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“What ever it takes”. La protezione normativa dell’impresa al tempo del coronavirus

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SOMMARIO:

1. Fonti. - 2. Premessa. - 3. Le misure normative sinora predisposte in Italia. - 3.1. Differimento dell’entrata in vigore del nuovo CCII al 21 settembre 2021 (art. 5 D.L. liquidità). - 3.2. Improcedibilità delle procedure per la dichiarazione di fallimento e dello stato di insolvenza (art. 10 D.L. liquidità). - 3.3. Sospensione degli obblighi di ricapitalizzazione, della causa di scioglimento per riduzione del capitale sociale sotto il minimo e di valutazione del going-concern (artt. 6 e 7 D.L. liquidità). - 3.4. Disposizioni in materia di concordato preventivo e di accordi di ristrutturazione (art. 9 D.L. liquidità). - 3.5. Disciplina dei contratti pendenti e delle azioni ordinarie ed esecutive (artt. 56, 83 e 91 D.L. cura Italia e artt. 11 e 36 D.L. liquidità).


1. Fonti
Le fonti italiane che riguardano il problema in esame sono principalmente due:
a. D.L. 17.03.2020, n. 18 (noto come Decreto cura Italia);
b. D.L. 8.04.2020, n. 23 (noto come Decreto liquidità).

2. Premessa
Il contagio epidemico sia sta rapidamente espandendo dal piano sanitario a quello finanziario ed economico, contagiando anche imprese che prima del lockdown si trovavano in situazione di equilibrio e con riguardo alle quali non erano in allora ragionevolmente prospettabili elementi pregiudizievoli alla continuità aziendale. Come sottolineato da uno Studio Cerved , “I mancati pagamenti potrebbero amplificare il contagio finanziario ad altre imprese, con un effetto a catena sull’intera economia, coinvolgendo anche i pochi settori non colpiti da questa crisi. In poco tempo riprenderebbero a crescere gli NPL e il contagio si estenderebbe anche al settore finanziario. In questa fase, obiettivo fondamentale della politica economica è quindi quello di evitare i fallimenti”.

Si rammenta che secondo un recentissimo studio di Prometeia, azienda di consulenza e ricerca economica, data per presupposta la ripresa graduale e scaglionata delle attività economiche a far tempo da maggio con contestuale attenuazione quindi del lockdown, “la contrazione del Pil italiano nel 2020 sarà almeno del 6,5%: in un solo anno, una recessione di portata equivalente alla caduta del biennio 2008-2009” , ma, soprattutto, nel già drammatico scenario rappresentato da Prometeia “l’Italia si ritroverebbe nel 2022 con un livello del Pil ancora al di sotto del livello 2019 di oltre 2 punti percentuali, con un debito sovrano inchiodato al 150%”Da segnalare che, secondo il centro studi di Confindustria, “ogni settimana in più di blocco normativo delle attività produttive, secondo i parametri attuali, potrebbe costare una percentuale ulteriore di prodotto interno lordo dell'ordine di almeno lo 0,75%”.

Allora, non è dubbio che, come avverte Mario Draghi, “Speed is absolutely essential for effectiveness” : qualora non si intervenga tempestivamente ed opportunamente, tale scenario, non a caso descritto come “di guerra” , comporterà il blocco dell’intero sistema economico produttivo ed in particolare del ciclo attivo di impresa, con l’arresto improvviso dei flussi di cassa (peraltro in molti casi già verificatosi).
L’imprenditore, da un lato, troverà difficile esigere i propri crediti nei tempi previsti, dall’altro e conseguentemente, avrà a sua volta difficoltà a adempiere regolarmente i propri debiti, il tutto in uno scenario ove sarà impossibile fare applicazione del forward looking, essendo in larga parte sconosciute le variabili su cui tale giudizio si fonda ed essendo pertanto impossibile effettuare una previsione dell’evoluzione dei mercati e dei possibili flussi generati in un dato arco di tempo.

Quanto agli esiti del crollo del sistema produttivo ed ai “costi” di tale nefasto scenario, Draghi è stato chiarissimo, nel suo intervento all’indomani della discussione in ottica unionale circa i possibili rimedi per l’attuale emergenza: la distruzione del nostro sistema produttivo va evitata quale ne sia il costo, perché tale costo sarà comunque inferiore al danno che patirebbe la nostra economia da tale eventuale perdita. Molto si è discusso circa le misure di natura economico-finanziaria (oltre che fiscale e contabile) necessarie a tale salvataggio (anche all’indomani degli interventi attuati allo scopo, seppure in maniera evidentemente insufficiente, principalmente con i decreti cura Italia e liquidità), meno di quelle più strettamente normative che sembrano invece essere del pari imprescindibili e non meno urgenti.

Misure normative che ad oggi sono ancora piuttosto modeste ed insoddisfacenti, essendo stato disposto solo il rinvio (a febbraio dell’anno prossimo) dell’entrata in vigore degli obblighi di segnalazione (artt. 14, II comma, e 15 del CCII) e poi introdotte alcune (insufficienti) disposizioni con i citati D.L. cura Italia e liquidità. Invero, come ormai era sostanzialmente condiviso, il solo rinvio dell’entrata in vigore delle restanti norme del CCII (dato per scontato ed in effetti disposto con il D.L. liquidità), ulteriori rispetto a quelle già entrate in vigore nel marzo dello scorso anno, non poteva essere sufficiente, dovendo essere in primo luogo opportunamente valutato l’effetto dell’applicazione della vigente normativa concorsuale (ed anche societaria) al mutato contesto economico-finanziario delle imprese.

