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Greenwashing: com’è cambiato oggi il mercato e perché c’è bisogno di maggiore consapevolezza da parte delle aziende

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Ultimo aggiornamento del 18.05.2022 | Tempo di lettura ca. 3 minuti

L’attenzione istituzionale alle pratiche ambientali aziendali, la crescita della consapevolezza ambientale dei consumatori, nonché una maggiore concorrenza nei mercati globali spingono le aziende a divulgare informazioni sulle proprie prestazioni ambientali.

Il mercato dei prodotti e servizi “green” è in continua espansione e sempre più numerosi sono i claim che suggeriscono un ridotto impatto ambientale del prodotto o servizio offerto. 

Si pensi a “biodegradabile”, “ecosostenibile”, “amico della natura”: i “green claim” sono quelle affermazioni dirette a suggerire o anche solo ad evocare il minore o ridotto impatto ambientale del bene o servizio proposto sul mercato, suggerendo che implica certi benefici ambientali, spesso associati alla dichiarazione che il prodotto è meno dannoso per l'ambiente rispetto a quelli concorrenti. 

Una dichiarazione ambientale può assumere diverse forme ed essere veicolata tramite vari canali: in particolare, può essere presente sulle etichette dei prodotti o degli imballaggi, comunicata attraverso la pubblicità nonché mediante la rete sui social network e il web. Ed è proprio facendo leva sul crescente interesse verso queste tematiche che molte aziende sono spinte a divulgare informazioni sulle proprie prestazioni ambientali, ammantando la comunicazione commerciale di claim pro-ambiente. 

Tuttavia, non tutte le aziende che presentano sé stesse e/o i propri prodotti come “green” implementano davvero pratiche sostenibili: sempre più frequentemente si riscontrano informazioni fuorvianti, ambigue e ingannevoli che generano lo sviluppo del fenomeno del cd. “greenwashing”. E i consumatori, spesso, non dispongono degli strumenti necessari per valutare la veridicità di queste affermazioni. 

Ecco allora che informazioni ambientali credibili e verificabili diventano elementi cruciali da tenere in considerazione per supportare le decisioni d’acquisto e guidare verso scelte più responsabili e sostenibili.

In questo contesto, per la prima volta, il caso della pubblicità di un prodotto che si definisce sostenibile è finito sotto il vaglio di un giudice civile. Ma, a ben vedere, si tratta dell’esito di un percorso che negli ultimi anni ha visto crescere la sensibilità di tribunali amministrativi, authority e istituti di autodisciplina in materia.

In particolare, a novembre 2021, il TAR del Lazio ha rigettato il ricorso presentato da Eni contro il provvedimento preso nel 2019 dall’AGCM con cui aveva accertato la scorrettezza della campagna pubblicitaria dell’azienda, incentrata sulla valenza ecologica del combustibile Eni Diesel+.

Gli organi dell’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria (“IAP”), un’associazione che raccoglie la maggior parte delle società che operano nel settore pubblicitario e le cui pronunce possono bloccare una campagna pubblicitaria, hanno emesso numerose ingiunzioni contro aziende responsabili di messaggi “green” non veritieri. Ad esempio, sono stati censurati claim che per la loro genericità, rappresentata dalla circostanza che i messaggi contenessero riferimenti a vanti ambientali totalmente sprovvisti di evidenze a supporto, non consentivano al destinatario di comprendere chiaramente a quale aspetto del prodotto/servizio pubblicizzato corrispondesse il beneficio ambientale genericamente richiamato.

Tutto questo è quindi solo il primo passo di un cambiamento che aumenterà sempre di più cause e sentenze, ma anche un nuovo approccio alla comunicazione ambientale. In tale ambito è quindi fondamentale che le aziende pongano sempre più attenzione a questa tematica, anche sotto un profilo legale, e si adoperino per effettuare una corretta comunicazione “green”, avvalendosi di professionisti specializzati in materia che possano riconoscere e valorizzare l'impegno delle aziende in tal senso. 

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