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Climate Change Risk Management: in cosa consiste e perché è un tema urgente e prioritario per l’impresa

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Ultimo aggiornamento del 10.10.2023 | Tempo di lettura ca. 4 minuti



Con l’entrata in vigore della Direttiva Europea 2022/2464 (c.d. CSRD) e l’estensione alle grandi imprese anche non quotate dell’obbligo di rendicontazione sulla sostenibilità, diventa centrale la gestione del rischio, da effettuarsi secondo il principio della doppia materialità e con approccio forward looking.

Che cosa significa in concreto? Significa che le imprese sono chiamate ad identificare e gestire, non solo i rischi-impatto della propria attività sull’ambiente e sulle persone, ma anche i rischi-impatto dei fattori ESG sulla propria attività. In questo consiste la doppia materialità: identificare i principali impatti dell’attività d’impresa verso l’esterno in ambito ESG e, viceversa, i principali impatti dei fattori ESG sulla propria attività.

L’approccio forward looking, invece, significa che - nonostante il termine ‘bilancio’ faccia pensare ad una rendicontazione retrospettiva - l’impresa deve guardare al futuro, alle probabili e potenziali evoluzioni del contesto sociale, ambientale ed economico, individuare i rischi conseguenti e gestirli, ovvero pianificare misure idonee alla loro prevenzione e mitigazione.

I rischi derivanti dal cambiamento climatico si prestano meglio di altri ad esemplificare in termini molto concreti e diretti questi concetti.

Innanzitutto perché questa estate ed anche negli ultimi giorni si è verificata una serie di eventi estremi, dalle temperature eccezionalmente elevate e la perdurante siccità, alle devastanti alluvioni, le grandinate e i tornado, che hanno colpito l’Italia e l’area del Mediterraneo, ma ugualmente – ed anzi in misura anche maggiore - gli Stati Uniti e l’Asia, mettendo in ginocchio vaste aree del territorio, colpendo persone ed imprese. In questi tragici momenti si leva il coro unanime di protesta per interventi preventivi mai effettuati e si ripetono le promesse per il futuro di una politica di prevenzione e non di intervento sempre solo a posteriori, in emergenza, per la riparazione del danno.

Esattamente questo è chiamata a fare l’impresa per ottemperare alla CSRD, agire primariamente in prevenzione e solo in misura residuale in compensazione.

In concreto occorre:
  • identificare i rischi, ad esempio il rischio delle alte temperature che possono comportare interruzioni dell’approvvigionamento energetico e sospensioni dell’attività lavorativa, piuttosto che il rischio di eventi alluvionali che pure possono colpire le strutture, le vie di comunicazione e le persone, con conseguenti rischi di grave danno a persone e cose e per la stessa business continuity;
  • prioritizzare i rischi valutando la probabilità del verificarsi dell’evento e l’entità delle conseguenze per l’impresa, da una parte, per le persone e l’ambiente, dall’altra, in modo da assegnare a ciascun rischio una sua valorizzazione in termini di gravità;
  • identificare, pianificare e implementare adeguate (a seconda del grado di gravità del rischio) misure di prevenzione e di mitigazione del rischio e dei suoi impatti.

In questo consiste sostanzialmente la ‘gestione del rischio’ ed è questo che è richiesto non solo dalla nuova normativa europea, ma anche e soprattutto dall’attuale contesto socio-ambientale, per garantire la sostenibilità, talvolta la stessa sopravvivenza, dell’impresa.

Ai fini di una corretta pratica di risk management è essenziale dotarsi di una vera e propria climate change risk management policy. 

A seguito di un assessment, ovvero un’analisi del contesto organizzativo (che, è bene ricordarlo, non si limita al perimetro aziendale, ma si estende all’intera filiera e ai principali stakeholder), si procede ad una prima analisi di ‘materialità’ dei rischi (valutando come detto la loro gravità), si identificano specifici KPI idonei a misurarne gli impatti (tornando agli esempi precedenti, possono essere misurate le giornate di interruzione della produzione o di sospensione dell’attività lavorativa, i giorni di interruzione degli approvvigionamenti, i ritardi nelle consegne etc.) per delineare quindi i passi, le misure ed interventi che l’organizzazione intraprenderà per prevenire e mitigare tali rischi-impatti, al fine di sviluppare una solida capacità di gestione dei rischi legati al cambiamento climatico. 

Attraverso la policy, la sua diffusione e un’adeguata opera di formazione e monitoraggio circa la sua corretta implementazione, l’organizzazione è messa in condizioni di gestire efficacemente e di ridurre i rischi, diventando non solo più resiliente, ma sviluppando anche innovazione che nel medio-lungo termine ne garantisce la crescita sostenibile e ne incrementa la competitività.

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Rita Santaniello

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