Invero, considerato che presupposto oggettivo della dichiarazione di fallimento è l’“incapacità di adempiere regolarmente alle proprie obbligazioni” e che tale incapacità sussiste quindi anche in caso in cui l’attivo patrimoniale, pur superando il passivo, non risulti comunque facilmente liquidabile, è da subito parso drammaticamente evidente che in difetto di incisivi interventi normativi a salvaguardia delle imprese, gran parte di esse, soprattutto le medie imprese, anche in un contenuto arco temporale, avrebbe rischiato il default secondo l’attuale normativa concorsuale.

Trattandosi di pericolo riguardante, seppure con diverse gradazioni, tutta l’Europa, già l’esecutivo CERIL (Conference on European Restructuring and Insolvency Law) con lo Statement 20 marzo 2020 , aveva espresso le proprie preoccupazioni circa la incapacità della legislazione concorsuale esistente in Europa di offrire risposte adeguate all’emergenza COVID-19, sollecitando i legislatori, sia dell’Unione che nazionali, 

a. da un lato, ad immediatamente:
sospendere l’obbligo di avviare procedure di insolvenza basate sul sovraindebitamento;
far fronte alla crisi di liquidità delle imprese;

b. dall’altro, a prendere in considerazione misure dirette di finanziamento dell’impresa e di sostegno di imprenditori e lavoratori, anche con interventi di moratoria generalizzata delle azioni esecutive nei confronti delle imprese inadempienti.

Infatti, anche in considerazione di tali indicazioni CERIL, gli Stati dell’Unione stanno agendo :
- con la concessione di prestiti d’emergenza garantiti dallo Stato; 
- sospendendo gli obblighi degli amministratori delle Società in crisi di interrompere la gestione; 
- congelando i procedimenti diretti alla dichiarazione di insolvenza delle imprese in crisi per effetto dell’emergenza.

3. Le misure normative sinora predisposte in Italia
In Italia, come noto, fino allo scorso 9 aprile (data di entrata in vigore del D.L. 8 aprile 2020, n. 23, cd. D.L. liquidità) dal punto di visto normativo non si era fatto praticamente nulla, se non, come detto, rinviare a febbraio 2021 l’entrata in vigore delle procedure di allerta, rinviare le udienze, sospendere il decorso dei termini processuali e poco altro. Per quanto interessa la presente analisi (cioè gli interventi normativi necessari al salvataggio delle nostre imprese), con tale ultimo provvedimento (nonché con il D.L. cura Italia, come si dirà), raccogliendo i pressanti inviti di studiosi e operatori del diritto, sono state, fra altre, prese le seguenti misure.

3.1 . Differimento dell’entrata in vigore del nuovo CCII al 21 settembre 2021 (art. 5 D.L. liquidità).
Le principali ragioni da più parti addotte a tale richiesta e sostanzialmente accolte dal D.L. liquidità (cfr. Relazione Illustrativa) sono le seguenti:

a. in primo luogo il CCII non è stato, evidentemente, pensato per operare in situazioni in cui la discontinuità aziendale sembra aver investito tutto il mondo imprenditoriale ed essere quindi comune denominatore dello stesso: come è stato chiaramente evidenziato , la prospettiva adottata dal CCII “prescinde da una eventuale, possibile condizione di crisi generalizzata che possa riguardare, anche di riflesso, il sistema produttivo nel suo complesso e risulti, come tale, suscettibile di coinvolgere e tutti i settori e tutti gli operatori…”In tale contesto di crisi generalizzata non solo alcune norme, ma l’intero impianto normativo del CCII, pensato rapportando la crisi dell’operatore economico all’andamento dello specifico settore di appartenenza, perde significato in uno “scenario nel quale si rovescia il mondo e, ove ci fossero, le imprese in ordinario funzionamento diventano le eccezioni” ;

b. inoltre l’entrata in vigore del CCII, del tutto verosimilmente, allerterebbe l’intero sistema degli indicatori e degli indici, con effetti dannosi per il sistema. Invero, diversamente dalla legge fallimentare che non prevede una positiva definizione di crisi (e a sensi della quale, comunque, lo stato di crisi costituisce condizione di accesso a procedure cui il debitore sceglie liberamente di accedere), tale definizione è invece contenuta nel CCII (art. 2, c. 1, lett. a) che invero ne fa la condizione di accesso alla procedura di allerta (che non è volontaria). Di fatto quindi, avuto riguardo agli indici elaborati dal CNDCEC, all’entrata in vigore del CCII, sarebbero seguite comunque, nonostante cioè il differimento a febbraio prossimo dell’obbligo di segnalazione da parte degli organi di controllo all’OCCRI, una valanga di segnalazioni da parte degli organi di controllo agli amministratori con il conseguente, probabile avvio dei procedimenti di composizione assistita ex art. 19 CCII avanti l’OCCRI. Invero il mero differimento degli artt. 14, comma 2 e 15 CCII, seppure necessario, non era sufficiente a mettere in sicurezza le imprese, posto che il sensibile incremento di quelle obbligate a dotarsi dell’organo di controllo a seguito della già avvenuta entrata in vigore delle modiche all’art. 2477 c.c. (art. 389 CCII), lasciavano presumere che, pur non essendo gli organi di controllo obbligati alla segnalazione all’OCCRI (obbligo, si è detto, differito a febbraio prossimo), gli stessi avrebbero comunque fatto pressione sugli amministratori perché presentassero l’istanza di composizione assistita ex articolo 19 CCII e ciò per sottrarsi a possibili responsabilità (vieppiù in una situazione di incertezza quale quella attuale e stante l’avvenuto differimento anche dell’esenzione di cui all’art. 14 CCII);

c. ed ancora, come segnalato da più parti , appariva poco opportuno in una situazione di eccezionale emergenza come quella attuale pretendere dagli operatori di rispondere alla stessa utilizzando strumenti mai utilizzati in precedenza e mai rodati, in assenza quindi, fra altro, di una giurisprudenza che, per quanto in alcuni casi frammentaria, ha in ordine ad alcune rilevantissime problematiche concorsuali ormai trovato degli approdi saldi: circostanza questa che, favorendo una maggiore uniformità di giudizio, contribuisce anche ad un clima di maggior fiducia nella giustizia;

d. infine tale differimento permetterà al Legislatore di apportare al CCII le modifiche necessarie per armonizzarne il testo con l’emananda disciplina di attuazione della Direttiva (UE) 2019/1023 (“Direttiva sulla ristrutturazione e sull’insolvenza”) in materia di ristrutturazione preventiva delle imprese.

