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Sicurezza sul Lavoro: quale lezione trarre dall’azione della Procura di Milano su riders e piattaforme di delivery?

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Ultimo aggiornamento del 16.03.2021 | Tempo di lettura ca. 5 minuti


È già da qualche anno che seguiamo con interesse le vicende che riguardano i riders, i famosi ciclofattorini che hanno scatenato interessanti dibattiti sul loro inquadramento giuslavoristico, dal momento che le loro attività hanno numerose affinità sia con il lavoro autonomo, sia con quello subordinato.


Dopo un acceso confronto dottrinale e rilevanti sentenze, che avevano portato in alcuni casi all’affermazione dell’autonomia dei riders, in altri all’instaurazione di rapporti di lavoro subordinato ed in altri ancora a ricondurre l’attività dei ciclofattorini alle collaborazioni etero-organizzate di cui all’art. 2 del D. Lgs. n. 81/2015, nel 2019 il Legislatore è finalmente intervenuto nel dibattito, assumente una specifica posizione. 
In particolare, con il D.L. 101/2019, come poi convertito in Legge, il campo di applicazione dell’art. 2 sopracitato, e quindi della disciplina del rapporto di lavoro subordinato, è stato esplicitamente esteso ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro prevalentemente personali e continuative, le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente, anche tramite piattaforme digitali. 

Oltre a ciò, sono state introdotte nel D. Lgs. n. 81/2015 ulteriori nuove disposizioni, che prevedono dei livelli minimi di tutela per i lavoratori delle piattaforme di delivery e, in particolare, per i riders, collocandoli in una categoria ibrida, appartenente al lavoro autonomo, ma capace di garantire maggiori tutele anche e soprattutto con riferimento alla loro salute e sicurezza. 

Ciò detto, gli approdi giurisprudenziali, di cui si tratterà nel prosieguo, traggono le proprie argomentazioni dalla storica sentenza n. 1663/2020 della Corte di Cassazione, riguardante la qualificazione giuridica del rapporto di lavoro dei riders. In tale decisione, la Suprema Corte, risolvendo il contrasto emerso nelle precedenti pronunce di merito, ha confermato l’applicabilità ai rapporti di lavoro dei ciclofattorini di Foodora dell’art. 2 sopracitato e, dunque, della disciplina del lavoro subordinato.

In linea di continuità con questa interpretazione, il Tribunale di Bologna – con ordinanza del 31 Dicembre 2020 – ha ritenuto sussistente un rapporto di collaborazione, sempre ai sensi dell’art. 2 del D. Lgs. n. 81/2015, ponendo a carico della committente tutti gli obblighi tipici del lavoro subordinato. Tra questi, particolare attenzione è stata posta al divieto di discriminazione, che secondo il Giudice era stato violato dall’algoritmo di Deliveroo, dal momento che assegnava un migliore ranking e – conseguentemente – un maggior numero di incarichi ai riders, in base a criteri ritenuti arbitrari e discriminanti. 
 
Ancora più pregnante, con riferimento all’obbligo di tutela della salute dei riders, è il decreto del Tribunale di Firenze del 1 Aprile 2020, confermato poi anche nell’ordinanza successiva.  A fronte di un ricorso d’urgenza ex art. 700 c.p.c., il Giudice fiorentino ha sancito l’obbligo per il committente di fornire il rider i necessari DPI anti-Covid-19 (ovvero, mascherine, guanti, gel igienizzanti e soluzioni a base   alcolica per la disinfezione degli zaini). A tal proposito, non si può trascurare il fatto che, in questi mesi in cui la pandemia ha reso la consegna a domicilio un servizio essenziale, i riders hanno assunto un ruolo centrale e, allo stesso tempo, sono stati tra i soggetti più esposti al rischio di contagio da Coronavirus.  

La mancata dotazione di dispositivi di protezione da parte dei colossi del delivery, che pure ne consigliavano l’uso ai riders, è stata giustificata fondamentalmente sulla base della natura autonoma del rapporto, che avrebbe determinato l’obbligo per i prestatori di dotarsi autonomamente di tali DPI.

