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Il controllo a distanza dei lavoratori mediante agenzia investigativa: i diversi profili di legittimità

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​​Ultimo aggiornamento del 27.03.2024 | Tempo di lettura ca. 8 minuti



I controlli mediante agenzia investigativa costituiscono una modalità di controllo a distanza che viene spesso utilizzata dai datori di lavoro: essa può avere ad oggetto esclusivamente gli atti illeciti posti in essere dal lavoratore non riconducibili al mero inadempimento dell’obbligazione lavorativa.

Si tratta di un’attività che esula dall’ambito applicativo dell’art. 3 dello Statuto dei Lavoratori, il quale si limita a disciplinare il controllo mediante personale di vigilanza: per tal motivo, quando il datore ricorre all’ausilio di personale esterno all’organico aziendale – quali le agenzie investigative – sovente si sente parlare anche di “controlli esterni”. Si noti che fin dagli anni ’70 iniziò a diffondersi nella giurisprudenza di merito un orientamento volto a legittimare l’utilizzo di tali soggetti esterni al fine di tutelare il patrimonio aziendale – denotando la caratteristica “difensiva” del controllo – e che, successivamente, si è via via consolidato, divenendo pacifico.

Meno pacifico e, anzi, piuttosto dibattuto in dottrina ed in giurisprudenza è ciò che di fatto può essere oggetto del controllo.

Tale controllo, ovviamente, avviene in forma occulta poiché i lavoratori non sono – e non devono essere – preventivamente informati della sua attivazione poiché, diversamente, potrebbero adottare misure volte ad eluderlo: ciò è essenziale affinché il controllo stesso possa effettivamente perseguire la sua finalità primaria, ovverosia accertare gli atti illeciti commessi dal lavoratore. Diviene quindi essenziale distinguere quando un atto possa ritenersi illecito e, per l’effetto, giustificare un controllo occulto. 

Certo è che dal campo dell’illiceità vanno esclusi i meri inadempimenti delle obbligazioni contrattuali nell’esecuzione della prestazione lavorativa: tali violazioni possono essere verificate esclusivamente dal datore stesso o dal personale di vigilanza, del quale i lavoratori devono necessariamente conoscere – previa apposita comunicazione datoriale – i nominativi e le mansioni specifiche (ex art. 3 dello Statuto dei Lavoratori).

Analogamente, i controlli in oggetto esulano dalla disciplina di cui all’art. 2 dello Statuto, che regola la difesa del patrimonio aziendale per mezzo di guardie giurate; altresì irrilevante è la previsione di cui all’art. 4, che regola i controlli per mezzo di strumenti e impianti audiovisivi e/o elettronici. 

Occorre pertanto concentrarsi sugli orientamenti giurisprudenziali prevalenti, dal momento che – valga ricordarlo – le aule dei tribunali sono il luogo in cui ha avuto origine il concetto di “controllo difensivo”: di recente, la Corte di Cassazione, con ordinanza n. 6468 del 12 marzo 2024, ha ritenuto legittimo il licenziamento disciplinare intimato al lavoratore per assenza ingiustificata accertata mediante controlli effettuati da un’agenzia investigativa a seguito di anomali allontanamenti dal luogo di lavoro, i quali si sono verificati in concomitanza con la fruizione dei permessi ex art. 33 della Legge n. 104/1992 in favore di genitori infermi.

Il lavoratore aveva eccepito l’illegittimità del ricorso all’agenzia investigativa esterna, sostenendo che i controlli da questa posti in essere fossero finalizzati a verificare esclusivamente la prestazione lavorativa.
La Cassazione ha ritenuto infondate le doglianze del lavoratore, sostenendo che il controllo demandato all’agenzia investigativa è legittimo ove non abbia ad oggetto l’adempimento della prestazione lavorativa, ma sia finalizzato a verificare comportamenti che possano configurare ipotesi penalmente rilevanti od integrare attività fraudolente, “come proprio nel caso di controllo finalizzato all’accertamento dell’utilizzo improprio, da parte di un dipendente, dei permessi ex art. 33 Legge n. 104/1992”.

Il giudice, inoltre, ha chiarito che non è pertinente il richiamo della difesa del lavoratore a Cass. 24 agosto 2022, n. 25287 che, pur pronunciata in una vicenda fattualmente connessa a quella esaminata, si riferisce ad una ipotesi in cui non era oggetto di contestazione l’abusivo utilizzo dei permessi ex lege n. 104 del 1992. La sentenza del 2022 riguardava un caso di licenziamento del lavoratore a cui era stato contestato di essersi allontanato dal luogo di lavoro, in orario lavorativo, per compiti che esulavano dal suo inquadramento professionale, essendo stati registrati mediante controlli effettuati da agenzia investigativa incontri estranei all’attività e alla sede di lavoro (es. presso supermercati e palestre).

Nel secondo caso, quindi, il controllo esterno mediante agenzia investigativa era stato ritenuto illegittimo in quanto aveva riguardato l’adempimento della prestazione lavorativa da parte del dipendente e non, come nel caso della sentenza di marzo scorso, una frode ai danni dell’I.N.P.S. – e quindi un illecito – qual è il mancato effettivo godimento del permesso di cui alla Legge n. 104 del 1992.

Tornando al caso esaminato, l’indebita fruizione di permessi 104 rientra nel campo degli atti illeciti poiché, come detto, costituisce tanto frode ai danni dell’I.N.P.S. quanto abuso dei diritti concessi dalla legge per fini personali non autorizzati (oltre che irrimediabile lesione del vincolo fiduciario posto alla base del rapporto di lavoro). Pertanto, il dipendente non solo viola il contratto di lavoro e il regolamento aziendale, ma commette anche frode nei confronti dell’ente previdenziale, utilizzando in modo fraudolento risorse e agevolazioni destinate a situazioni di reale bisogno quale l’assistenza ad un familiare disabile.