3.2. Improcedibilità delle procedure per la dichiarazione di fallimento e dello stato di insolvenza (art. 10 D.L. liquidità).

L’art. 10 (Disposizioni temporanee in materia di ricorsi e richieste per la dichiarazione di fallimento e dello stato di insolvenza) del decreto liquidità ha disposto l’improcedibilità di tutti i ricorsi per dichiarazione di fallimento e dello stato di insolvenza depositati nel periodo tra il 9 marzo 2020 ed il 30 giugno 2020.
Invero, com’era stato giustamente evidenziato , in un contesto di crisi generale perde di significato il controllo giudiziario della gestione della crisi, essendo il sistema giudiziario (comunque di fatto non in grado di assorbire il possibile carico derivante dall’attuale emergenza), deputato a gestire situazioni patologiche, ma in condizioni di normalità del sistema economico.

È stato quindi accolto l’invito ad attuare tale sospensione per un periodo di tempo sostanzialmente parametrato alla durata dell’emergenza (anche se, come noto, lo stato di emergenza è stato dichiarato con Delibera del Consiglio dei Ministri 31 gennaio 2020 per sei mesi, quindi sino al 31 luglio 2020). Unica eccezione a tale improcedibilità è il caso in cui il ricorso sia presentato dal P.M. e accompagnato dalla richiesta di provvedimenti cautelari a tutela del patrimonio dell’impresa (e ciò per scongiurare condotte dissipatorie, di rilevanza anche penale, a danno dei creditori). Il nostro Governo invece, in linea con le indicazioni CERIL, ma differentemente da quanto, ad esempio, ha fatto la Germania (e da quanto, da più parti, veniva autorevolmente suggerito), ha ritenuto di optare per una previsione di improcedibilità - seppure di durata contenuta (e al termine della quale le istanze per la dichiarazione dello stato di insolvenza potranno essere nuovamente presentate) e salvo l’eccezione di cui si è detto - di applicazione generalizzata. 

Tale improcedibilità è stata invero estesa a tutte le imprese anche di grandi dimensioni (comprese quelle assoggettate alla disciplina dell’amministrazione straordinaria) e a tutte le tipologie di istanze, anche a quelle presentate dall’imprenditore in proprio , senza prevedere la necessità che lo stato di insolvenza sia riconducibile all’emergenza epidemiologica. Le ragioni sottese a questa scelta normativa starebbero nell’evitare il rischio di una dispersione del patrimonio produttivo senza un correlativo beneficio a vantaggio dei creditori (visto che la liquidazione avverrebbe in una situazione di mercato profondamente alterata), nonché nella volontà di non gravare nell’immediato i Tribunali, già in situazione di emergenza, di un ulteriore carico di lavoro. Tale soluzione non sembra del tutto convincente: sotto il primo profilo in una situazione come quella attuale “non si possono <<ibernare>> le aziende lasciandole del tutto ferme, senza dichiarazione di fallimento, in attesa che il mercato riparta. Chi non paga, seppur tutelato, farebbe mancare la necessaria liquidità alle altre aziende con il rischio elevato di un default generalizzato” : inoltre è purtroppo fortemente improbabile che di qui a quattro mesi la situazione di mercato sarà tornata alla normalità.

Sotto il secondo profilo, se è sicuramente condivisibile la volontà di non gravare i Tribunali di ulteriore carico di lavoro che nella situazione attuale (ma, soprattutto, nel prossimo futuro) sarà certamente gravosissima, va evidenziato che la scelta di non lasciare semplicemente sospesi fino al 30 giugno 2020 i ricorsi per la dichiarazione di fallimento depositati, ma di dichiarane la improcedibilità (non potendo fino a tale medesima data essere gli stessi riproposti ovvero presentati nuovi ricorsi), rende comunque necessario un coinvolgimento dei Tribunali.

Tali criticità avrebbero potuto essere in parte arginate con soluzioni più “chirurgiche”, quali, ad esempio:

a. richiedere, ai fini dell’applicazione della sospensione, com’era stato suggerito , una attestazione predisposta dall’impresa e pubblicata nel Registro Imprese da affidare ad un professionista indipendente munito dei requisiti di cui all’articolo 67, c. III, lett. d) L.F., con un coinvolgimento solo eventuale, quindi, dell’Autorità Giudiziaria. Solo stante tale attestazione l’eventuale giudizio per dichiarazione di fallimento, sarebbe stato improcedibile, salvo riconoscersi al creditore il potere di provocare l’intervento del Tribunale per il controllo giudiziale circa la “tenuta” di tale causa di improcedibilità, per evitare abusi (e ferma comunque la possibilità del debitore che non si fosse tempestivamente munito di tale attestazione e/o non l’avesse – ancora - pubblicata, di paralizzare in sede prefallimentare l’iniziativa del creditore, ricorrendone i presupposti);

ovvero

b. consentire alle imprese in crisi nel periodo Covid-19 con intenzione di proseguire nell’attività di impresa di dichiarare esse stesse tale loro stato di crisi in via amministrativa, con un’autodichiarazione da pubblicarsi sempre presso il Registro Imprese (senza necessità quindi di ricorrere all’autorità giudiziaria e di munirsi di attestazione da parte di professionista indipendente), magari consentendo loro di destinare la liquidità al finanziamento della continuità aziendale, preferendola, per ragioni legate alla tenuta del sistema produttivo, rispetto all’adempimento degli obblighi dell’impresa verso i creditori aventi titolo e causa precedente al periodo Covid-19 ;

ovvero ancora

c. semplicemente prevedere la fissazione della prima udienza dei procedimenti prefallimentari oltre il 30 giugno , evitando un inutile aggravio di spesa per i creditori (obbligati a ripresentare l’istanza) e di lavoro per i tribunali (obbligati comunque ad intervenire con l’emissione del decreto che dichiara l’improcedibilità).

