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Il contratto di franchising in Italia: definizioni e peculiarità

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Ultimo aggiornamento del 22.09.2023 | Tempo di lettura ca. 10 minuti


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Il presente articolo si colloca nell’ambito di una collaborazione cross border in materia di franchising e mira a fornire gli elementi essenziali di detto contratto, nell’ambito del territorio italiano.

Cos’è il franchising?

Il franchising è in Italia uno strumento contrattuale che ha trovato una larga diffusione tra le imprese e che registra, anno per anno, costantemente numeri in crescita sia per quanto riguarda la presenza il numero di punti vendita che in termini di fatturato. Tale trend viene ormai da numerosi anni descritto annualmente nel “Rapporto Assofranchising” pubblicato da Assofranchising, una delle principali associazioni di categoria nel settore del franchising. Tra i fattori chiave che sono emersi negli ultimi anni, vi è stato, in particolare, la capacità del franchising di essere un modello di business resiliente e capace di assorbire le molteplici situazioni di incertezza e difficoltà che sono state registrate negli ultimi anni e che consente agli operatori di posizionarsi in modo ottimale sotto un profilo strategico facendo ricorso a brand e proposte commerciali già conosciute ed apprezzate dai consumatori.

L’Italia è tra i paesi che hanno scelto di introdurre nel proprio ordinamento una legislazione specifica sul franchising, questo diversamente per esempio dalla Francia e la Germania, che hanno demandato alla giurisprudenza il compito di definire i contorni ed il regime di tale strumento. Ai sensi di quanto previsto dall’articolo 1 della legge n. 129 del 6 maggio 2004 (in seguito “Legge sul Franchising”), il franchising è “il contratto, comunque denominato, fra due soggetti giuridici, economicamente e giuridicamente indipendenti, in base al quale una parte concede la disponibilità all’altra, verso corrispettivo, di un insieme di diritti di proprietà industriale o intellettuale […]”. 

Già dalla sola definizione dettata dalla legge, emerge come i contratti di franchising rientrino nell’ambito dei contratti business-to-business; infatti, entrambe le parti contrattuali sono imprenditori. Tuttavia, nei contratti di franchising, l’affiliante, ovvero il franchisor, è il soggetto che generalmente gode di maggiore forza contrattuale, proponendo agli aspiranti affiliati la propria formula di business ed imponendo, di fatto, le proprie regole di funzionamento del sistema. 

Proprio per tale ragione, con la Legge sul Franchising il legislatore è intervenuto a tutela del franchisee, al fine di mitigare lo squilibrio contrattuale. Tra gli interventi diretti a tale scopo, vi è quello bilanciare l’asimmetria informativa tipica del contratto di franchising attraverso l’introduzione di precisi obblighi informativi precontrattuali a carico del franchisor ed in favore degli aspiranti franchisee.

In tal senso, l’art. 4, comma 3, della Legge sul Franchising prevede uno specifico obbligo di informativa precontrattuale mediante la predisposizione e consegna al franchisee del cd. Franchise Disclosure Document almeno 30 giorni prima della sottoscrizione del contratto vero e proprio. 

Tale documentazione deve contenere, inter alia, una copia completa del contratto di franchising da sottoscrivere ed ulteriori informazioni circa i marchi, il know-how e gli elementi caratterizzanti l’attività oggetto dell’affiliazione nonché l’indicazione del numero degli affiliati e le relative variazioni negli anni precedenti. Indicazioni ulteriori sono previste in capo a franchisor che abbiano operato esclusivamente all’estero e vogliano quindi introdurre per la prima volta in Italia una determinata formula commerciale. 

La finalità del Franchise Disclosure Document è quella di consentire al franchisee di conoscere e valutare attentamente il tipo di attività del contratto, le possibilità di sviluppo e, in particolare, le tempistiche di ritorno dei propri investimenti. 

A proposito della (legittima) aspettativa del franchisee di rientrare dei propri investimenti e di svolgere quindi l’attività con profitto, la Legge sul Franchising prevede, inoltre, che il rapporto abbia una durata minima sufficiente all’ammortamento dell’investimento, che il legislatore ha determinato in 3 anni. 

Il know-how

Il know-how costituisce un elemento essenziale e caratterizzante del contratto di franchising ed è definito dalla Legge sul Franchising come “un patrimonio di conoscenze commerciali e pratiche non brevettate, derivanti da esperienze e da prove eseguite dall’affiliante”. 

