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Residenza fiscale: il rapporto tra disciplina domestica e convenzionale

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Ultimo aggiornamento del 29.09.2023 | Tempo di lettura ca. 3 minuti



L’Agenzia delle Entrate, con la Circolare n. 25/E/2023, ha fornito alcuni chiarimenti in tema di residenza fiscale, smart working e lavoratori frontalieri ritornando anche sul tema del coordinamento tra normativa interna e Convenzioni contro le doppie imposizioni.

La disciplina domestica in tema di residenza fiscale è riportata all’interno dell’art. 2 del TUIR. Tale articolo prevede che, ai fini delle imposte sui redditi, sono considerate residenti in Italia le persone che, per la maggior parte del periodo d’imposta, alternativamente:
  1. sono iscritte nelle anagrafi comunali della popolazione residente;
  2. hanno il domicilio nel territorio dello Stato;
  3. hanno la residenza nel territorio della Stato.

Al verificarsi di una sola delle suddette condizioni, un soggetto viene considerato fiscalmente residente in Italia.

In ogni caso, al fine di definire la residenza fiscale di un soggetto, la normativa interna deve essere necessariamente coordinata con le disposizioni contenute nelle Convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate dall’Italia con i singoli Stati esteri. Infatti, l’art. 169 del TUIR e l’art. 75 del DPR 600/73 riconoscono esplicitamente la prevalenza delle Convenzioni contro le doppie imposizioni rispetto al diritto interno.

La Circolare n. 25/E/2023 è intervenuta a ribadire ulteriormente questo ultimo tema smentendo l’erroneo convincimento, sorto dalla pubblicazione di alcune sentenze della Cassazione, per cui il criterio dell’iscrizione anagrafica dell’articolo 2 del TUIR sarebbe risultato non superabile dal dettato convenzionale al fine di definire la residenza fiscale di un soggetto. 

In particolare, la suddetta Circolare ricostruisce correttamente il rapporto tra disciplina domestica e disciplina convenzionale affermando che:
  1. in primo luogo, la residenza deve essere valutata in base alla disciplina interna degli Stati contraenti. Infatti, la Convenzione non trova applicazione qualora il soggetto venga considerato residente in un solo Paese;
  2. si instaura un conflitto di residenza se il soggetto viene considerato residente in più Paesi ai sensi della normativa interna di ciascuno degli Stati contraenti. In tal caso, occorre far riferimento alle tie breaker rules riportate nella Convenzione contro le doppie imposizioni al fine di definire la residenza fiscale. Le tie breaker rules sono una serie di regole da utilizzare secondo un criterio gerarchico. In particolare, tale gerarchia prevede che la residenza venga stabilita considerando in prima battuta il luogo in cui il soggetto presenta l’abitazione permanente. Nel caso non sia possibile identificare l’abitazione permanente, occorre in seguito verificare:
                1.  il centro di interessi vitali;
                2.  il luogo di soggiorno abituale;
                3.  la nazionalità;
                4.  l’accordo tra gli Stati.

Il sopracitato conflitto di residenza potrebbe verificarsi, ad esempio, nel caso in cui un soggetto acquisisca la residenza del Paese in cui è contrattualmente fissata la propria sede lavorativa ma mantenga la dimora abituale o il domicilio in Italia. In tale circostanza, il Paese di residenza fiscale è definito secondo le regole convenzionali che fanno prevalere il criterio dell’abitazione permanente cui seguono, in via subordinata, il centro degli interessi vitali, il soggiorno abituale e la nazionalità del contribuente.

Ai sensi di quanto sopra, non si deve mai dare per scontato che un Paese diverso dall’Italia consideri fiscalmente residente un contribuente applicando l’articolo 2 del TUIR. La residenza fiscale deve sempre essere valutata secondo le regole di ciascuno Stato e in caso di conflitto i dettati delle Convenzioni prevalgono sempre sulla normativa interna.

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