La soluzione scelta dal D.L. liquidità, che pur contribuisce al (tentativo di) salvataggio del tessuto imprenditoriale sano, la rende peraltro applicabile anche a procedure riguardanti imprese insolventi già in data anteriore allo shock e la cui permanenza sul mercato non era affatto auspicabile, di fatto inoltre confiscando il diritto di azione anche nei confronti di imprese il cui stato di insolvenza non dipende affatto dal lockdown. Come, anche prima dell’emanazione di tali misure, era stato correttamente sottolineato , non pare condivisibile la scelta adottata dalla norma in commento di tout court ibernare queste situazioni, non consentendo la dichiarazione di fallimento. Sia consentito ribadire una puntualizzazione già ricordata: “Chi non paga, seppur tutelato, farebbe mancare la necessaria liquidità alle altre aziende con il rischio elevato di un default generalizzato”. Per altro verso, tale soluzione al contempo confisca la possibilità dell’imprenditore stesso di far volontariamente ricorso alla procedura di fallimento (come alle altre procedure concorsuali): ciò che lascia quantomeno perplessi, non essendo evidentemente coercibile un obbligo di prosecuzione nell’attività di impresa, salvo la sanzione generica del risarcimento del danno. 

Il D.L. liquidità ha previsto la sterilizzazione di tale periodo di blocco esclusivamente ai fini:

del calcolo del termine di decadenza di cui all’art. 69 bis L.F. per la proposizione delle azioni revocatorie (art. 10, c. 2); 

del conteggio del termine annuale ex art. 10 L.F. entro il quale l’impresa cancellata dal Registro delle Imprese può essere ancora dichiarata fallita se l’insolvenza si è manifestata anteriormente alla cancellazione o entro l’anno successivo (art. 10, c. 3).
Nulla invece è stato disposto:

in ordine alla retrodatazione del c.d. periodo sospetto, talché, stante l’improcedibilità della prima istanza per la dichiarazione di fallimento eventualmente presentata, potranno sottrarsi a revocatoria eventuali atti dispositivi posti in essere dal debitore ;

in odine alla sospensione del termine di consolidamento dell’ipoteca, con conseguente possibile inattaccabilità dell’ipoteca iscritta.

Ciò che, evidentemente, mal si concilia con il dichiarato fine di evitare che tale blocco venga a riverberarsi in senso negativo sulle forme di tutela della par condicio creditorum, certamente invece incise da tali omissioni.

3.3. Sospensione degli obblighi di ricapitalizzazione, della causa di scioglimento per riduzione del capitale sociale sotto il minimo e di valutazione del going-concern (artt. 6 e 7 D.L. liquidità). 

La contemporanea assunzione di tali provvedimenti, unitamente a quello di “sospensione” delle procedure fallimentari, era stata unanimemente ritenuta imprescindibile per non vanificare gli effetti di tale provvedimento, atteso che, come rilevato anche nella Relazione Illustrativa, in difetto, sarebbero state le stesse Società a dover comunque procedere alla liquidazione.

Il D.L. liquidità ha accolto tale invito con le disposizioni di cui agli artt. 6, 7 ed 8.

Art. 6 (Disposizioni temporanee in materia di riduzione del capitale)
È stata prevista, a decorrere dal 9 aprile 2020 (data di entrata in vigore del decreto) e fino al 31 dicembre 2020:
- la sospensione degli obblighi per le società di ricostituire il capitale sociale ovvero di liquidare la propria attività, con la disapplicazione delle norme di cui agli articoli 2446, II e III comma, 2447, 2482bis, IV, V e VI comma, e 2482ter c.c.;
- la inoperatività della causa di scioglimento della società per riduzione o perdita del capitale sociale di cui agli articoli 2484, n. 4, e 2545duodecies c.c..

L’assoluta centralità (anche) di tale intervento in un’ottica di salvaguardia del sistema imprenditoriale era peraltro testimoniata dai risultati di uno studio pubblicato sul Sole24ore che aveva evidenziato come oltre il 22% delle nostre società di capitali subirà perdite tali da azzerare il capitale sociale. Sul punto si segnala che il provvedimento adottato non sembra però essere del tutto in linea con l’art. 19 della direttiva 2012/30/CEE, secondo cui nel caso di perdita grave del capitale sottoscritto, “l’assemblea deve essere convocata nel termine previsto dalla legislazione degli Stati membri, per esaminare se sia necessario sciogliere la società o prendere altri provvedimenti”.

Per tali ragione, a mio avviso correttamente, era stato ritenuto preferibile  rinviare “l’obbligo di adottare gli opportuni provvedimenti al termine all’esercizio successivo a quello in cui si è riscontrata l’erosione del capitale per perdite (dunque, al 31.12.2021, ove si verificassero nel corso del 2020)”, soluzione (già sperimentata in tema di start-up innovative), che comunque avrebbe garantito “una tempestiva informazione ai soci in ordine alle perdite”.