Il know-how deve necessariamente essere: 
  • Segreto, ossia “non generalmente noto, né facilmente accessibile” al di fuori dalla rete del franchising;
  • Sostanziale, deve cioè comprendere tutte quelle conoscenze indispensabili per la gestione del franchising, ossia il business format (o formula) nella sua globalità;
  • Individuabile, deve essere descritto nel contratto (o documento separato) in modo comprensibile e sufficientemente esauriente per non lasciare dubbi sulla segretezza e sostanzialità.

Per poter assumere un valore economico e giuridico il know-how deve essere inaccessibile. Infatti, la sua diffusione svaluterebbe sia il patrimonio delle conoscenze che l’intera rete di franchising. Pertanto, il know-how deve essere protetto adottando misure di salvaguardia sia all’interno della rete del franchisor sia all’interno di quella del franchisee. Per tale ragione, è necessario che entrambi i soggetti coinvolti siano muniti di idonee procedure organizzative interne (es. accesso selettivo alle informazioni) ed esterne (verso i fornitori, i clienti, etc.). Proprio al fine di perseguire l’obiettivo di tutelare e mantenere segreto il know-how, nei contratti sono inserite apposite clausole di segretezza volte ad obbligare i soggetti a non divulgare e a non utilizzare le informazioni al di fuori del rapporto contrattuale. 

Il know-how, secondo quanto previsto dalla disciplina nazionale, può essere descritto all’interno del contratto di franchising ma può essere anche contenuto nel franchise package. Solitamente i principali strumenti con i quali, nella prassi, il know-how viene trasferito dall’affiliante all’affiliato sono il c.d. manuale operativo e la formazione. In ogni caso, la legge prevede che sia data dal franchisor una analitica e precisa descrizione di ciò che viene trasmesso al franchisee. 

L’assistenza al franchisee

Sempre nell’ottica di riequilibrare il rapporto tra il franchisor e il franchisee, la Legge sul Franchising definisce quali elementi essenziali in un rapporto di franchising l’assistenza e la consulenza tecnica e commerciale da parte dell’affiliante in favore dell’affiliato. Nello specifico, la norma prevede che il contratto indichi anche “le caratteristiche dei servizi offerti dall’affiliante in termini di assistenza tecnica e commerciale, progettazione ed allestimento, formazione”. 

Il franchisee, quindi, attraverso il contratto di franchising, entra a far parte di una rete strutturata che comprende anche l’assistenza e la consulenza da parte del franchisor, non soltanto nelle fasi di avvio della nuova attività commerciale, ma nel corso dell’intero rapporto contrattuale. Infatti, il franchisor si impegna a fornire i prodotti da rivendere e ad accollarsi i costi del servizio di assistenza e di altri eventuali costi come, ad esempio, le spese di pubblicità.

L’assistenza viene solitamente fornita attraverso l’invio di dipendenti del franchisor a cui è affidato il compito di verificare il corretto allestimento del punto vendita, l’esatta corrispondenza dei segni distintivi nonché l’utilizzo delle denominazioni o insegne trasferite dall’affiliante.
La fase della consulenza, invece, attiene alla formazione del franchisee e questa può essere svolta mediante appositi corsi di formazione o, più in generale, con l’invio del manuale operativo, ossia un vero e proprio vademecum dell’attività.

L’assistenza e la consulenza fornite da parte del franchisor risultano, dunque, come delle prestazioni accessorie, funzionali alla corretta e completa trasmissione della formula commerciale da parte del franchisor, ed è proprio questa attività di supporto che il franchisor fornisce al franchisee, e l’inserimento di quest’ultimo all’interno di una rete, ad aver consentito al franchising di meglio assorbire gli shock economici che ci sono stati negli ultimi anni, tra cui in particolare le conseguenze causate dalla pandemia da Covid19, rendendolo quindi uno strumento particolarmente resiliente.

Tipologie di franchising

Il franchising può assumere tre diverse tipologie:
  1. Il franchising di distribuzione di beni dove l’oggetto del contratto è la distribuzione e quindi la vendita a terzi di uno o più prodotti. Il franchising di distribuzione di beni, a seconda del ruolo svolto dal franchisor, può configurarsi come (i) franchising del produttore, quando il franchisor stesso produce i beni e i prodotti oggetto di commercializzazione (si pensi, per esempio, a famosi marchi di abbigliamenti con punti vendita distribuiti in tutto il mondo e gestiti, solitamente, da franchisee che acquistano i prodotti da vendere dal franchisor) o (ii) franchising del distributore, quando, al contrario, il franchisor è un grossista che non produce direttamente i beni o i prodotti ma li acquista da fornitori o produttori esterni al fine di commercializzarli. Quest’ultima formula ha trovato larga diffusione nel settore della grande distribuzione.
  2. Il franchising di distribuzione di servizi dove il franchisee fornisce la prestazione di servizi ideati, messi a punto e già sperimentati dal franchisor. Pertanto, in tale tipologia di franchising, si assiste alla cessione e al trasferimento dal franchisor al franchisee del know-how, della capacità di marketing, etc., ma non sussiste alcun passaggio di proprietà dei prodotti trattandosi di servizi. Il franchisor è l’ideatore del servizio mentre il franchisee si limita ad erogarlo ai terzi. 
  3. Il franchising industriale dove un’impresa industriale – ideatrice (nonché sperimentatrice) di un processo produttivo o della commercializzazione di un prodotto, identificato da un marchio – può affiliare un’altra impresa industriale al fine di produrre e/o commercializzare i suoi prodotti.

