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Compliance 231 e Direttiva whistleblowing: due sistemi a confronto

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​Ultimo aggiornamento del 1.10.2021 | Tempo di lettura ca. 5 minuti


Il recepimento della c.d. Direttiva whistleblowing è ormai alle porte. Entro il 17 dicembre 2021, infatti, l’Italia e gli altri Stati Membri dell’Unione Europea sono tenuti a dare attuazione alla Direttiva (UE) 2019/1937 riguardante la protezione delle persone che segnalano violazioni del diritto dell'UE. Ma che impatto avrà tale Direttiva sulla normativa vigente e sulle imprese italiane?

Il whistleblowing è un istituto di derivazione anglosassone attraverso il quale i dipendenti di un ente pubblico o privato possono segnalare potenziali violazioni, illeciti o frodi di cui siano stati testimoni nel proprio contesto lavorativo.

In Italia il whistleblowing è attualmente regolato dalla Legge 179/2017, che ha stabilito nuove misure di tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità:
  • modificando la preesistente disciplina prevista per il settore pubblico (art. 54-bis, D. Lgs. n. 165/2001) e
  • introducendone una nuova per il settore privato nell’ambito del D. Lgs. 231/2001 (art. 6, commi 2-bis, 2-ter e 2-quater), relativo alla responsabilità amministrativa da reato degli enti e alla prevenzione di tali reati attraverso i c.d. modelli organizzativi 231.

Di conseguenza, ove un ente privato abbia implementato o intenda implementare un proprio modello organizzativo 231, dovrà altresì istituire un sistema di segnalazione e garantire la protezione dei segnalanti (c.d. sistema di whistleblowing).

Il sistema di whistleblowing dovrà includere:
  1. uno o più canali (c.d. canali di whistleblowing) che consentano ad amministratori, dirigenti e dipendenti, di presentare, a tutela dell’integrità dell’ente, segnalazioni circostanziate di condotte illecite, rilevanti ai sensi del D. Lgs. 231/2001 e fondate su elementi di fatto precisi e concordanti, o di violazioni del modello organizzativo 231 dell’ente, di cui siano venuti a conoscenza in ragione delle funzioni svolte. Tali canali dovranno, inoltre, garantire la riservatezza dell’identità del segnalante nelle attività di gestione della segnalazione, in modo conforme alla vigente normativa in materia di privacy e protezione dei dati personali;
  2. almeno un canale alternativo di segnalazione idoneo a garantire, con modalità informatiche, la riservatezza dell’identità del segnalante;
  3. il divieto di atti di ritorsione o discriminatori, diretti o indiretti, nei confronti del segnalante per motivi collegati, direttamente o indirettamente, alla segnalazione;
  4. sanzioni nei confronti di chi viola le misure di tutela del segnalante, nonché di chi effettua con dolo o colpa grave segnalazioni che si rivelano infondate.

Dovrà, inoltre, essere previsto che:
  • l’adozione di misure discriminatorie nei confronti del segnalante possa essere denunciata all’Ispettorato nazionale del lavoro, per i provvedimenti di propria competenza, sia dal segnalante medesimo che dall’organizzazione sindacale da questi indicata;
  • il licenziamento ritorsivo o discriminatorio del segnalante sia nullo, così come siano nulli il mutamento di mansioni, nonché qualsiasi altra misura ritorsiva o discriminatoria adottata nei confronti del segnalante. È onere del datore di lavoro, in caso di controversie legate all’irrogazione di sanzioni disciplinari, o a demansionamenti, licenziamenti, trasferimenti, o sottoposizione del segnalante ad altra misura organizzativa avente effetti negativi, diretti o indiretti, sulle condizioni di lavoro, successivi alla presentazione della segnalazione, dimostrare che tali misure siano fondate su ragioni estranee alla segnalazione stessa.

Pertanto, secondo la normativa vigente nel settore privato, le misure di tutela dei whistleblower trovano attualmente applicazione solo quando l’ente abbia volontariamente deciso di adottare ed attuare un modello organizzativo 231.

