza di una serie di elementi, quali l’assenza di poteri di controllo, di direzione e sanzionatori, oltreché la reale facoltà per il prestatore di non accettare l’incarico senza incorrere in conseguenze pregiudizievoli.

Invece, laddove vengano rinvenuti i caratteri della “dipendenza” e della “direzione” di cui all’art. 2094 del Codice civile, sarà possibile qualificare tale rapporto di lavoro come subordinato, avendo sempre riguardo delle concrete modalità di svolgimento della prestazione lavorativa. Viene inoltre sottolineato come ricadano sotto l’ambito applicativo del citato art. 2094 c.c., il quale contiene la disciplina del rapporto di lavoro subordinato, anche le collaborazioni etero-organizzate, che – come detto – si concretano in prestazioni prevalentemente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente. In questo modo è offerta ai lavoratori che operano nella “zona grigia” tra autonomia e subordinazione una tutela equivalente a quella prevista per i lavoratori subordinati.

L’intervento chiarificatore: la Direttiva Europea 2024/2831​

Un passo decisivo verso una regolamentazione più equa del settore, che impone alle piattaforme di abbandonare l’idea di essere meri intermediari tecnologici e di assumersi le responsabilità proprie dei datori di lavoro, deriva dal legislatore europeo, che nell’ottobre del 2024 ha emanato la direttiva n. 2831, in materia di miglioramento delle condizioni di lavoro nel lavoro mediante piattaforme digitali.
 
Tra gli elementi di maggior rilevanza di tale Direttiva, che dovrà essere recepita dagli Stati Membri entro il 2 dicembre 2025, si rinvengono: i) una presunzione legale di subordinazione quando ricorrono determinati indici di dipendenza; ii) una serie di obblighi di trasparenza algoritmica e iii) limiti all’uso delle decisioni automatizzate. 

La Direttiva, pertanto, non ha come esclusivo scopo quello di qualificare come subordinati i falsi lavoratori autonomi, ma pone in evidenza anche le tutele materiali che l’ordinamento europeo intende garantire ai lavoratori durante la fase di esecuzione contrattuale, limitando e razionalizzando l’esercizio unilaterale delle prerogative algoritmiche. 

In questo senso, il Capo III della Direttiva segna un significativo passo in avanti. La normativa, infatti, riconosce ai lavoratori il diritto di essere informati sul funzionamento dei sistemi decisionali e di monitoraggio automatizzati, vietando espressamente il trattamento dei dati personali che non siano strettamente connessi all’esecuzione del contratto. Le piattaforme sono, inoltre, tenute a predisporre un monitoraggio umano periodico dei sistemi automatizzati, con l’obbligo di valutare i rischi per la salute e la sicurezza attraverso l’impiego di risorse umane qualificate. È poi previsto il diritto del lavoratore di contestare le decisioni algoritmiche attraverso un reclamo, che può sfociare nella richiesta di un riesame da parte di un supervisore umano.

L’obiettivo è duplice: da un lato, salvaguardare i diritti fondamentali dei lavoratori attraverso regole di trasparenza e controllo; dall’altro, promuovere un modello di lavoro su piattaforma che non si limiti alla mera efficienza tecnologica, ma che sappia far emergere posizioni di qualità, rispettose della dignità del prestatore di lavoro.

La recente Legge di Delegazione UE​

Il 10 luglio 2025, è entrata in vigore la Legge 13 giugno 2025 n. 91, con cui il Parlamento italiano ha conferito al Governo numerose deleghe per il recepimento di direttive dell’Unione Europea (cd. Legge di Delegazione UE).

Il testo dell’art. 11 della suddetta legge riguarda i principi e i criteri direttivi per l’esercizio della delega per il recepimento della sopracitata Direttiva 2024/2831 relativa al miglioramento delle condizioni nel lavoro mediante piattaforme digitali. 

Nel dettaglio, al fine di effettuare tale recepimento, l’art. 11 della nuova legge richiede che si disponga – attraverso interventi di modifica e/o integrazione dell’attuale capo V-bis del D. Lgs. 81/2015 – l’istituzione della “presunzione di subordinazione” (prevista dall’art. 5 della Direttiva), in forza della quale, qualora si riscontrino fatti che indicano direzione e controllo nel lavoro su piattaforme digitali, non è il soggetto che svolge detto lavoro a dover dimostrare di essere subordinato, ma grava sulla piattaforma digitale stessa l’onere di provare il contrario.

A completamento delle tutele volte al miglioramento delle condizioni del lavoro su piattaforme digitali, l’art. 11 stabilisce ulteriori elementi necessari per il recepimento della direttiva UE, ovvero:
  • l’adeguamento della definizione di “piattaforma di lavoro digitale”;
  • l’identificazione di procedure adeguate ed efficienti per determinare correttamente la natura del rapporto di lavoro dei soggetti che operano su piattaforme digitali;
  • l’introduzione di limiti del trattamento dei dati personali tramite sistemi automatizzati;
  • l’adattamento delle tutele previdenziali;
  • la definizione di modalità di informazione trasparente sulla gestione dei dati personali;
  • la rinnovazione e il potenziamento delle misure per salute e sicurezza, incluse le norme contro molestie e violenze.

Conclusioni

Il lavoro attraverso piattaforme digitali rappresenta uno dei terreni di maggiore sperimentazione – e di maggiore incertezza – del diritto del lavoro contemporaneo. L’intelligenza artificiale, da strumento di ottimizzazione dei processi, sta diventando un fattore strutturale nella gestione e nel controllo della forza lavoro, imponendo un ripensamento delle categorie tradizionali di autonomia e subordinazione. Il legislatore europeo, con la Direttiva 2024/2831, e quello nazionale, con la Legge di Delegazione UE n. 91/2025, hanno avviato un percorso di ricomposizione del quadro regolatorio, finalizzato a bilanciare innovazione tecnologica e tutela dei diritti fondamentali.

La sfida, tuttavia, rimane aperta: sarà la capacità interpretativa e applicativa degli ordinamenti nazionali a determinare se il “lavoro algoritmico” potrà evolversi in una forma sostenibile e dignitosa di occupazione, o se continuerà a rappresentare una nuova frontiera di precarietà mascherata. In questa prospettiva, il diritto del lavoro è chiamato non solo ad adattarsi alla tecnologia, ma a guidarla, riaffermando il principio che anche nell’economia digitale la persona del lavoratore resta al centro della tutela giuridica.​​​​​​​​​​

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