Art. 7 (Disposizioni temporanee sui principi di redazione del bilancio)
Viene previsto che, nella redazione del bilancio di esercizio in corso al 31 dicembre 2020, la valutazione delle voci possa essere effettuata nella prospettiva della continuazione dell’attività di cui all’articolo 2423bis, I comma, n. 1), c.c. qualora la stessa fosse sussistente nell’ultimo bilancio di esercizio chiuso in data anteriore al 23 febbraio 2020 (fatta salva la proroga di sessanta giorni per l’adozione dei rendiconti o dei bilanci d’esercizio relativi all’esercizio 2019 di cui all’art. 106 del D.L. cura Italia).

In ogni caso il criterio di valutazione utilizzato dall’impresa dovrà essere specificamente illustrato nella nota informativa, anche mediante il richiamo delle risultanze del bilancio precedente.
Viene in buona sostanza sospeso il principio di “valutazione delle voci” di bilancio nella “prospettiva della continuazione dell’attività”, il cd. going concern (principio richiamato non solo dall’art. 2423bis, I comma, di cui alla norma in commento, ma anche dall’art. 2428 c.c. in sede di stesura della relazione sulla gestione), fermi restando gli obblighi informativi degli amministratori verso l’assemblea (peraltro imposti per le S.p.A. dall’art. 58 della Direttiva 1132/2017), non essendo stati richiamati (e sospeso quindi il relativo dovere degli amministratori), l’art. 2446, I comma, c.c. e l’art. 2482-bis, I, II e III comma, c.c.: talché gli amministratori, al verificarsi delle perdite, saranno tenuti a convocare senza indugio l’assemblea dei soci.

La sospensione del principio del going concern è certamente condivisibile, essendo evidente che, trattandosi di valutazione prospettica in ordine alla capacità dell’impresa di continuare la propria esistenza operativa per un periodo di almeno dodici mesi, la stessa risultava preclusa in un quadro di assoluta incertezza ed eccezionale emergenza quale quello attuale. Anche in questo caso, come confermato dalla Relazione Illustrativa, lo scopo era quello, condivisibile ed essenziale, di evitare che gli amministratori di moltissime imprese “anche performanti”, ma in contingente difficoltà in conseguenza dell’emergenza, si trovassero nell’alternativa tra l’immediata messa in liquidazione ed il rischio di esporsi alla responsabilità per gestione non conservativa (art. 2486 c.c.).

Correttamente tale disposizione, oltre che di durata limitata (ma si spera sufficiente a traghettare l’impresa oltre il momento emergenziale) è stata anche opportunamente circoscritta alle sole imprese che al momento del lockdown erano in salute, e quindi avevano un capitale sociale non inferiore al minimo previsto, non essendosi verificata alcune causa di scioglimento, e relativamente alle quali sussisteva quindi il presupposto della continuità aziendale.
Infatti, come si legge nella Relazione Illustrativa, lo scopo della norma era per l’appunto quello di “neutralizzare gli effetti devianti dell’attuale crisi economica conservando ai bilanci una concreta e corretta valenza informativa anche nei confronti dei terzi, consentendo alle imprese che prima della crisi presentavano una regolare prospettiva di continuità di conservare tale prospettiva nella redazione dei bilanci degli esercizi in corso nel 2020, ed escludendo, quindi, le imprese che, indipendentemente dalla crisi COVID-19, si trovavano autonomamente in stato di perdita di continuità”.

Art. 8 (Disposizioni temporanee in materia di finanziamenti alle società)
È stata disposta la temporanea disapplicazione (sino al 31.12.2020) delle norme in tema di postergazione dei finanziamenti effettuati in favore della Società, dai soci o da chi esercita attività di direzione e coordinamento (artt. 2467 e 2497 quinquies c.c.).
Tale disposizione è condivisibile, stante l’evidente scopo di incentivare i canali alternativi per la possibile sostenibilità finanziaria dell’impresa, in un momento storico (che si spera concluso o comunque di grandemente ridotta difficoltà al 31.12.2020) in cui la ratio di tali norme, come noto intese a sanzionare indirettamente i fenomeni di c.d. sottocapitalizzazione nominale , disincentiverebbe i soci (o chi esercita attività di direzione e coordinamento) a finanziare l’impresa in un frangente in cui invece più che mai necessitano (anche) tali flussi finanziari.

Si è quindi deciso di non disporre (come hanno invece fatto altri Stati europei) la sospensione degli obblighi degli amministratori della società in crisi di interrompere la gestione, prevedendo solo, come detto, la temporanea sospensione degli obblighi di ricapitalizzazione e la disapplicazione delle cause di scioglimento per riduzione del capitale sociale al di sotto del minimo, sollevando pertanto gli amministratori dagli obblighi correlati su di essi altrimenti incombenti, e quindi dalla responsabilità per gestione non conservativa ex art. 2486 c.c. Tale decisione, al di là del fatto che lascia completamente deregolamentata la fase post-lockdown (come dovranno comportarsi dal 12 maggio gli amministratori delle società colpite dalla crisi causata dal blocco?!), non sembra comunque sufficiente neppure durante il lockdown, in uno scenario in cui (stante peraltro l’improcedibilità di un’eventuale domanda di fallimento in proprio),

permane, ex art. 2086, II c. c. (nuova formulazione in vigore dal 16 marzo 2019), in capo agli amministratori l’obbligo di predisporre gli assetti adeguati e di attivazione per la tempestiva adozione degli strumenti per far fronte ai segnali di crisi , obblighi di cui nel presente scenario emergenziale sarebbe preferibile quantomeno una attenuazione;

per le imprese si pone, oltre che un grave problema di capitalizzazione a medio termine, anche e sin da subito un problema di liquidità a brevissimo termine: talché, nonostante le misure anche da ultimo assunte, la richiesta di accesso al credito bancario, che sarà vitale per gran parte delle PMI, inevitabilmente esporrà gli amministratori nel presente scenario normativo a elevati rischi gestori. Ciò che potrebbe suggerir loro una gestione “difensiva” dell’impresa, attuando, pur fra le scelte possibili e comunque adeguate, quella più cautelativa per esso amministratore, piuttosto che quella più opportuna per il salvataggio dell’impresa in una situazione di assoluta eccezionalità storica.