Differenza con altri contratti

Occorre fare attenzione a non confondere il contratto di franchising con altre forme distributive; infatti, la somiglianza con altre tipologie di distribuzione può facilmente trarre in inganno. Nello specifico, il contratto di franchising si differenzia:
  1. dalla concessione di vendita, in quanto il franchising prevede la fornitura non solo dei prodotti da distribuire, ma anche di diverse prestazioni immateriali, quali l’assistenza tecnica e commerciale, le soluzioni di marketing e l’addestramento del personale;
  2. dal mandato e dall’agenzia perché l’affiliato, in qualità di imprenditore autonomo e indipendente, opera sempre a suo nome e per suo conto e il compenso che percepisce non assume la forma di provvigione sugli affari andati a buon fine. Dunque, mentre nel mandato e nell’agenzia si agisce per conto altrui, nel franchising si agisce in nome e per conto proprio;
  3. dalla licenza d’uso, in quanto il contratto di franchising, oltre all’utilizzo dei marchi del franchisor, prevede una serie di elementi ulteriori quali, a titolo esemplificativo, l’inserimento del franchisee nel “sistema” ovvero nella catena di distribuzione del franchisor, la trasmissione del know-how, l’eventuale formazione del personale, etc..

Si tratta di differenze rilevanti che potrebbero essere trascurabili durante lo svolgimento ordinario del rapporto tra affiliante ed affiliato ma che assumono particolare importanza quando, ed a volte succede, i rapporti tra le parti dovessero incrinarsi e dovessero sorgere contestazioni da far decidere ad un giudice che si troverà, per l’appunto, a dover applicare i principi e le categorie giuridiche corrette. 

Franchising internazionale, legge applicabile

Ritornando, infine, da punto dal quale siamo partiti, ovvero la presenza nell’ordinamento italiano di una legge sul franchising ed alcuni dei principi da quest’ultima dettati, giova comunque ricordare che anche nel caso del contratto di franchising le parti possono, nell’esercizio dell’autonomia dei privati, scegliere quale dovrà essere il diritto (nazionale) applicabile al proprio rapporto. 

Tale questione assume particolare rilevanza nei casi in cui una delle parti, di regola il franchisor, sia un soggetto estero che sviluppi una rete di affiliazione commerciale in Italia e stipuli, quindi, i propri contratti di franchising con dei franchisee locali. Solitamente, i contratti di franchising internazionali prevedono che la legge applicabile sia quella del paese del franchisor, questo perché tale disposizione consente al franchisor una più efficiente e semplice gestione della propria rete internazionale. Tale previsione è quasi sempre adottata nei contratti di cd. master franchising, nei quali è il master franchisee, come primo e principale affiliato, ad assumere nei confronti del franchisor il compito di sviluppare la rete all’interno del proprio paese, ma trova spesso anche ingresso nei contratti tradizionali, tra un franchisor straniero ed il singolo franchisee domestico. 

Se è vero che tale scelta evita al franchisor di dover conoscere norme e principi giuridici diversi per ogni paese nel quale sviluppa le proprie iniziative, nella stesura del proprio modello contrattuale e la gestione del rapporto egli dovrà comunque uniformarsi ai quei principi considerati come imperativi ed inderogabili dall’ordinamento del paese in cui si troverà ad operare (per esempio in materia fiscale, di proprietà intellettuale, antitrust etc.) nonché mettere in conto che l’imposizione di un diritto straniero  possa spingere il potenziale franchisee a scegliere altri marchi (magari domestici) che non abbiano un tale ostacolo all’ingresso.

Sul franchisee graverà invece l’onere pieno di vedersi applicare disposizioni di legge diverse da quelle del proprio Stato, con conseguente necessità di farsi assistere da consulenti che – soprattutto in ambito legale – siano in grado, per la propria esperienza e la presenza diffusa in diversi paesi, di adeguatamente tutelare gli interessi del franchisee medesimo.
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