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Le Novità della Giurisprudenza Labour

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​Nel presente articolo riportiamo le principali novità giurisprudenziali in materia di Diritto del Lavoro relative ai mesi di Novembre e Dicembre 2019 con un breve commento esplicativo. 


LICENZIAMENTO PER GIUSTA CAUSA

Cassazione, 3 Dicembre 2019, n. 31531

Legittimo il licenziamento in caso di detenzione di droga fuori dall’orario di lavoro
La Cassazione ha affermato la legittimità di un licenziamento per giusta causa di un lavoratore che in sede penale aveva patteggiato una condanna per possesso di droga, osservando che quest’ultimo, pur essendo avvenuto fuori dal posto di lavoro e in orario non di lavoro, costituisce per sé una condotta censurabile, tale da violare i principi essenziali del vivere civile.
Secondo gli Ermellini, goni dipendente non deve pertanto, anche in ambiente extra lavorativo, compromettere gli interessi materiali e morali del datore di lavoro.

Cassazione, 3 Dicembre 2019, n. 31531

Licenziamento per giusta causa in caso di pluralità di addebiti: è sufficiente un nucleo minimo di condotte idonee a giustificare la sanzione espulsiva
Nella fattispecie in esame, la Corte di Cassazione ha affermato che, in caso di contestazione di una pluralità di addebiti disciplinari, l’insussistenza del fatto con la conseguente reintegrazione del dipendente interessato si possa configurare soltanto qualora, sul piano fattuale, possa escludersi la realizzazione di un nucleo minimo di condotte che siano astrattamente idonee a giustificare la sanzione espulsiva, oppure, specularmente, qualora si realizzi l’ipotesi di fatti sussistenti e debitamente provati ma privi dei caratteri di illiceità.
Nel caso di specie il giudice di merito ha ritenuto sussistenti due dei tre addebiti contestati al dipendente licenziato, ma, con la mancata conferma del terzo addebito, ha considerato sproporzionato il recesso intimato.

Cassazione, 2 Dicembre 2019, n. 31395

È illegittimo il licenziamento del dipendente sindacalista, a seguito di osservazioni critiche nei confronti del datore di lavoro pubblicate su un quotidiano
Nel caso in esame un dipendente, il quale ricopriva una carica sindacale, aveva espresso critiche nei confronti del suo datore di lavoro, riportate da un quotidiano locale. 
In relazione a ciò, il dipendente è stato licenziato successivamente alla pubblicazione delle dichiarazioni incriminate.
In considerazione del fatto che tutte le circostanze riferite dal dipendente corrispondevano al vero e che lo stesso non aveva fatto uso di ‘toni dispregiativi, volgari, denigratori, polemici’, esercitando dunque correttamente il proprio diritto di critica verso l’azienda, la Cassazione ha qualificato come ritorsivo il licenziamento del dipendente, in quanto giustificato esclusivamente dalle dichiarazioni dello stesso, ritenute in modo erroneo lesive e foriere di danni per l’azienda.

Cassazione, 11 Novembre 2019, n. 29090

È illegittimo il licenziamento di un dipendente che partecipi ad una colluttazione, se aggredito
La Cassazione ha ritenuto illegittimo il licenziamento del dipendente che, per difendersi dall'aggressione di un collega, ha preso parte ad una colluttazione. Tale provvedimento, infatti, risulta essere sproporzionato, alla luce della breve durata del litigio e del fatto che sia bastata una sola persona a sedarlo. 
Investita della questione, la Cassazione ha confermato le conclusioni dei giudici di merito, respingendo la tesi della società secondo cui l'alterco tra i dipendenti doveva essere qualificato come una vera e propria rissa: in casi analoghi, non ricorre infatti il reato di rissa, ma si è, al limite, di fronte a un meno grave diverbio litigioso sfociato in vie di fatto.
Secondo gli Ermellini, tuttavia, dal momento che l’alterco ha ecceduto il limite della legittima difesa, il dipendente licenziato non ha comunque diritto alla reintegrazione nel proprio posto di lavoro ma semplicemente alla sola tutela indennitaria.