L’interpretazione fornita dal Tribunale di Firenze è, invece, di tutt’altro tenore, avendo questo affermato - sia nel decreto sopracitato che nell’ordinanza conseguente al reclamo - la riconducibilità del caso concreto nell’ambito di applicazione dell’art. 2 del D. Lgs. n. 81/2015, ritenendo soddisfatti tutti i requisiti previsti dalla norma, ossia la personalità, la continuità e l’etero-organizzazione della prestazione.

Muovendo proprio dalla necessità di tutelare la salute e la sicurezza di questi lavoratori, sempre più numerosi ed esposti a notevoli pericoli dovuti alla circolazione stradale, la Procura di Milano ha avviato già nel 2019 un’indagine conclusasi nelle scorse settimane, nella quale sono state verificate le posizioni di oltre sessantamila fattorini su tutto il territorio italiano. 
All’esito di tale attività la Procura ha rilevato numerose irregolarità relative agli obblighi derivanti dal D. Lgs. n. 81 del 2008, ovvero dal Testo Unico sulla Sicurezza sul Lavoro, da parte delle varie società di delivery.

Secondo il p.m. Greco, sono infatti “oltre sessantamila i lavoratori” di società del delivery che “dovranno essere assunti dalle aziende come lavoratori coordinati e continuativi”. 

Anche la Procura di Milano ha, quindi, aderito al filone interpretativo che vede i riders come collaboratori etero-organizzati, ai quali deve essere estesa la disciplina del lavoro subordinato.

In ragione di ciò, i colossi del delivery, oggetto del provvedimento della Procura, hanno ora 90 giorni per adeguare i rapporti di lavoro dei loro fattorini, trasformando le attuali collaborazioni occasionali, che la Procura e l’Ispettorato del Lavoro non hanno ritenuto aderenti alle concrete modalità di svolgimento del rapporto, in collaborazioni coordinate e continuative che rispettino il dettato normativo dell’art. 2 del D. Lgs. n. 81/2015.

Oltre ad adeguare i rapporti in essere, le aziende dovranno anche provvedere a rendersi compliant con il T.U. sulla Sicurezza sul Lavoro, fornendo ai propri riders necessaria formazione, strumenti di lavoro adeguati (per esempio, l’abbigliamento e le dotazioni catarifrangenti), nonché i DPI anti-Covid-19, così come tutto quant’altro avrebbero dovuto consegnare ai lavoratori dipendenti.

Qualora le aziende dovessero adeguarsi a quanto richiesto, potrebbero ottenere l’estinzione dei reati a loro ascritti per le violazioni del T.U. sulla Sicurezza sul Lavoro, col pagamento di ammende ridotte. Si tratta, in ogni caso, di importi davvero significativi, considerando che le ammende elevate ammontano ad un totale di circa 733 Milioni di Euro. Se ciò non dovesse accadere, la Procura darebbe invece corso al procedimento penale.  

In conclusione, le vicende sopra esposte dovrebbero portare tutte le imprese a fare una profonda riflessione sulla centralità delle misure poste a tutela della salute e sicurezza sul luogo di lavoro sia nel mondo delle consegne a domicilio sia oltre i confini del settore. 

Questo è, infatti, un elemento che viene spesso sottovalutato dalle aziende, soprattutto se di piccole dimensioni e principalmente caratterizzate da attività impiegatizie d’ufficio. Gli esempi qui riportati dovrebbero, tuttavia, costituire un forte richiamo alla realtà, a prestare maggiore attenzione a questi aspetti e a verificarli insieme ai propri consulenti ed esperti. Ciò non solo al nobile scopo di tutelare i propri dipendenti nel più efficace modo possibile, ma anche per evitare di incorrere nel rischio di rilevanti sanzioni e di procedimenti penali nei confronti non solo della società, ma anche dei suoi amministratori e dirigenti.

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Sara Rossi

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