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News in tema di normativa sul "Made in Italy”

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Il marchio di origine “Made in” del prodotto può orientare le scelte di acquisto dei consumatori grazie all’effetto che tale marchio ha sul consumatore e sulla qualità percepita. Tra gli scaffali di supermercati e negozi, infatti, i consumatori orientano sempre più le loro scelte di acquisto in base alla qualità percepita del prodotto, e come si sa, la presenza del marchio di origine “Made in Italy”, quale sinonimo di eccellenza, attira numerosi clienti.


Dal punto di vista delle aziende italiane, in realtà, gli approcci sul tema sono normalmente antitetici: vi sono infatti, quelle che, avendo delocalizzato la produzione all’estero, sostengono una disciplina indulgente e quelle che, producendo interamente in Italia, spesso con maggiori costi, raccomandano una disciplina rigorosa.


La disciplina europea cerca una soluzione di compromesso tra le due opposte posizioni. Ai sensi dell’art. 60 del c.d. Codice Doganale dell’Unione (Regolamento UE n. 952/2013 e successive modificazioni), il marchio d’origine “Made in Italy” può essere apposto anche sulle merci che hanno subito in Italia solo l’ultima trasformazione o lavorazione sostanziale, che sia conclusa con la fabbricazione di un prodotto nuovo o abbia rappresentato una fase importante del processo di fabbricazione; circostanza che, in base al costante orientamento della Corte di Giustizia Europea, si verifica quando il prodotto che ne risulta ha composizione e proprietà specifiche che non possedeva prima.


Per prodotti industriali ed artigianali è consentito apporre il marchio d’origine “Made in Italy” anche se tutte le parti sono fabbricate all’estero ma vengono successivamente assemblate in Italia per ottenere il prodotto finale.


Nonostante i tentativi di chiarimento, permangono numerose incertezze, non solo in quanto è complesso individuare con precisione cosa si intenda per “trasformazione sostanziale”, ma anche perché la normativa da tenere in considerazione non si limita al Codice Doganale dell’Unione. Vi sono, infatti, numerosi accordi bilaterali o multilaterali sul tema, i cui criteri prevalgono su quelli generali sopra descritti.


Uno strumento utile per superare tali difficoltà è quello dell’Informazione Vincolante in materia di Origine (I.V.O.), ovverosia uno strumento che consente ad una società di dichiarare l’origine di un prodotto, tramite un’istanza da presentare all’Agenzia delle Dogane. Una volta rilasciata l’IVO, questa risulterà vincolante per la Dogana, impedendo successive contestazioni. D’altro canto, la normativa nazionale italiana, con il D.L. 135/09 convertito nella Legge n. 166/09, mediante l’introduzione di un nuovo marchio di origine: il “100% Made in Italy” premia le imprese che producono interamente in Italia. Possono forgiarsi dei marchi “100% Made in Italy”, “100% Italia” “tutto italiano” o simili, soltanto i prodotti per i quali il disegno, la progettazione, la lavorazione ed il confezionamento sono avvenuti esclusivamente sul territorio italiano.


Inoltre, sempre a livello nazionale, è opportuno rammentare che l’art. 517 del codice penale sanziona la vendita di prodotti industriali con segni mendaci con la reclusione fino a due anni e con la multa fino a 20.000 Euro.


Si noti, inoltre, che, trattandosi di un tema molto attuale, la legge n. 145/2018, cd. legge di bilancio 2019, ha previsto alti finanziamenti per la promozione del “Made in Italy”, pari a 90 milioni di euro per il 2019 e 20 milioni di euro per il 2020.


Alla luce di quanto esposto, è evidente come sia necessaria una semplificazione normativa e una maggiore trasparenza e tutela del marchio di origine, non solo a beneficio dei consumatori, ma anche e soprattutto a tutela della competitività delle aziende che desiderano mantenere o riportare la loro produzione sul territorio nazionale.


(Fonti: Regolamento UE n. 952/2013; D.L. 135/09 convertito nella L. n. 166/09; L. n. 145/2018)

 

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