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Riforma Cartabia: anche la Cassazione cambia orientamento sull’autentica dei provvedimenti impugnati

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​​​​​​​​​​​​​​Ultimo aggiornamento del 22.10.2024 | Tempo di lettura ca. 7 minuti


Con la recente Sentenza n. 12971 del 13 maggio 2024, la Terza Sezione Civile della Suprema Corte di Cassazione, facendo leva sulle disposizioni contenute nel Codice dell’Amministrazione Digitale e sulla scia della Riforma Cartabia, ha affermato il principio per cui “l’onere del deposito di una copia autentica del provvedimento impugnato, prescritto dall’art. 369, secondo comma, n. 2, c.p.c. a pena di improcedibilità del ricorso, deve ritenersi assolto non solo dal deposito di una copia informatica del provvedimento ma anche in caso di deposito di duplicato informatico dello stesso”.

La Sentenza in commento conferma un orientamento che stava iniziando a prendere piede già dopo la Riforma Cartabia. È chiara a tutti, infatti, la portata dirompente che ha avuto la riforma in tema di autentica dei provvedimenti informatici e più precisamente, ciò che è stato sottoposto all’attenzione della Suprema Corte consiste nell’ammissibilità di un ricorso promosso senza che sia allegato al fascicolo il provvedimento impugnato autentico ma il solo duplicato informatico che è privo della cd. “stampigliatura”, vale a dire delle indicazioni riportate in alto a destra del provvedimento stesso e che consentono di identificarne il numero di protocollo, la data della sua pubblicazione nel fascicolo telematico e il numero di ruolo del procedimento di cui fa parte il provvedimento stesso. 

Per comprendere meglio la portata rivoluzionaria di una pronuncia come quella in commento occorre prendere le mosse dal precedente orientamento giurisprudenziale che, in molteplici occasioni, aveva dichiarato l’improcedibilità del ricorso per Cassazione privo della copia autentica del provvedimento impugnato. Tale conclusione prendeva le mosse dal contenuto dell’art. 16 bis, comma 9 bis, del D.L. n. 179/ 2012 che riconosceva ai difensori il solo potere di attestare la conformità all’originale delle copie analogiche e/o informatiche estratte dal fascicolo informatico, ma non anche la competenza amministrativa di rilasciare una copia ad hoc del provvedimento impugnato, validi ai fini dell’impugnazione.

In sostanza, con l’orientamento previgente, i giudici della Suprema Corte ritenevano quindi che, pur essendo possibile per il ricorrente produrre in giudizio una copia attestata conforme o il duplicato informatico del provvedimento impugnato estratto dal fascicolo telematico ai fini della procedibilità del Ricorso per Cassazione ai sensi dell’art. 369 c.p.c. era comunque indispensabile produrre in giudizio un provvedimento recante l’attestazione di Cancelleria della pubblicazione, con la relativa data e il numero di protocollazione attribuito dal sistema. La mancanza di tale attestazione da parte della Cancelleria precludeva alla Corte la possibilità di verificare la data di effettiva pubblicazione del provvedimento impugnato e impediva anche di formulare un corretto dispositivo che individuasse con certezza il provvedimento impugnato. Proprio in tal senso, fino a qualche anno fa, l’orientamento maggioritario della Corte di Cassazione considerava inammissibile il ricorso per Cassazione nel caso in cui il ricorrente avesse allegato al fascicolo il solo duplicato informatico del provvedimento impugnato privo della data di pubblicazione dello stesso. Appare utile evidenziare, infatti, che spesso e volentieri la data di pubblicazione di un provvedimento non coincide con la data in cui il provvedimento è stato assunto che potrebbe essere anche diversi giorni prima rispetto al momento in cui il provvedimento è stato comunicato alle parti ed è stato reso disponibile sul fascicolo telematico. Ne deriva, dunque, che il duplicato informatico, privo dell’indicazione della data di pubblicazione non consente di verificare con certezza che siano stati rispettati i termini per promuovere il Ricorso per Cassazione e questo vale anche nel caso in cui il provvedimento sia stato notificato.

Dunque, discostandosi dall’orientamento giurisprudenziale appena descritto, con la Sentenza n. 12971/2024 la Corte di Cassazione ha enunciato due nuovi principi di diritto in tema di deposito telematico dei provvedimenti impugnati e lo ha fatto analizzando dettagliatamente le disposizioni contenute nel Codice dell’Amministrazione Digitale e in conformità con le linee guida dettate dall’AgID.

Con il primo dei due principi la Corte ha stabilito che l’onere per il ricorrente di depositare una copia autentica del provvedimento impugnato ex art. 369 c.p.c. è assolto sia nel caso in cui venga depositata la copia autentica del provvedimento sia nel caso in cui venga depositato il duplicato informatico che, per sua natura, ha lo stesso valore giuridico dell’originale impugnato.