Recentemente anche il Tribunale del Lavoro di Roma, con ordinanza del 14 marzo 2023, si è pronunciato in materia di controllo datoriale effettuato mediante l’ausilio di un’agenzia investigativa. Nel caso in questione, un operaio veniva licenziato per mancata e irregolare prestazione lavorativa in diciotto occasioni nel corso di tre mesi; il datore aveva rilevato il mancato rispetto dell’orario del dipendente, il suo ingiustificato abbandono del posto di lavoro, l’esecuzione in orario lavorativo di attività personali nonché l’utilizzo di alcuni beni aziendali per scopi privati e non inerenti all’espletamento della prestazione. Il giudice, rigettando integralmente il ricorso del lavoratore, ha sostenuto che il datore può eseguire, anche avvalendosi di soggetti esterni, controlli finalizzati a verificare la realizzazione di condotte illecite seppur non penalmente rilevanti quali, ad esempio, la falsa attestazione dell’orario da parte del dipendente o l’allontanamento dal luogo di lavoro per scopi privati.

Ebbene, il contenuto della predetta decisione si pone in chiaro contrasto con quanto evidenziato dall’ordinanza della Cassazione e, più in generale, con i più recenti orientamenti giurisprudenziali. Il giudice romano ha ribadito che il divieto di ricorrere a controlli tramite agenzie di investigazione è limitato alla mera verifica dell’adempimento o dell’inadempimento della prestazione lavorativa da parte del lavoratore ma, nonostante ciò, ha ritenuto l’allontanamento dal luogo di lavoro una condotta che legittima l’investigazione privata, sebbene si tratti a tutti gli effetti di un inadempimento dell’obbligazione contrattuale. A rigor di logica, in questo caso il controllo avrebbe potuto essere esercitato dal solo datore o dai suoi collaboratori inseriti nell’organizzazione gerarchica dell’impresa, in quanto incentrato esclusivamente sulla mera verifica della prestazione lavorativa (presenza del lavoratore nei locali aziendali e regolare svolgimento dei compiti a lui assegnati). 

Da quanto sopra esposto si comprende che in tali casi ciò che talvolta interessa agli interpreti è la costante ricerca dell’illecito o, quantomeno, del fondato sospetto della sua realizzazione. Come ampiamente sostenuto dalla dottrina maggioritaria, la legittimità dei controlli occulti sull’illiceità degli atti commessi dal lavoratore rischia di divenire un espediente per ammettere qualunque sorveglianza: infatti, non è certamente agevole separare l’attività investigativa dal controllo dell’attività lavorativa quando si cerca di determinare eventuali pratiche illecite commesse durante lo svolgimento di quest’ultima. Illiceità che, peraltro, non può che essere accertata solo a posteriori rispetto all’inizio del controllo.

Tuttavia, come testimonia la sentenza del tribunale capitolino, l’orientamento non è univoco e i confini entro i quali il ricorso all’agenzia investigativa è legittimo risultano chiari in teoria, ma ondivaghi nella pratica. Se da un lato la giurisprudenza insiste sul principio secondo il quale l’attività lavorativa non può essere oggetto di controllo, d’altro lato si contraddice clamorosamente quando legittima l’utilizzazione di investigatori per il controllo del rispetto dell’orario di lavoro.

In alcuni casi, la Cassazione sembra aver adottato un'interpretazione restrittiva, limitando l’illecito a ciò che è penalmente rilevante o che integra attività fraudolente, proprio come nella sentenza dello scorso 12 marzo. Una lettura più estensiva rischierebbe di includere nella categoria qualsiasi inadempimento non strettamente legato all’esecuzione delle prestazioni lavorative o qualsiasi comportamento dannoso per gli interessi del datore di lavoro.

Anche gli orientamenti della corte di legittimità, per quanto all’apparenza risultino consolidati nella direzione del più generale principio di “illiceità” del comportamento quale unico presupposto legittimante il controllo difensivo, conducono ad una necessaria riflessione: in via esemplificativa, in alcuni casi il controllo viene giustificato in presenza di “condotta grave, idonea a far venire meno la fiducia del datore di lavoro” (cfr. Cass. 23 giugno 2011, n. 13789), in altri in caso di “comportamento illegittimo posto in essere al di fuori dell’orario di lavoro, disciplinarmente rilevante e fonte di danni per il datore di lavoro” (cfr. Cass. 22 maggio 2017, n. 12810) e ulteriormente, come visto, in “ipotesi penalmente rilevanti”. Ma è anche vero che un comportamento lesivo del vincolo fiduciario può certamente costituire una condotta grave nei confronti del datore, e allo stesso tempo non automaticamente integrare un reato. 

Il quadro normativo e giurisprudenziale concernente l’utilizzo delle agenzie investigative per il controllo dei dipendenti è pertanto complesso. Una possibile alternativa è la verifica diretta della prestazione da parte del datore di lavoro, in quanto legittimato al controllo anche al di fuori dei locali aziendali, senza che vi sia la necessità di ricorrere a soggetti esterni: necessità che, spesso, risulta del tutto superflua oltre che maggiormente costosa. Non sussiste infatti alcun impedimento per il datore di lavoro nel recarsi personalmente nei luoghi ove ritiene che il dipendente si trovi durante l’orario lavorativo, così da constatare personalmente l’inadempimento contrattuale. In conclusione, il ricorso agenzie investigative deve essere limitato ad accertamenti di situazioni già fortemente compromesse, nelle quali vi sia fondato sospetto in ordine alla commissione di veri e propri reati.​​​​​​​​​​​​​​​​

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