Il tutto in un contesto in cui non è stata nemmeno prevista, per quanto concerne il danno addebitabile all’amministratore, la sterilizzazione della perdita accumulata nel periodo emergenziale, che, pertanto, in caso di contenzioso, potrebbe essergli addossata, con l’aggravante che, in caso di accertata responsabilità, il danno sarà quantificato a mezzo della presunzione (semplice) di cui all’art. 2486, III c., c.c. (nuova formulazione), e quindi del cd. criterio dei netti patrimoniali (e, in caso di mancanza/irregolarità scritture contabili, a mezzo della presunzione assoluta della differenza fra attivo e passivo).

3.4. Disposizioni in materia di concordato preventivo e di accordi di ristrutturazione (art. 9 D.L. liquidità).

Ratio dell’art. 9 del D.L. liquidità è evitare che l’eventuale aggravamento della situazione di crisi dovuta all’emergenza sanitaria dell’impresa già soggetta a procedura di concordato preventivo o ristrutturazione ex art. 182 bis L.F., possa pregiudicare il buon esito del risanamento, portando al fallimento dell’impresa stessa.
A tal fine il decreto prevede nel caso di procedure di concordato preventivo e di accordo di ristrutturazione dei debiti:

  • già omologati, una proroga ex lege di sei mesi dei termini di adempimento in scadenza nel periodo compreso tra il 23 febbraio 2020 ed il 31 dicembre 2021;
  • non ancora omologati alla data del 23 febbraio, la possibilità per il debitore di richiedere un termine di 90 giorni per la presentazione di un nuovo piano e di una nuova proposta di concordato o di un nuovo accordo di ristrutturazione, che tenga conto dei fattori economici sopravvenuti per effetto della crisi sanitaria. Al fine di evitare l’applicazione di tale disposizione a procedure il cui insuccesso non dipende dalla crisi Covid19, tale termine non è prorogabile e non può essere concesso nel concordato preventivo quando all’esito della votazione non siano state raggiunte le maggioranze per l’approvazione;
  • in cui il debitore intenda modificare soltanto i termini di adempimento originariamente previsti, la possibilità presentare al Tribunale una memoria contenente l’indicazione dei nuovi termini (la cui proroga non può essere superiore a tre mesi) e la documentazione comprovante la necessità della proroga. Acquisito il parere del commissario giudiziale, il tribunale, se sussistono i requisiti richiesti, omologa il piano dando espressamente atto delle nuove scadenze;
  • in fase, rispettivamente, di concordato in bianco (c. 4) o di pre-accordo di ristrutturazione dei debiti (c. 5), quando i termini per il deposito della proposta e del piano siano già stati prorogati, la possibilità per il debitore di presentare istanza per un ulteriore proroga di 90 giorni. 

Tale istanza:
- dev’essere presentata prima della scadenza della proroga dei termini ordinari;
- è ammessa anche se risulta già pendente un ricorso per la dichiarazione di fallimento;
- deve indicare gli elementi che ne rendono necessaria la concessione con specifico riferimento ai fatti sopravvenuti per effetto dell’emergenza epidemiologica COVID-19.

Il Tribunale:
nel concordato in bianco, acquisito il parere del commissario giudiziale se nominato, concede la proroga quando ritiene che l’istanza si basi su concreti e giustificati motivi;
nei procedimenti di preaccordo, provvede in camera di consiglio e concede la proroga quando, oltre ai concreti e giustificati motivi per la proroga, ritiene sussistenti i presupposti per pervenire a un accordo di ristrutturazione dei debiti con i creditori che rappresentano almeno il 60% dei crediti.

Tali norme (artt. 9, commi 4 e 5), consentono quindi, a certe condizioni, una proroga di ulteriori 90 giorni: norme che vanno lette in combinato con l’art. 36, che prevede una sospensione generalizzata sino all’11 maggio 2020 dei termini processuali, tra cui pacificamente rientra, come risulta da tutte le decisione assunte sul punto dai diversi Uffici giudiziari, anche quello relativo al deposito del piano di concordato o all’accordo di ristrutturazione . 
Va da sé quindi che, sulla base del combinato disposto delle predette disposizioni del D.L. liquidità (artt. 9 e 36) sembrerebbe che il debitore potesse disporre di circa ulteriori 150 giorni per il deposito .

Nulla risulta invece previsto dall’art. 9 D.L. liquidità per la procedura di sovraindebitamento anche se sembra condivisibile l’orientamento da ultimo espresso dal Tribunale di Napoli  che, richiamato il combinato disposto dell’art. 91 D.L. cura Italia e degli artt. 1218 e 1223 c.c., ha ritenuto l’art. 91 applicabile a qualsiasi rapporto contrattuale o procedimentale instaurato prima delle disposizioni di contenimento o durante la loro vigenza e quindi anche alla procedura di sovraindebitamento.
Secondo tale orientamento la disposizione di cui all’art. 91 del D.L. cura Italia dovrebbe quindi essere ritenuta di carattere generale e applicabile a tutte le prestazioni divenute totalmente o parzialmente impossibili, potendo essere riferibile a qualsiasi rapporto (e quindi anche alla procedura di sovraindebitamento), per sollevare da colpa chi per un evento imprevisto ed imprevedibile ha subito una modifica sostanziale nella sfera privata o nell’esercizio dell’impresa che non gli consente più l’esecuzione o la prosecuzione dei rapporti giuridici di cui è parte.

