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La riforma delle pari opportunità

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​Ultimo aggiornamento del 03.01.2022 | Tempo di lettura ca. 5 minuti


La riforma in materia di pari opportunità ha l’auspicio di rendere ancora più incisiva e concreta la struttura apprestata dall’ordinamento per garantire al massimo grado possibile la parità di trattamento tra uomo e donna nei luoghi di lavoro; è stato altresì ampliato il bacino dei destinatari dell’obbligo di redazione della relazione biennale sullo stato del personale maschile e femminile; ulteriori novità – tra cui si annoverano gli sgravi contributivi – discenderanno dall’emanazione dei decreti attuativi nel corso del 2022.

L’obiettivo di un’azienda sensibile ai temi di labour compliance non può che essere quello di approntare misure di adattamento alla nuova normativa, e di adeguarsi quanto prima, in ogni caso, alle mutate sensibilità di equilibrio occupazionale.

Il 3 dicembre scorso è entrata in vigore la Legge 5 novembre 2021, n. 162, contenente ‘disposizioni in materia di pari opportunità tra uomo e donna in ambito lavorativo’. La nuova norma opera su due fronti: da un lato, modifica alcune disposizioni del c.d. Codice della Pari Opportunità (D.Lgs. 11 aprile 2006, n. 198); dall’altro introduce autonomamente diversi istituti volti a rendere ancora più incisiva e concreta la struttura apprestata dall’ordinamento per garantire la parità di trattamento tra uomo e donna sul luogo di lavoro.
Nell’integrare il Codice delle Pari Opportunità, la riforma:
  1. estende la platea dei soggetti potenzialmente ‘discriminati’ da tutelare, giungendo ad includervi quanti non sono ancora ufficialmente dipendenti, e cioè i candidati e le candidate, nel corso del procedimento di selezione del personale da parte dell’azienda;
  2. specifica che tra le disposizioni, i criteri, le prassi, gli atti, i patti o i comportamenti discriminatori possono annoverarsi anche quelli di natura organizzativa o incidenti sull’orario di lavoro; simili eventi, anche se apparentemente neutri, mettono o possono mettere candidati o lavoratori di un determinato sesso in una posizione di particolare svantaggio rispetto a colleghi dell’altro sesso;
  3. introduce una disposizione di chiusura che chiarisce come debba ritenersi discriminatorio ogni trattamento o modifica dell’organizzazione delle condizioni e dei tempi di lavoro che, per motivi di sesso, età anagrafica, esigenze di cura personale o familiare, stato di gravidanza nonché di maternità o paternità (anche adottive), ponga o possa porre il lavoratore in almeno una delle seguenti condizioni:
  4. introduce una disposizione di chiusura che chiarisce come debba ritenersi discriminatorio ogni trattamento o modifica dell’organizzazione delle condizioni e dei tempi di lavoro che, per motivi di sesso, età anagrafica, esigenze di cura personale o familiare, stato di gravidanza nonché di maternità o paternità (anche adottive), ponga o possa porre il lavoratore in almeno una delle seguenti condizioni:

  • posizione di svantaggio rispetto alla generalità dei colleghi;
  • limitazione delle opportunità di partecipazione alla vita o alle scelte aziendali;
  • limitazione dell'accesso ai meccanismi di avanzamento e di progressione nella carriera.
E’ quest’ultima forse la novità che si imprime maggiormente nella mente del lettore, e che ha indotto anche alcuni commentatori, forse trascinati da comprensibile ma eccessivo entusiasmo, ad annunci di grande effetto, non correttissimi sotto il profilo formare e giuridico (come quello secondo cui la parità di salario tra uomo e donna sarebbe ormai divenuto legge – affermazione che, per come è enunciata, non può essere più fuorviante).

Altra novità che metterà a dura prova la funzione di labour compliance delle aziende, sia per quanto riguarda l’aspetto formale, sia per quanto riguarda la gestione dei processi sottostanti, è l’estensione, anche alle aziende con più di 50 dipendenti, dell’obbligo di redigere, con cadenza biennale, il c.d. ‘rapporto sulla situazione del personale’, da trasmettersi alle rappresentanze sindacali aziendali e da sottoporre al vaglio del Consigliere di Parità territorialmente competente, pena l’intervento sanzionatorio dell’Ispettorato del Lavoro.

Le informazioni che tale documento dovrà contenere saranno meglio definite con un Decreto Ministeriale di prossima emanazione; basti qui dire sin d’ora che esso costituisce una vera e propria ‘fotografia’ della forza lavoro dell’azienda e degli equilibri (o squilibri) nella stessa presenti; il documento dovrà infatti precisare:
  • il numero dei lavoratori di sesso femminile e di sesso maschile;
  • il numero di lavoratrici in stato di gravidanza;
  • il numero delle assunzioni nel corso dell’anno, con riferimento a lavoratori di sesso maschile e femminile;
  • le differenze tra le retribuzioni iniziali dei lavoratori di ciascun sesso, l’inquadramento contrattuale e la funzione svolta da ciascun dipendente, anche con riferimento alla distribuzione fra i lavoratori dei contratti a tempo pieno e a tempo parziale;
  • l’ammontare del salario corrisposto, delle componenti accessorie, delle indennità, dei bonus e di ogni altro beneficio in natura ovvero di qualsiasi altra erogazione che siano stati eventualmente riconosciuti a ciascun lavoratore.
Tutte le aziende – e pertanto anche quelle che impiegano non più di 50 lavoratori, attualmente non obbligate a norma di legge – sono inoltre dichiarate libere di redigere e predisporre comunque il rapporto di propria iniziativa: il legislatore lascia pertanto aperta, nell’auspicio di una sempre maggiore sensibilizzazione e responsabilizzazione delle imprese private, la possibilità per i datori di lavoro di perseguire – in conformità alle novità normative – l’obiettivo di assicurare e mantenere un ambiente di lavoro virtuoso, dimostrando la piena compliance anche con riferimento ad un tema così delicato e ancora così embrionale quale quello della parità tra uomo e donna sul luogo di lavoro.

Chiude il cerchio l’introduzione di un meccanismo incentivante, costituito dalla certificazione della parità di genere e dal correlato sgravio contributivo.

Al riguardo si attendono ancora i dettagli, che saranno forniti da un apposito D.P.C.M.: basti qui ricordare che soddisfacendo determinati parametri minimi (relativi alla retribuzione corrisposta, alle opportunità di progressione in carriera e alla conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, anche con riferimento alle lavoratrici in stato di gravidanza) le imprese potranno conseguire la certificazione in parola, che consentirà loro di beneficiare per l’anno 2022 di un esonero dal versamento dei complessivi contributi previdenziali a proprio carico, in misura non superiore all’1 per cento e nel limite massimo di Euro 50.000,00 annui per ciascuna azienda.

Spetta ora alle realtà lavorative adeguarsi prontamente alle disposizioni, consapevoli della ormai onnipresente necessità di valutare attentamente gli equilibri del personale in forza e di come la compliance in materia di pari opportunità possa rivelarsi un elemento di forza, tale da far conseguire anche un non disprezzabile vantaggio in termini di immagine e collocazione sul mercato.

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Lorenzo Ceraudo

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