Tribunale di Padova, 4 Ottobre 2019, n. 6031

È legittimo licenziare chi attesta falsamente la propria presenza in ufficio, anche se scoperto da un’agenzia investigativa
Di regola, il controllo sull’esecuzione della prestazione lavorativa non può che essere svolto direttamente dal datore di lavoro. 
Tuttavia, nel caso ad esso sottoposto, il Tribunale di Padova ha ritenuto legittimo il licenziamento per giusta causa del dipendente, che aveva falsamente attestato la propria presenza in ufficio, nonostante tale condotta fosse stata accertata da un’agenzia investigativa.
Nel caso di specie il dipendente disponeva di un ufficio con ingresso autonomo ed era tenuto a registrare il proprio orario di ingresso e di uscita tramite il sistema di timbratura badge o, in caso di dimenticanza, tramite inserimento manuale degli orari. Durante una verifica sull'impianto di allarme, tuttavia, un addetto alla sicurezza ha riscontrato che il dipendente, in quella giornata, non era in sede ed ha provveduto ad avvertire la società. Questa, dopo aver avviato una serie di controlli interni sulle registrazioni delle presenze del lavoratore, inserite quasi sempre manualmente, ha richiesto una serie di controlli ad un'agenzia investigativa, dai quali è emerso che durante l'orario di lavoro il dipendente era solito portare a termine questioni personali anziché svolgere la propria attività in favore della società. 
Tali condotte sono state così oggetto di un procedimento disciplinare, che si è concluso con il licenziamento per giusta causa del dipendente.
Il Tribunale ha convalidato il licenziamento, considerando come ‘controlli difensivi’, e pertanto legittimi, le attività svolte dagli investigatori, in quanto volte ad accertare non il corretto adempimento dell'obbligazione lavorativa ma ‘la commissione di fatti costituenti il reato di truffa ai sensi dell’art. 640 c.p.’.

CONDOTTA ANTISINDACALE

Cassazione, 2 Gennaio 2020, n. 1

Il trasferimento di gran parte degli iscritti ad un’Organizzazione Sindacale costituisce condotta antisindacale ai sensi dello Statuto dei Lavoratori
Nel caso in esame, la Cassazione ha statuito che il trasferimento collettivo dell’80% dei dipendenti iscritti a un’Organizzazione Sindacale costituisce condotta antisindacale, senza che rilevi il fatto che le esigenze aziendali poste alla base del trasferimento fossero legittime. Con la sentenza citata, dunque, la Corte ha affermato che la percentuale di iscritti trasferiti è idonea a generare una presunzione di discriminazione, per superare la quale il datore di lavoro aveva l’obbligo di dimostrare specificatamente che non vi fosse stata alcuna discriminazione: la sussistenza di legittimi motivi per il trasferimento non costituisce invece prova sufficiente a scagionare il datore di lavoro, legittimando così la propria decisione. 

DIMISSIONI

Cassazione, 10 Ottobre 2019, n. 25583

Dimissioni valide anche per fatti concludenti
A seguito dall'entrata in vigore della normativa, che ha previsto l’obbligo per i dipendenti di comunicare le proprie dimissioni con una procedura telematica (art. 26, del D. Lgs. n. 151/2015), è emersa una problematica in concreto molto rilevante: come si deve comportare il datore di lavoro quando il lavoratore non ha presentato le proprie dimissioni in via telematica e, al tempo stesso, non si presenti più in azienda? In questo caso, le dimissioni sarebbero da ritenersi inefficaci e, per cessare il rapporto, il datore di lavoro dovrebbe procedere con un licenziamento.
La Cassazione, nella citata sentenza, ha invece affermato che il recesso volontario del prestatore di lavoro ben può essere ricavato anche da una mera dichiarazione o da comportamenti che palesino indubbiamente la volontà del prestatore di risolvere il contratto di lavoro. 
La configurazione delle dimissioni di fatto - per cui devono comunque sussistere una serie di condizioni - è pertanto da ritenersi possibile, secondo la Corte, alla luce del fatto che la nuova regolamentazione non ha modificato le disposizioni civilistiche (art. 2118 c.c.), lasciando invariato il diritto potestativo del lavoratore di interrompere unilateralmente il contratto. 

SICUREZZA SUL LAVORO

Cassazione, 3 Dicembre 2020, n. 54

Gli obblighi inerenti alla prevenzione degli infortuni gravano indistintamente su tutti i componenti del Consiglio di Amministrazione, salvo delega specifica
La Corte di Cassazione ha affermato che nelle società di capitali gli obblighi inerenti alla prevenzione degli infortuni posti dalla legge a carico del datore di lavoro (D. Lgs. n. 81/2008) gravano indistintamente su tutti i componenti del Consiglio di Amministrazione, salvo il caso di delega, validamente conferita, della posizione di garanzia. 
Diversamente, la nomina di un preposto non costituisce atto di delega in senso stretto e non sottrae pertanto il datore di lavoro ai propri obblighi di organizzazione e di vigilanza sull’osservanza delle procedure aziendali, anche da parte del preposto stesso.

Cassazione, 16 Dicembre 2019, n. 33133

È onere del datore di lavoro provvedere al lavaggio e alla manutenzione dei D.P.I.
Due operatori ecologici addetti alla raccolta dei rifiuti volte hanno presentato ricorso volto ad ottenere la condanna della parte datoriale al risarcimento dei danni da inadempimento dell’obbligo di lavaggio e manutenzione dei D.P.I. con specifico riferimento all’attività di lavaggio e di manutenzione degli indumenti indossati durante il lavoro, il cui onere era stato sostenuto interamente dagli operatori stessi. In questo contesto, la Cassazione ha stabilito che la nozione di D.P.I. si riferisce a qualsiasi attrezzatura, complemento o accessorio che possa costituire una barriera protettiva rispetto a qualsiasi rischio per la salute e la sicurezza del lavoratore ai sensi anche dell’art. 2087 c.c. e per questo motivo il datore di lavoro è tenuto a fornire tali indumenti ai dipendenti e a garantirne la loro idoneità a prevenire l’insorgenza e il diffondersi di infezioni, provvedendo quindi anche al relativo lavaggio e manutenzione.   