Per quanto concerne in particolare il sovraindebitamento, secondo la giurisprudenza citata, dal momento che al giudice è riservata la verifica sulla meritevolezza del piano del consumatore sia nella fase genetica sia nella fase funzionale, nonché il controllo della fattibilità, cosi come attestata dall’OCC, ad esso giudice potrà anche essere riservata la valutazione degli eventi sopravvenuti che impongano una modifica degli accordi o della proposta unilaterale del sovraindebitato.
Complessivamente comunque tali norme in materia di concordato preventivo e accordi di ristrutturazione (art. 9 D.L. liquidità) non sembrano comunque cogliere che la crisi attuale purtroppo riguarderà un numero rilevantissimo di imprese che pertanto, pur non trovandosi attualmente in procedura concorsuale, a breve potrebbero esserlo, con una conseguente implosione degli uffici giudiziari che, privi delle necessarie risorse, non saranno evidentemente in grado di sostenere il relativo carico di lavoro, soprattutto perché non si tratterà di particolari e circoscritte situazioni di crisi, ma di una situazione di crisi generalizzata, alla cui risoluzione la giurisdizione non è certo preposta (o comunque non dovrebbe esserlo, per supplire ad altre deficienze istituzionali).

Il legislatore, per il momento, non si è nemmeno prefigurato tale (assolutamente prevedibile) criticità, al solito preferendo occuparsi dei problemi solo una volta che i relativi danni si saranno già verificati, verosimilmente in tal modo diffondendo il contagio anche alle poche imprese ancora immuni dalla crisi: forse, anche in questo caso, proposte delle quali si è già dato conto , si potrebbe immaginare di “seguire un percorso amministrativo e non giudiziario con il riconoscimento legale dello stato di difficoltà finanziaria” .

3.5. Disciplina dei contratti pendenti e delle azioni ordinarie ed esecutive (artt. 56, 83 e 91 D.L. cura Italia e artt. 11 e 36 D.L. liquidità) 

Il D.L. cura Italia si è limitato, a grandi linee, a prevedere: 
- all’art. 56, l’irrevocabilità anche parziale fino al 30 settembre 2020 delle linee di credito a breve, la proroga del termine di rimborso dei finanziamenti non rateali aventi scadenza anteriore a tale data e la sospensione per i mutui e gli altri finanziamenti a rimborso rateale del pagamento delle rate/canoni in scadenza sino al 30 settembre 2020 ;

- all’art. 83, il rinvio d’ufficio dal 9 marzo 2020 al 15 aprile 2020 delle udienze dei procedimenti civili e penali a data successiva al 15 aprile 2020 e per la stessa durata, la sospensione del decorso dei termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti civili e penali e quindi anche dei termini per la proposizione degli atti introduttivi del giudizio e dei procedimenti esecutivi, per le impugnazioni e, in genere, tutti i termini procedurali;

- all’art. 91, in materia di ritardi o inadempimenti contrattuali derivanti dall’attuazione delle misure di contenimento, che il rispetto delle misure di contenimento “è sempre valutato ai fini dell'esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti”.

Il successivo D.L. liquidità, in buona sostanza:
- non ha inciso sull’art. 56;
- all’art. 36, ha prorogato sino all’11 maggio 2020 il termine di cui all’art. 83 D.L. cura Italia relativo al rinvio d’ufficio delle udienze dei procedimenti civili e penali ed alla sospensione del decorso dei termini;
- non ha inciso sull’art. 91, nulla aggiungendo sul punto;
- ha introdotto l’art. 11 (Sospensione dei termini di scadenza dei titoli di credito),
sospendendo su tutto il territorio nazionale i termini di scadenza, ricadenti o che iniziano a decorrere nel periodo compreso tra il 9 marzo 2020 e il 30 aprile 2020, relativi a vaglia cambiari, a cambiali e ad ogni altro titolo di credito o atto avente forza esecutiva;
chiarendo il campo di applicazione della sospensione, con specifico riferimento agli assegni bancari e postali ;
sospendendo la trasmissione alle CCCII da parte dei pubblici ufficiali dei protesti levati dal 9 marzo 2020 fino al 9.04.2020 (data di entrata in vigore del D.L. liquidità).

Di fatto sia l’art. 83 Decreto cura Italia, sia l’art. 36 Decreto liquidità semplicemente prevedono una moratoria (anche) per le azioni esecutive sino all’11 maggio 2020 , nulla invece dettando in ordine agli effetti derivanti dall’inadempimento degli obblighi di pagamento, che pertanto permangono, così come resta ferma la possibilità di chiedere la risoluzione del contratto.
Tale moratoria, si è rammentato, si applica a tutti i termini processuali e quindi anche ai termini per il deposito del piano o dell’accordo di ristrutturazione, ferma peraltro l’applicazione dell’art. 9 D.L. liquidità sui termini di adempimento.
È invece discusso se tale moratoria possa applicarsi agli obblighi informativi periodici nel concordato preventivo, trattandosi di termine sostanziale .

Nemmeno l’art. 91 del D.L. cura Italia (che non è stato in alcun modo integrato dal D.L. liquidità) ha previsto la sospensione o la proroga dei termini contrattualmente previsti, ma soltanto una limitazione o riduzione della responsabilità di contenuto indefinito, la cui applicazione necessiterà comunque dell’intervento del giudice, con tutte le problematiche del caso, aggravate dall’attuale situazione emergenziale.
In ordine alla possibile estensione applicativa di tale norma, oltre all’interpretazione data dalla già citata sentenza del Tribunale di Napoli in materia di sovraindebitamento, soccorre anche autorevole dottrina  secondo cui invero “...la previsione appare applicabile tanto al caso di significativa difficoltà nell'esecuzione della prestazione, quanto a quello delle difficoltà inerenti all'apprestamento dei mezzi occorrenti per l'esecuzione. Del resto, la dissociazione programmata dal comma 6 bis [comma per l’appunto aggiunto dall’art. 91 D.L. cura Italia all’articolo 3 del D.L. 23.02.2020, n. 6, convertito con modificazioni dalla L. 5.03.2020, n. 13] tra la linea della (non) responsabilità e la linea della liberazione apre senz'altro la via alla ricomprensione, nel contesto della protezione in questione, anche delle obbligazioni di cose di genere. Senza contare che il testo normativo afferma esplicitamente che la valutazione relativa alla significativa difficoltà della prestazione va «sempre» effettuata”.

