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Profili fiscali della work mobility e del lavoro da remoto: i chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate

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​Ultimo aggiornamento del 22.09.2023 | Tempo di lettura ca. 7 minuti



Con la pubblicazione, in data 18 agosto 2023, della Circolare n.25/E, sono giunti i chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate in materia di fiscalità del lavoro da remoto (c.d. smart working), corredati da alcune delucidazioni sulle novità introdotte dalla Legge 13 giugno 2023, n. 83 di ratifica dell’Accordo tra la Repubblica italiana e la Confederazione svizzera relativo all'imposizione dei lavoratori frontalieri e del Protocollo che modifica la Convenzione contro le doppie imposizioni tra i due Paesi.

La prima parte del documento di prassi è dedicata all’individuazione e alla risoluzione dei dubbi interpretativi delle norme tributarie sorti in seguito alla crescente diffusione dei fenomeni di c.d. work mobility. L’affermazione di modalità di lavoro di svolgimento della prestazione da remoto, tali per cui è possibile che si verifichi una separazione tra la giurisdizione in cui effettivamente l’attività ha luogo, lo Stato della residenza e il luogo dove si estrinsecano gli effetti della prestazione lavorativa, rende l’identificazione delle regole di tassazione applicabili indubbiamente più complessa.

La prima circostanza che viene considerata è l’interazione tra il concetto di residenza fiscale di cui all’Art. 2 del T.U.I.R.  e lo smart working. L’Ufficio conferma la tesi secondo la quale, nonostante il sempre maggiore impiego del lavoro in distance, sostanzialmente continuano ad applicarsi quanto sancito dall’Art. 2 senza che la modalità da remoto con cui viene svolta la prestazione lavorativa incida sulla determinazione della residenza fiscale. In tal senso, l’Agenzia fornisce alcune esemplificazioni per far comprendere come, stante la scelta di lavorare attraverso smart working, continuino comunque ad essere applicabili i già noti criteri di collegamento con l’Italia (iscrizione all’anagrafe della popolazione residente, dimora abituale o domicilio) tra di loro alternativi. 

Si ipotizzi il caso di un cittadino straniero, non iscritto nelle anagrafi della popolazione residente, che lavora dall’Italia in smart working per un datore di lavoro estero, permanendo per la maggior parte dell’anno in un’abitazione ubicata nel nostro Stato unitamente al coniuge e ai figli. In tale circostanza non si può, secondo le autorità fiscali, non considerare che per la maggior parte del periodo d’imposta il cittadino estero mantiene stabilmente nel territorio dello Stato la sede principale dei suoi rapporti personali e affettivi (familiari) e la sua dimora abituale. Pertanto, il soggetto avrà radicato la propria residenza fiscale in Italia.

L’assunto secondo cui la modalità di prestazione lavorativa da remoto non abbia, di per sé, alcuna valenza sulla determinazione della residenza fiscale rileva anche ai fini dell’applicabilità del regime fiscale agevolativo per i lavoratori c.d. “impatriati” di cui all’Art. 16 del D. Lgs. 14 settembre 2015, n. 147. La condizione per accedere a tale trattamento fiscale è che si instauri un’interazione effettiva con la realtà italiana, che si realizza qualora la persona fisica trasferisca in Italia la propria residenza fiscale dopo averla mantenuta in uno Stato estero per un periodo pari ad almeno due anni. Nello specifico, i beneficiari di tale regime saranno assoggettati a tassazione sul solo 30 per cento (percentuale ridotta al 10 per cento in talune specifiche circostanze) della totalità dei redditi che sono “prodotti in Italia”. 

L’orientamento dell’Ufficio è che rientrino a pieno titolo tra i redditi prodotti nel territorio dello Stato ai sensi dell’Art. 23 T.U.I.R., sui quali spetta l’agevolazione, anche quelli derivanti dalla prestazione lavorativa svolta in smart working nel territorio dello Stato, a prescindere dalla circostanza in cui il datore di lavoro sia ubicato all’estero o meno.

Le delucidazioni sin qui fornite sulla normativa domestica devono necessariamente essere coordinate con quanto disposto dai Trattati bilaterali contro le doppie imposizioni negoziati dall’Italia: il nodo dell’applicazione del diritto convenzionale è infatti di particolare rilevanza nel caso del lavoro da remoto, che spesso vede il coinvolgimento di due o più giurisdizioni. Pertanto, il documento di prassi prende in esame le disposizioni del Modello OCSE che ripartiscono la potestà impositiva in relazione ai redditi di lavoro dipendente (Articolo 15), ai redditi d’impresa (Articolo 7), alla Stabile organizzazione (Articolo 5) e alle Professioni Indipendenti (Articolo 14) come recepiti nei Trattati conclusi dall’Italia1.