A fronte del quadro normativo appena illustrato, nel 2019 la Direttiva whistleblowing è intervenuta con l’obiettivo di disciplinare la protezione dei whistleblower all’interno dell’UE, estendendo le misure di protezione dei dipendenti pubblici anche al settore privato, e introducendo norme minime comuni di tutela al fine di dare uniformità a normative nazionali estremamente frammentate ed eterogenee, ove esistenti.

Tra le principali novità introdotte dalla Direttiva whistleblowing vi è innanzitutto l’ampliamento del concetto di whistleblower, che non sarà più circoscritto solo ad amministratori, dirigenti e dipendenti (come previsto dal D. Lgs. 231/2001), ma comprenderà tutti i soggetti collegati in senso ampio all’organizzazione nella quale si è verificata la violazione, e che potrebbero temere ritorsioni in considerazione della situazione di vulnerabilità economica in cui si trovano (ad esempio: ex dipendenti; lavoratori autonomi; tirocinanti; volontari; soggetti che lavorano sotto la supervisione e direzione di appaltatori, sub-appaltatori e fornitori; facilitatori - ossia coloro che prestano assistenza al lavoratore nel processo di segnalazione -; azionisti e membri dell’organo di amministrazione, direzione o vigilanza, compresi i membri senza incarichi esecutivi; colleghi e parenti dei whistleblower; e covì via).

Inoltre, in aggiunta a quanto già previsto dalle vigenti normative nazionali, le segnalazioni potranno riguardare le violazioni del diritto dell’UE che ledono il pubblico interesse o che rientrano, tra gli altri, nei seguenti settori: appalti pubblici; servizi, prodotti e mercati finanziari e prevenzione del riciclaggio e del finanziamento del terrorismo; sicurezza e conformità dei prodotti; sicurezza dei trasporti; tutela dell’ambiente; radioprotezione e sicurezza nucleare; sicurezza degli alimenti e dei mangimi e salute e benessere degli animali; salute pubblica; protezione dei consumatori; tutela della vita privata e protezione dei dati personali e sicurezza delle reti e dei sistemi informativi.

Ancora, in seguito al recepimento della Direttiva whistleblowing, le imprese private avranno l’obbligo di:
  • istituire canali di segnalazione interni, esterni e pubblici, nonché implementare procedure per dar seguito alla segnalazione ricevuta, tutelando la riservatezza dell’identità del segnalante;
  • vietare qualsiasi atto ritorsivo nei confronti del segnalante, in conseguenza della segnalazione effettuata, ricomprendendo anche forme indirette di discriminazione, come valutazioni negative della performance, mancate promozioni o referenze negative.

Infine, sono introdotte anche delle misure di sostegno ai segnalanti come la possibilità di accedere:
  • ad informazioni e consulenze esaustive e indipendenti, facilmente accessibili al pubblico e a titolo gratuito, sulle procedure e i mezzi di ricorso disponibili in materia di protezione dalle ritorsioni e sui diritti della persona coinvolta;
  • ad un’assistenza efficace da parte delle autorità competenti per la protezione dalle ritorsioni;
  • al patrocinio a spese dello Stato nell’ambito di un procedimento penale e di un procedimento civile transfrontaliero;
  • ad un’assistenza finanziaria e sostegno, anche psicologico, nell’ambito dei procedimenti giudiziari.


Tali obblighi riguarderanno tutte le imprese con più di 50 dipendenti (a prescindere dall’adozione di un modello organizzativo 231), anche se le imprese con meno di 250 dipendenti avranno tempo fino al 17 dicembre 2023 per adeguarsi.


In Italia, dunque, il recepimento della Direttiva whistleblowing comporterà numerose modifiche alla vigente normativa e l’implementazione del sistema di whistleblowing nel settore privato non potrà più essere legata, come è oggi, solo al modello organizzativo 231.

Di conseguenza, le imprese destinatarie dei nuovi obblighi dovranno ripensare ai propri sistemi di whistleblowing e  istituire dei nuovi canali di segnalazione rispetto a quelli eventualmente già contemplati nei propri modelli organizzativi 231.

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