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Soft spam, definitiva interpretazione della Cassazione

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Ultimo aggiornamento del 4.09.2023 | Tempo di lettura ca. 3 minuti


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Secondo la Cassazione il concetto di “vendita” è da intendersi in senso tecnico e restrittivo. È quello che emerge dalla sentenza n. 7555 del 15 marzo 2023 in materia di trattamento di dati personali ha operato una stralciante interpretazione del concetto di “soft spam”.

La sentenza n. 7555 del 15 marzo 2023 della Corte di Cassazione in materia di trattamento di dati personali ha operato una stralciante interpretazione del concetto di “soft spam”. Quest’ultimo consiste nella diffusa pratica di mercato prevista dal comma 4 dell’art. 130 del Codice Privacy, secondo cui se il titolare del trattamento utilizza, a fini di vendita diretta di propri prodotti o servizi, le coordinate di posta elettronica fornite dall'interessato nel contesto della vendita di un prodotto o di un servizio, può non richiederne il consenso, sempre che si tratti di servizi analoghi a quelli oggetto della vendita e l'interessato, adeguatamente informato, non rifiuti tale uso. 

Con la citata sentenza la Seconda Sezione Civile della Corte ha operato una decisiva definizione del perimetro di applicazione di questa disciplina, da interpretarsi in maniera del tutto eccezionale e restrittiva.
Nel caso di specie, una società che si occupa di fornire servizi di comparazione di preventivi online affermava di aver legittimamente svolto l’attività di soft spam anche verso “utenti non paganti”, ossia soggetti che si erano registrati per ottenere una prova gratuita del servizio.

La Corte di Cassazione ha quindi fornito la propria interpretazione sulla tale prassi, stabilendo chiaramente che il Codice Privacy, all’art. 130, disciplina le c.d. comunicazioni indesiderate prevedendo che "l'uso di sistemi automatizzati di chiamata o di comunicazione di chiamata senza l'intervento di un operatore per l'invio di materiale pubblicitario o di vendita diretta o per il compimento di ricerche di mercato o di comunicazione commerciale è consentito con il consenso del contraente o utente". Al contrario, la disciplina del soft spam individua solo un’eccezione rispetto alla regola generale del consenso e riguarda l'ipotesi in cui il titolare del trattamento abbia ottenuto le coordinate di posta elettronica "nel contesto della vendita di un prodotto o di un servizio", con ciò escludendo tutte le altre ipotesi in cui l'acquisizione dei dati personali avvenga in modo e per finalità diverse. A tal fine, il termine "vendita" va evidentemente usato in senso tecnico, richiedendo che tra il titolare del trattamento ed il destinatario delle comunicazioni si sia stabilito un rapporto contrattuale a titolo oneroso nel contesto del quale il compratore è stato reso edotto in maniera chiara della ricezione del materiale pubblicitario.

Di conseguenza, secondo la Corte non possono rientrare nel regime del soft spam i "clienti non paganti", come gli utenti che si siano solamente registrati o abbiano effettuato una prova del servizio su un sito web senza concludere alcun contratto: per la Cassazione non è sufficiente, quindi, “che la prova sia finalizzata alla vendita ma è necessario, ai fini dell'applicazione del regime derogatorio di cui al D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 130, comma 4, che il contratto di vendita sia stato perfezionato”.

Alla luce di questa stringente interpretazione, è importante per gli operatori e le aziende che svolgono attività di marketing non farsi cogliere impreparati, effettuando opportune attività di assessment sulle diverse modalità e canali con cui sono svolte le proprie campagne, nonché sulle basi giuridiche utilizzate per le stesse (es. consenso, legittimo interesse), al fine di dotarsi di tutti gli strumenti e delle misure necessarie per rendere il più possibile compliant tutti i processi interni coinvolti nelle attività di marketing.​

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Martina Ortillo

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