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L’importanza di differenziare il periodo di comporto del lavoratore disabile

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Ultimo aggiornamento del 4.05.2023 | Tempo di lettura ca. 3 minuti


La Corte di Cassazione, con la sentenza del 31 marzo 2023, n. 9095, ha confermato il principio già affermato in alcune sentenze di merito (cfr. sentenza della Corte d’Appello di Napoli, 17 gennaio 2023, n. 168) secondo cui è illegittimo il licenziamento per superamento del comporto adottato nei confronti del lavoratore disabile nel caso in cui il periodo massimo di assenza stabilito nel CCNL sia lo stesso previsto per i lavoratori non disabili.

Il caso in esame riguarda una società per azioni che, nella persona del legale rappresentante pro tempore, ricorreva contro la sentenza che ha dichiarato illegittimo il licenziamento di un lavoratore disabile intimato  dalla stessa a seguito del superamento del periodo di comporto.

La Cassazione ha ravvisato un’ipotesi di discriminazione indiretta che ricorre, ai sensi dell’art. 2, co. 1, D. Lgs. 9 luglio 2003, n. 216 “quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri possono mettere le persone che professano una determinata religione o ideologia di altra natura, le persone portatrici di handicap, le persone di una particolare età o nazionalità o di un orientamento sessuale in una situazione di particolare svantaggio rispetto ad altre persone”. 

Nel caso in esame rileva la posizione di svantaggio in cui si trova il lavoratore disabile il cui licenziamento è fondato su parametri eguali al caso in cui il licenziato sia un lavoratore non disabile. Infatti, ben evidenti sono le limitate capacità fisiche del prestatore di lavoro, e altrettanto evidente è la distinzione tra il concetto di disabilità e quello di stato di malattia.

La Suprema Corte ha ritenuto discriminatorio il CCNL per il settore dei servizi ambientali che, all’art. 42, disciplina il periodo di comporto in modo indifferenziato per tutti i lavoratori, senza che sia prevista una disciplina differenziata delle assenze per malattia dei lavoratori disabili, poiché per quest’ultima categoria il rischio di assentarsi e, di conseguenza, di venir meno alla prestazione lavorativa è oggettivamente superiore rispetto a quello degli altri. 

Di fondamentale importanza risulta la definizione di “handicap”, contenuta nella Direttiva 2000/78/CE, intesa come la malattia di lunga durata che incide negativamente sulla vita professionale del lavoratore.

Secondo la Corte di giustizia dell'Unione europea che si è espressa in merito, tale definizione deve includere una condizione patologica, causata da una malattia diagnosticata come curabile o incurabile, qualora comporti una limitazione, risultante da menomazioni fisiche, mentali, psichiche che possa ostacolare la piena ed effettiva partecipazione della persona interessata alla vita professionale su base di uguaglianza con gli altri lavoratori, e tale limitazione sia di lunga durata. 

Per questo motivo, secondo la Cassazione, il lavoratore che rientri nell’ambito di applicazione della Direttiva deve essere tutelato contro qualsiasi discriminazione rispetto a un lavoratore che non vi rientri.

Viene inoltre rilevato che il rischio di essere assente dal lavoro per malattia di un lavoratore disabile deve essere tenuto in conto nell’assetto dei rispettivi diritti e obblighi in materia, e l’applicazione del periodo di comporto breve per i lavoratori disabili costituisce una condotta indirettamente discriminatoria e, chiaramente, vietata. 

Infine, viene statuito che la discriminazione opera in modo oggettivo, da cui ne deriva l’irrilevanza dell’intento soggettivo dell’autore e, in particolare, del fatto di non essere stato a conoscenza del motivo delle assenze del lavoratore.

La Cassazione ha quindi rigettato il ricorso presentato dalla società e ha ribadito, ancora una volta e in maniera chiara, la necessità che le parti sociali adeguino le norme contrattuali al fine di tutelare le categorie di lavoratori più deboli quali i disabili. 

Nella maggior parte dei CCNL, infatti, ancora oggi non è presente una netta distinzione tra le assenze per malattia e quelle per patologie collegate alla disabilità, ed è in questo caso che assume rilevanza il ruolo svolto dai contratti collettivi aziendali, i quali possono (e devono) disciplinare un adattamento del periodo di comporto per i lavoratori disabili.

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