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Legge Pinto: risarcimento per l’irragionevole durata delle procedure concorsuali

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Ultimo aggiornamento del 20.05.2021 | Tempo di lettura ca. 3 minuti​


Se tutti conoscono l'Unione Europea, non tutti sanno che l'Italia fa parte anche del Consiglio d'Europa, un'organizzazione di 47 stati fondata nel 1949 per la tutela e promozione dei diritti dell'uomo da parte dei singoli Stati nazionali aderenti, tra cui l'Italia. Nell'ambito del Consiglio d'Europa, nel 1950 è stata promossa la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) la cui applicazione è garantita dalla collegata Corte, istituita nel 1959.


L'art. 6 della CEDU prevede che tutte le persone (fisiche e giuridiche) hanno diritto a un equo processo che deve essere garantito dalle autorità statali. In caso di violazione di questo principio, chiunque può ricorrere presso la Corte Europea dei diritti dell'uomo per ottenere un indennizzo economico a carico del proprio Stato nazionale.


A partire dagli anni Ottanta e Novanta molti cittadini italiani hanno fatto ricorso alla Corte lamentando la violazione da parte dello Stato italiano dell'art. 6 a causa della notoria lunghezza dei processi.


Proprio per il numero dei ricorsi e per i richiami della Corte Europea, la Repubblica italiana ha adottato la Legge 89/2001 (c.d. "Legge Pinto") con la quale si è "nazionalizzato" il diritto all'equa riparazione per l'eccessiva durata delle procedure giudiziarie, consentendo a ogni persona di ricorrere direttamente presso la Corte d'Appello competente per territorio.


La Corte d'Appello può liquidare a carico dello Stato da un minimo di 400 Euro a un massimo di 800 Euro per ogni anno/frazione di anno di "durata irragionevole" di un processo.


Quel che pare particolarmente interessante da segnalare è che il rimborso può essere richiesto per qualsiasi procedimento (civile, penale, amministrativo) ma anche in caso di eccessiva lentezza di una procedura concorsuale.


In questo speciale ambito, si può stimare che la durata "ragionevole" di una procedura non possa essere superiore a 6 anni e che, per ogni anno e/o frazione di anno oltre il suddetto limite, ogni interessato abbia diritto a un risarcimento monetario nella somma succitata (eventualmente temperata nel caso di parti superiori a 100). È anche da segnalare che l'entità del risarcimento è indipendente dalla natura del credito (chirografario/privilegiato) insinuato al passivo della procedura e dalle prospettive concrete ed effettive di soddisfazione sul ricavato del riparto della curatela. Non è nemmeno richiesto un contributo unificato, sicché il deposito del ricorso è gratuito.


Nel solco di numerose pronunce, si inserisce il recentissimo provvedimento reso dalla Corte d'Appello di Venezia in un procedimento avviato dallo studio Rödl & Partner di Padova, avvocato Giovanni Montanaro e dott.ssa Alina Samardina, volto a contestare la durata irragionevole di cinque procedure concorsuali (fallimenti e concordati preventivi) in cui l'assistita società di capitali risultava creditrice regolarmente insinuata al passivo.


Questa recentissima pronuncia non solo è in linea l'orientamento adottato sino ad oggi alla Suprema Corte di Cassazione ma finisce per costituire un importante precedente chiarendo la possibilità di proporre un ricorso unico ex Legge Pinto volto a contestare "cumulativamente" tutti procedimenti fallimentari (di durata eccessiva rispetto al termine ragionevole stimato in 6 anni) in cui la società assistita risultava creditrice insinuata al passivo purché gli stessi si siano svolti nella circoscrizione della medesima Corte d'Appello.


Si ritiene dunque che molte imprese potrebbero avere interesse ad attivare questo strumento per ottenere un risarcimento sostanzialmente automatico da parte dello Stato. 


Autori:
Giovanni Montanaro - Partner
Alina Samardina - Associate

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