Per quanto attiene ai redditi da lavoro dipendente, l’articolo 15 del Modello OCSE sostanzialmente recepito nelle Convenzioni negoziate dall’Italia, prevede, al paragrafo 1, la tassazione esclusiva dei redditi da lavoro subordinato nello Stato di residenza del contribuente, a meno che tale attività lavorativa non venga svolta nell’altro Stato contraente; in tale ultima ipotesi i predetti redditi devono essere assoggettati ad imposizione concorrente in entrambi i Paesi, fatto salvo il ricorrere delle condizioni di cui al successivo paragrafo 2.

L’agenzia delle entrate ribadisce il proprio orientamento anche in ambito convenzionale, per cui l’imponibilità dei redditi da lavoro dipendente di un soggetto non residente che effettua la propria prestazione lavorativa in Italia non viene di per sè inficiata dalla modalità di svolgimento della prestazione lavorativa da remoto. Attraverso il richiamo al paragrafo 1 del Commentario all’Art. 15, l’Ufficio spiega che la ratio della disposizione è quella di considerare il lavoro dipendente come effettuato nel luogo dove il lavoratore è fisicamente presente all’atto dello svolgimento della prestazione lavorativa, a prescindere dal fatto che la manifestazione di tale lavoro abbia risultati ed effetti nell’altro Stato contraente. 

Da ciò discende che qualora una persona fisica non residente lavori attraverso smart working in Italia alle dipendenze di un’entità non residente per un periodo superiore a 183 giorni, i redditi imputabili al lavoro dipendente svolto nel nostro Paese saranno qui tassati. L’agenzia specifica, inoltre, che “non assume rilevanza né la circostanza che, in assenza di accordi di smart working, il lavoratore si dovrebbe recare fisicamente presso i locali dell’impresa nello Stato X, né l’eventuale origine forzosa dello stabilimento a causa delle restrizioni alla circolazione”.

Le considerazioni sin qui analizzate valgono anche ai fini del riconoscimento di una stabile organizzazione o una base fissa: secondo le autorità fiscali italiane, analogamente ai redditi da lavoro dipendente, “non si ritiene che la modalità agile alteri i tradizionali criteri di attribuzione della potestà impositiva dettati dalle previsioni convenzionali” di cui agli Artt. 7 e 14 del Modello OCSE. I presupposti per individuare l’esistenza di una stabile organizzazione o di una sede fissa d’affari si ritengono quindi integrati secondo le già note disposizioni anche nel caso in cui vi sia una persona fisica che svolge in Italia attività d’impresa o lavoro autonomo da remoto.

Per quanto concerne la seconda parte della Circolare, questa è dedicata alla disamina delle conseguenze dello smart working sul trattamento fiscale applicabile ai lavoratori frontalieri. Gli Accordi internazionali stipulati dall’Italia con i Paesi limitrofi, ossia le Convenzioni bilaterali tra l’Italia e gli Stati di Francia, Austria e San Marino rimandano al diritto domestico per la definizione del lavoratore frontaliere, beneficiario del regime. In assenza di una norma che individui chiaramente chi è da qualificarsi come frontaliero, l’Agenzia delle Entrate richiama i propri precedenti interventi di prassi2, dai quali emerge che l’orientamento ormai consolidato è quello di identificare il frontaliero nella figura del lavoratore dipendente residente in Italia che quotidianamente si reca in Paesi di frontiera per svolgere la propria attività. Il requisito dello spostamento quotidiano nello Stato estero è inteso come necessario, seppur non sufficiente: pertanto, l’Ufficio evidenzia che la prestazione di lavoro in smart working dall’Italia per un datore di lavoro residente nello Stato di frontiera fa venire meno lo status di lavoratore frontaliere, mancando lo spostamento fisico del soggetto da un lato all’altro della frontiera.

L’Accordo tra Italia e Svizzera firmato il 23 dicembre 2020 e ratificato con la Legge 13 giugno 2023, n. 83 rappresenta invece un’eccezione. Destinato a sostituire il precedente Accordo del 1974, esso entrerà in vigore a partire dal 1° gennaio 2024 e precisa3 che “lo status di frontaliere non viene meno se il soggetto non rientra al proprio domicilio, per motivi professionali, per un massimo di 45 giorni in un anno civile, esclusi i giorni di ferie e di malattia”. 

La disposizione in esame si applica a tutti i frontalieri e rappresenta una significativa apertura nei confronti del remote work, che sarà possibile svolgere, seppur per un periodo limitato, senza che questo determini la perdita del diritto di beneficiare del regime per lavoratori frontalieri, che a sua volta è stato modificato dal nuovo Accordo introducendo la tassazione concorrente tra Paese della fonte e della residenza. 
_______________
 Seppur stralciato dal Modello OCSE 2020, l’Art. 14 è attualmente presente nelle Convenzioni concluse dall’Italia.
 Circolari dell’Agenzia delle entrate n. 1 del 3 gennaio 2001, par.1.2.2, n. 15/E del 1° febbraio 2002, par. 13, e n. 2/E del 15 gennaio 2003, par. 9.  
 Protocollo aggiuntivo all’Accordo, par. 2

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