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Mar Rosso: quali prospettive e tutele nei contratti per le imprese italiane

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​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​Ultimo aggiornamento del 2.07.2024 | Tempo di lettura ca. 6 minuti



Non accennano a calmarsi le acque del Mar Rosso, teatro da inizio anno di una crisi senza precedenti, che ha ridotto drasticamente il transito di navi commerciali (e anche passeggeri) per il canale di Suez e lo stretto di Bab-El-Mandeb. Momento certamente di crisi, ma anche fonte d’opportunità per le aziende italiane, dopo la crisi pandemica globale, di ripensare al proprio modello produttivo e tutelare il proprio business, anche attraverso strumenti e condizioni contrattuali più efficaci, per non rimanere escluse dai mercati (oggi) e per farsi trovare pronte alle nuove sfide e crisi (domani).

Non accennano a calmarsi le acque del Mar Rosso, teatro da inizio anno dell’ennesima crisi che ha coinvolto il commercio globale. Crisi “quasi perfetta”, perché fa il paio con la riduzione dei transiti marittimi che sta contemporaneamente coinvolgendo il canale di Panama a causa della siccità, e con la ormai annosa contrazione delle forniture energetiche, determinata dal perdurare della guerra in Ucraina. 

Da gennaio di quest’anno la tratta Cina – Italia, fermo il fisiologico e periodico calo dei transiti legati alla sospensione delle forniture in occasione del capodanno cinese, ha visto una riduzione di oltre il 50 per cento dei passaggi per il Mar Rosso (-50 per cento nel passaggio per lo stretto di Bab el-Mandeb; - 39,3 per cento per il Canale di Suez), con aumento più che proporzionale di quelli per il Capo di Buona Speranza, cresciuti, rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, di oltre l’85 per cento. Tale “diversione” ha comportato di riflesso un aumento di 15 giorni nella percorrenza media della citata rotta, con automatico incremento dei costi sia per gli armatori (in termini di corrispettivo per il personale e usura delle flotte), sia per le stesse aziende italiane in termini di aumento nelle tempistiche di approvvigionamento di prodotti semilavorati e finiti, dei costi dei noli dei container (passati da Euro 1.500 a Euro 12.000 per attestarsi ora a Euro 6.000 cadauno, con un rincaro del 200 per cento) e dei costi assicurativi per le spedizioni che continuano a transitare per il Mar Rosso, aumentati fino a sette volte rispetto all’inizio della crisi. 

La contrazione dei transiti per il Mar Rosso sta già producendo i suoi effetti a tutti i livelli economici. Partendo dalla catena logistica, con la tendenza al suo accorciamento mediante la ricerca di siti produttivi nell’Est Europa da parte delle aziende Europee e italiane, già attive all’indomani della fine della fase acuta del Covid nel processo di “reshoring”; nonché con l’implementazione dei trasporti via terra da e per l’Oriente, soprattutto nel settore delle merci non deperibili; e infine nella scelta di suddividere la fornitura dei prodotti in più spedizioni e su diverse rotte, così da ridurre il rischio di perdita, ma con moltiplicazione dei costi organizzativi. 

A livello di organizzazione della produzione con il passaggio dal sistema “Just in Time” (per cui l’azienda produce e fa magazzino solo in funzione della merce già ordinata – venduta) a quello “Just in Case” (per cui l’azienda produce, si rifornisce di materia prima e/o stocca prodotti finiti in anticipo, indipendentemente dagli ordini effettivi così da disporre sempre di scorte sufficienti per far fronte alla domanda), quindi con la ritrovata centralità ed esigenza del magazzino e con il correlato incremento di tale voce di costo nei bilanci sociali. Infine, a livello di vendita al dettaglio con l’aumento dei prezzi dei prodotti finiti per i consumatori finali, già afflitti dalla crescita quasi esponenziale dell’inflazione. 

Non vanno poi trascurati gli effetti di tale crisi anche su un piano prettamente giuridico. In tema di contratti, soprattutto di fornitura e trasporto, grande attenzione va e andrà, anche pro-futuro, riservata alle clausole che regolano, in primis, la risoluzione e/o la rinegoziazione delle condizioni contrattuali, con l’inserimento e la valorizzazione, ad esempio, di clausole mutate sulla nozione di “hardship” (concetto che consente la rinegoziazione delle condizioni contrattuali, al verificarsi di un mutamento in senso peggiorativo dell’originario equilibrio contrattuale che non rende impossibile la prestazione ma solo eccessivamente onerosa per una delle due parti, quale può essere l’incremento esponenziale dei costi di trasporto o di quelli assicurativi); nonché nella distribuzione dei rischi soprattutto nel trasporto della merce, tramite la scelta degli Incoterms più idonei alla situazione e alla parte da tutelare; e infine nell’inserimento tra le cause di forza maggiore e quindi d’impossibilità sopravvenuta della prestazione, anche di quelle legate alla guerra, ad atti terroristici e all’interruzione dei traffici commerciali in una specifica zona ad alto rischio. Concetto questo che andrà certamente declinato, anche in punto di validità, in funzione della propria controparte commerciale, alla luce delle sue diverse accezioni nei sistemi giuridici internazionali. 

Del pari grande rilievo riveste il tema delle garanzie tanto nella fase dell’approvvigionamento dei prodotti da commercializzare, tanto in quella di fornitura del prodotto finito alla grande distribuzione. Non v’è dubbio che la stipulazione di garanzie con istituti bancari o assicurativi, pur rappresentando un’ulteriore voce di costo per le aziende importatrici, costituisca, in un contesto di forte incertezza nel tempestivo e coretto adempimento della fornitura com’è quello attuale, una polizza indispensabile contro il rischio d’incorrere in penali e/o richieste di risarcimento danni, altrettanto ingenti, per la ritardata e/o la mancata fornitura della merce sul mercato. 

Segue infine, ma non per minor importanza, il tema della sopravvivenza di molte aziende italiane che s’interseca indiscutibilmente con le tematiche economiche già citate. Negli ultimi tre mesi il tessuto economico italiano ha perso 3,3 miliardi di Euro, 95 milioni di Euro al giorno (di cui 35 in mancate esportazioni e 60 in mancato o ritardato approvvigionamento di merci) i cui effetti si traducono in riduzione delle commesse, in mancati transiti e soste delle navi nei porti italiani, in mancati trasporti su gomma delle merci scaricate nei porti verso i grandi hub logistici, a maggior vantaggio di quelli situati nel Nord Europa. Non serve aggiungere che il protrarsi della crisi non possa che aggravare la debolezza strutturale e la tenuta contabile e finanziaria di molte aziende italiane, analogamente a quello che è successo a seguito della fine dell’emergenza epidemiologica.

Urgono certamente misure di sostegno alle aziende, ma anche un ripensamento e un’attenta e professionale pianificazione dei sistemi produttivi e di approvvigionamento delle aziende italiane allo scopo sia di far fronte alla crisi attuale, sia di non farsi trovarsi impreparati davanti a quelle che verranno. 

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