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Stretta sul regime fiscale agevolativo per lavoratori c.d. “impatriati”

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​Ultimo aggiornamento del 2.01.2024 | Tempo di lettura ca. 5 minuti



In attuazione della Legge 9 agosto 2023 n. 111, recante “Delega al Governo per la revisione del sistema tributario”, il Consiglio dei Ministri ha preliminarmente approvato nella seduta del 16 ottobre 2023 un decreto legislativo in materia di fiscalità internazionale. Il testo, che è stato trasmesso il 17 novembre al Parlamento per la discussione ed eventuale modifica, al suo interno contiene l’art. 5 rubricato: “Nuovo regime agevolativo a favore dei lavoratori Impatriati”. Esso determina una vera e propria ridefinizione, che si presenta come un netto ridimensionamento, del perimetro di applicazione del regime agevolativo per i lavoratori che trasferiscono la propria residenza fiscale nel territorio dello Stato, che comporta l’abrogazione integrale della norma previgente di cui all’art. 16 D.Lgs. n. 147/2015 e all’art. 5 D.L. n. 34/2019. 

Per comprendere la portata delle modifiche introdotte e le loro implicazioni sulla fiscalità delle persone fisiche, si ritiene di fondamentale rilevanza evidenziare gli elementi differenziali rispetto al testo previgente del nuovo regime. Altresì, si evidenzia che quest’ultimo entrerà in vigore a partire dal 1° gennaio 2024, fermo restando che in base all’attuale formulazione del testo della bozza “coloro che hanno conseguito la loro residenza fiscale in Italia entro il 31 dicembre 2023” saranno ancora assoggettati al precedente regime “Impatriati” ai sensi dell’art. 16 del D.lgs. 147/2015.

Individuazione dei redditi agevolabili e calcolo della base imponibile

Il ridisegno della disciplina fiscale parte da una riduzione dei redditi agevolabili dal precedente 70 per cento all’attuale 50 per cento dei redditi da lavoro dipendente e assimilati e lavoro autonomo. Non sarà pertanto più possibile, a differenza di quanto accadeva in precedenza, far rientrare all’interno dello scopo dell’agevolazione i redditi d’impresa. Parallelamente, non è più previsto il prolungamento dell’agevolazione in specifiche situazioni familiari o patrimoniali, né viene riproposta la maggiorazione dell’agevolazione (detassazione del 90 per cento del reddito) per coloro che si trasferiscono nelle regioni del Mezzogiorno, ovvero Abruzzo, Molise, Campania, Puglia, Basilicata, Calabria, Sardegna, Sicilia. Oltre a ciò, viene istituito un limite quantitativo pari a 600.000 euro annui che corrisponde all’ammontare massimo di redditi sui quali è possibile beneficiare della riduzione della base imponibile: ne consegue che i redditi oltre tale soglia saranno assoggettati a tassazione in base alle regole ordinarie. 

Per quanto attiene infine alla formazione della base imponibile contributiva per i lavoratori c.d. “Impatriati”, erano recentemente giunti i chiarimenti dell’ente previdenziale (Inps) attraverso la pubblicazione della circolare n. 52/2023. Il documento, relativo ai redditi d’impresa prodotti dalle persone fisiche e ai redditi di lavoro autonomo per i c.d. soggetti iscritti alla gestione separata (ossia i professionisti che non sono iscritti ad una cassa previdenziale di categoria), afferma la parificazione tra il trattamento contributivo ed il trattamento fiscale applicabile nei confronti dei soggetti interessati dell’agevolazione Impatriati. Ciò implica che la base imponibile sulla quale calcolare i contributi previdenziali deve essere la medesima individuata ai fini delle imposte sui redditi. 

Tuttavia, essendo tale circolare riferita principalmente alla categoria dei redditi d’impresa, agevolabili in base al previgente regime Impatriati ma non in base a quello attuale, è lecito domandarsi se tali indicazioni saranno rilevanti a partire dal 1° gennaio 2024 anche per i redditi di lavoro dipendente e assimilati e per la totalità dei lavoratori autonomi, che beneficeranno di una riduzione pari al 50% anche della base imponibile contributiva. Sulla questione è fortemente auspicabile un intervento chiarificatore da parte del Legislatore oppure dell’ente previdenziale.  

Requisiti soggettivi 

Come già menzionato, l’accesso al regime è subordinato allo spostamento della residenza fiscale in Italia. È inoltre necessario soddisfare le seguenti condizioni:
  1. Il lavoratore non deve essere stato fiscalmente residenti nel territorio dello Stato nei tre periodi d’imposta precedenti il predetto trasferimento, in luogo della precedente formulazione che richiedeva due periodi d’imposta di non residenza; 
  2. Il lavoratore deve integrare i criteri di elevata qualificazione o specializzazione come definiti dal D. Lgs. n. 108/2012 e D. Lgs. n. 206/2007.
  3. Il soggetto si impegna a mantenere obbligatoriamente la residenza fiscale in Italia per almeno cinque anni. Il Legislatore fa volutamente riferimento al concetto di “anno” invece di “periodo d’imposta”. Ciò implica che se, ad esempio, un soggetto trasferisce la propria residenza fiscale in Italia a decorrere dal 1° gennaio 2024, lo stesso dovrebbe ivi risiedere almeno fino al 31 dicembre 2028 per evitare di perdere il diritto all’agevolazione.

Con specifico riferimento a tale requisito, viene introdotto uno specifico regime di recapture per assicurare il rispetto del vincolo o, in alternativa, la perdita del beneficio: “Qualora la residenza fiscale in Italia non sia mantenuta per almeno cinque anni consecutivi al trasferimento, il lavoratore decade dai benefici e l’Amministrazione finanziaria provvede al recupero di quelli già fruiti con applicazione delle relative sanzioni e interessi”.

Requisiti oggettivi

Sono state aggiornate e maggiormente specificate le condizioni per l’utilizzo dell’opzione anche con riguardo all’individuazione dell’attività lavorativa di lavoro dipendente o autonomo i cui redditi siano agevolabili: 
  1. L’attività lavorativa deve essere svolta nel territorio dello Stato in virtù di un nuovo rapporto di lavoro con un soggetto diverso da quello presso il quale il lavoratore era impiegato all’estero prima del trasferimento nonché da quelli appartenenti al suo stesso gruppo. Non è pertanto più sufficiente che vi sia un cambio di posizione o di incarico all’interno della medesima entità o del medesimo gruppo, ma si deve trattare di un contratto di lavoro totalmente estraneo rispetto al precedente;
  2. L’attività lavorativa deve essere prestata per la maggior parte del periodo d’imposta nel territorio dello Stato. Tale previsione parrebbe finalizzata a ridurre fenomeni di utilizzo massivo di smart working, overo le ipotesi in cui un soggetto trasferisce formalmente la residenza fiscale dall’estero in Italia e modifica la propria precedente posizione lavorativa, ma di fatto continua a prestare la sua attività lavorativa dall’estero senza mutamenti sostanziali. 

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