JOB ON CALL – LAVORO INTERMITTENTE

Cassazione, 13 Novembre 2019, n. 29423

È legittimo il contratto di lavoro intermittente se vietato dal C.C.N.L. applicato ma ammesso dal DM del Ministro del Lavoro
La Corte di Cassazione ha affermato, confermando la decisione della Corte di Appello di Bologna, la piena legittimità di un contratto di lavoro intermittente stipulato tra un datore di lavoro ed un lavoratore sulla base del R.D. n. 2657/1923 richiamato dal D.M. del Ministro del Lavoro del 23 Ottobre 2004, nonostante che, all’epoca (nel 2011) le parti sociali, nella stipula dell’accordo collettivo nazionale, avessero escluso la possibilità del ricorso al lavoro a chiamata.
La Corte ha sostenuto che nella legge non si evince alcun ruolo delegato alle parti sociali finalizzato a vietare integralmente il ricorso al lavoro intermittente, ma soltanto un ruolo finalizzato ad individuarne la casistica: ebbene, secondo gli Ermellini, il D.M. del 23 Ottobre 2004 ha una natura sostitutiva in attesa che le parti sociali individuino nel C.C.N.L. le ipotesi per cui sia possibile il ricorso a tale tipologia contrattuale.

CESSIONE D’AZIENDA

Cassazione, 6 Dicembre 2019, n. 31946

Cessione d’azienda in crisi e criteri di scelta dei lavoratori da trasferire
Nella sentenza in esame, la Cassazione ha affermato la non applicabilità dei principi vigenti in tema di licenziamenti collettivi di cui all’art. 4 della Legge n. 223/1991, in particolare di quelli relativi all’obbligo di indicare i criteri di scelta dei lavoratori da licenziare ed alle modalità di applicazione di questi, alla selezione dei dipendenti da coinvolgere nel trasferimento parziale di manodopera in caso di cessione di azienda sottoposta a procedura liquidatoria. Ciò in quanto i due istituti hanno ratio e disciplina assolutamente diverse.

SISTEMI DI VIDEOSORVEGLIANZA

Cassazione, 17 Dicembre 2019, n. 50919

L’accordo con tutti i lavoratori non è sufficiente per la legittima installazione di telecamere
La Corte di Cassazione, confermando un precedente indirizzo espresso in una decisione del 2017, ha affermato che, sotto il profilo penale, il consenso espresso da tutti i lavoratori (in questo caso ex post) non elimina la illiceità del comportamento del datore di lavoro che ha installato un impianto di video sorveglianza senza il prescritto accordo sindacale o, in alternativa, senza l’autorizzazione dell’Ispettorato del Lavoro, come previsto dall’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori.
Solo le rappresentanze dei lavoratori o, in alternativa, l’Ispettorato del Lavoro, attraverso il proprio provvedimento, sono deputati ad esprimere il consenso, in quanto i lavoratori interessati sono ‘parte debole’ nel rapporto, e ciò impone di ritenere inderogabile quanto previsto dall’articolo 4.

PRIVACY

Garante Privacy, Provvedimento del 4 Dicembre 2019

È illecito mantenere attivo l’account di posta dell’ex dipendente dopo la cessazione del rapporto di lavoro
Nel caso in esame, un ex-dipendente contestava al precedente datore di lavoro la mancata disattivazione del suo account e-mail aziendale e l’avvenuto accesso ai messaggi ricevuti sullo stesso. Dagli accertamenti svolti dall’Autorità Garante è emerso che l’account di posta era effettivamente stato mantenuto attivo per oltre un anno e mezzo dopo la cessazione del rapporto di lavoro e che, in detto periodo, la società aveva avuto accesso alle comunicazioni che vi erano pervenute (anche non legate all’attività lavorativa del dipendente). In conseguenza di ciò, il Garante ha ritenuto illecita la condotta della società, in quanto non conforme ai principi relativi alla protezione dei dati, che impongono ai datori di lavoro di tutelare anche la riservatezza dei precedenti dipendenti.
Alla luce di quanto sopra affermato, il Garante ha sottolineato che – immediatamente dopo la cessazione del rapporto di lavoro – il datore di lavoro deve disattivare gli account di posta elettronica riconducibili agli ex-dipendenti, nonché implementare sistemi automatici che indichino ai destinatari gli account alternativi da contattare e introdurre accorgimenti tecnici diretti ad impedire alla società la visualizzazione dei messaggi in arrivo sull’account degli ex-dipendenti.

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Massimo Riva

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