Per giungere a tale conclusione la Corte ha preso le mosse dall’art. 369, comma 2, n. 2, c.p.c., che prevede per il ricorrente l’onere del deposito di una “copia autentica della sentenza o della decisione impugnata”. Tuttavia, i giudici della Suprema Corte hanno correttamente evidenziato che con l’avvento del Processo Telematico, i provvedimenti emessi dai giudici di merito vengono pubblicati attraverso l’accettazione del deposito sul portale dei servizi telematici. Pertanto, è lo stesso sistema informatico ad attribuire loro in automatico un numero identificativo e la data dell’adempimento stesso. È da intendersi quindi superata la tradizionale modalità di deposito cartaceo del provvedimento depositato in cancelleria con la materiale apposizione della formula esecutiva e dell’attestazione di avvenuto deposito da parte del cancelliere sull’unico originale cartaceo del provvedimento.

Chiarisce infatti la Suprema Corte che, con l’accettazione del deposito telematico e l’attribuzione del numero cronologico, il provvedimento nativo digitale è inserito nel fascicolo informatico e solo all’esito della pubblicazione informatizzata diventa consultabile da parte dei difensori che possono accedervi sia nella versione originale, ossia il duplicato informatico, sia nella copia informatica che reca la “stampigliatura”, ossia il segno grafico apposto dal sistema per evidenziare l’avvenuto processamento informatico del provvedimento.

In sostanza, con l’avvento del processo telematico e con la Riforma Cartabia è stato definitivamente superato il concetto di unico originale del provvedimento, essendo concessa ai difensori la possibilità di accedere al duplicato o alla copia del provvedimento che, con l’accettazione del deposito da parte del cancelliere, determina di per sé l’inserimento dello stesso nel fascicolo informatico. Resta quindi una scelta discrezionale del difensore voler scaricare la copia o il duplicato informatico del provvedimento che si intende impugnare, con la sola differenza che, il duplicato, per sua natura estrinseca di equivalente all’originale “non può recare alcuna sovrapposizione o annotazione che determinerebbe ipso facto l’alterazione dell’originale informatico” e conseguente alterazione della sequenza dei valori binari del documento originario, a differenza della copia informatica sulla quale viene, invece, apposta la stampigliatura.

Con il secondo principio di diritto, invece, la Suprema Corte ha chiarito che nel caso in cui sia consentito il deposito di copia analogica del provvedimento impugnato, che sia però nativo digitale e depositato in via telematica, ove detta copia sia tratta dal duplicato informatico depositato nel fascicolo telematico, l’onere di cui all’art. 369, comma 2, n. 2, c.p.c., è assolto dal difensore mediante un’attestazione di conformità della copia analogica del duplicato informatico all’originale nativo digitale. 

Pertanto, con il principio di diritto appena enunciato la Suprema Corte ha stabilito che non può essere sanzionabile con l’improcedibilità del ricorso la scelta del difensore di optare per il deposito del duplicato informatico del provvedimento impugnato che, come tale, non necessita nemmeno di alcuna attestazione di conformità, risultando assorbente il concetto di duplicato rispetto al requisito di “copia autentica della sentenza impugnata” prescritto dalla disposizione codicistica.

Ebbene, in caso di deposito del duplicato informatico del provvedimento impugnato, qualora i termini dell’impugnazione siano oggetto di contestazione tra le parti, ai fini della verifica della tempestività dell’impugnazione, qualora questi non possano essere desunti dai sistemi informatici in uso alla Corte di Cassazione, possono comunque essere conosciuti attraverso la consultazione del fascicolo informatico acquisito d’ufficio ai sensi dell’art. 137 bis disp. att. c.p.c., per i giudizi introdotti a partire dal 1° gennaio 2023. 

Quanto invece ai giudizi introdotti prima di tale data, i dati relativi alla pubblicazione del documento impugnato, se nativo digitale, possono essere verificati tramite la richiesta di attestazione da parte della cancelleria del giudice che ha emesso il provvedimento da porsi su istanza del ricorrente ai sensi dell’art. 369, ultimo comma, c.p.c. (testo antecedente alla Riforma Cartabia). 

Da ultimo, qualora il ricorrente scelga di depositare una stampa analogica del duplicato informatico del provvedimento nativo digitale, sarà il difensore a dover attestare la conformità dello stesso all’originale informatico, integrando così il requisito di deposito di “copia autentica” richiesto dall’art. 369 c.p.c..
In definitiva, la Suprema Corte ha affermato che sia il deposito della copia informatica quanto il deposito del duplicato informatico, privo della stampigliatura recante i dati della pubblicazione, è idoneo ad adempiere all’onere previsto dall’articolo 369, comma 2, n. 2, c.p.c., e l’impugnazione deve quindi considerarsi procedibile.​​​

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