Questa sospensione dei termini fino al 15 aprile, poi prorogata all’11 maggio, per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti civili e penali, comprende, si è detto, anche i termini per la proposizione dei procedimenti esecutivi (pur restando possibile chiedere la dichiarazione di urgenza nei casi in cui la ritardata trattazione possa produrre grave pregiudizio alle parti e quindi ai creditori), ma non è immaginabile, stando così le cose, il caos che seguirà dal 12 maggio in poi negli uffici giudiziari . 
Il problema è che tale normativa non ha adeguatamente soppesato le ragioni dello Statement CERIL che evidenziava come in un contesto quale quello attuale (purtroppo verosimilmente destinato a persistere per un apprezzabile lasso temporale) le azioni esecutive potrebbero provocare un danno maggiore del beneficio apportato al sistema (essendo quindi ragionevole estendere la moratoria ad un periodo più ampio). 

Ci si è soltanto preoccupati di evitare durante il periodo di lockdown il sovraffollamento degli uffici giudiziari e non invece di disciplinare in qualche modo la fase successiva, nella quale molte imprese si troveranno a doversi difendere da aggressive iniziative dei creditori e nella necessità di dover predisporre strumenti di recupero della continuità aziendale, nella vigenza peraltro dei nuovi obblighi di adozione degli assetti organizzativi, amministrativi e contabili finalizzati al monitoraggio dell’impresa e della sua possibile impresa (art. 2086 c.c.).

Già all’indomani della pubblicazione del D.L. cura Italia da più parti si erano quindi invocate misure più incisive (ed efficaci) di quelle adottate (nonché di quelle che sono poi concretamente state adottate anche con il D.L. liquidità), relative, per quanto concerne la presente indagine, a:

  • una moratoria generalizzata per i pagamenti con scadenza successiva all’inizio della fase di emergenza e di durata temporale sufficiente a proteggere l’impresa (anche se questa situazione di generale “stand still”, se da un lato, non obbliga l’imprenditore al pagamento dei debiti in scadenza, dall’altro rende inesigibili i crediti dallo stesso vantati nei confronti di altri imprenditori);
  • la esclusione dalle possibili cause di risoluzione dei contratti pendenti di quegli inadempimenti successivi all’emergenza e dalla stessa causati;
  • una moratoria generalizzata delle azioni esecutive, magari raggiunta attraverso un meccanismo di autodichiarazione da parte dell’imprenditore disposto a sborsare gli interessi di mora al fine di ottenere una sorta di temporaneo automatic stay concesso per legge, senza il quale peraltro potrebbe rilevarsi necessario l’accesso alla procedura concordataria (che per l’appunto contempla l’automatic stay).

Nulla di tutto questo ha ritenuto di fare il D.L. liquidità, non essendo quindi state assecondate le indicazioni di cui alla Statement CERIL di prendere in considerazione interventi di moratoria generalizzata se non dei pagamenti con scadenza successiva all’emergenza, quantomeno delle azioni esecutive nei confronti delle imprese insolventi.

In effetti la questione non è di semplice soluzione, atteso che l’applicazione indiscriminata di tali misure di fatto impatterebbero anche sulle stesse imprese a protezioni delle quali dovrebbe essere assunta, venendo in concreto a dover essere dalle stesse sopportata: inoltre, se da un lato l’applicazione automatica di tale misura avrebbe il vantaggio di evitare controversie in ordine alla operatività della stessa, dall’altro potrebbe spingere anche quelle imprese che ancora riuscirebbero ad adempiere regolarmente le proprie obbligazioni a sospendere comunque i pagamenti, rallentando ulteriore un’economia già azzoppata.

Peraltro anche in questo caso (come al fine dell’improcedibilità dell’eventuale azione di fallimento), si sarebbe potuto rimettere l’iniziativa all’impresa insolvente, consentendole, come è già stato da più parti suggerito , di attestare - tramite un professionista indipendente con i requisiti di cui all’art. 67, c. III, lett. d) L.F., con dichiarazione da pubblicarsi presso il Registro delle Imprese - di essere affetta dalle conseguenze economiche del coronavirus, salva sempre la possibilità degli interessati di ottenerne la revoca giudiziale, difettandone i presupposti.

In conclusione è indubitabile lo stato di caos - in matematica rappresentato dall’incertezza combinata con la velocità dei mutamenti - con cui oggi, ma soprattutto un domani, venuto meno il lockdown, tutte le imprese dovranno confrontarsi, caos che gli interventi normativi finora attuati (come anche quelli economici-fiscali) non hanno purtroppo contribuito a significativamente a diminuire.
Allo stato, quindi, non rimane che confidare nel fatto che nessuno supera nella gestione del caos gli italiani, ed in particolare gli imprenditori italiani, “abituati al fatto che non succedano le cose che invece dovrebbero succedere, capaci di concentrarsi sul perché piuttosto che sul che cosa di procedure e istruzioni … ed in un mondo che ha tanti che cosa che cambiano velocemente chi sta sul perché …ha un grande vantaggio”.

Autori:
Franca Vianello - Associate Partner

Content Editor

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