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Valido l’accordo tacito per la prosecuzione del rapporto del dirigente oltre l’età pensionabile

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​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​Ultimo aggiornamento del 30.10.2025 | Tempo di lettura ca. 3 minuti


​Con ordinanza n. 23603 del 20 agosto 2025, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi in materia di licenziamento per raggiungimento dei requisiti anagrafici per la pensione di vecchiaia, offrendo importanti chiarimenti in ordine alla possibilità di proseguire il rapporto di lavoro oltre i 67 anni anche in assenza di un accordo scritto tra il datore e il dipendente.

I fatti di causa

La vicenda trae origine dal licenziamento di un dirigente di una società operante nel settore del credito, il quale aveva continuato a prestare la propria attività lavorativa anche dopo il compimento dell’età pensionabile, senza che fosse intervenuta alcuna pattuizione formale di proroga del rapporto. Il datore di lavoro aveva pertanto intimato il licenziamento al lavoratore, fondando il provvedimento unicamente sul raggiungimento dell’età pensionabile da parte di quest’ultimo.

Il dirigente impugnava il provvedimento dinanzi al Tribunale di Roma, che rigettava però il ricorso, ritenendo legittimo il licenziamento in mancanza di un accordo espresso sulla prosecuzione del rapporto. Inoltre, lo stesso giudice accoglieva la domanda riconvenzionale della società, condannando il dirigente a restituire alcune somme percepite a titolo di stock option.

La Corte d’Appello di Roma, in riforma della decisione di primo grado, ha invece ritenuto che tra le parti fosse intervenuta una prosecuzione tacita del rapporto di lavoro, desumibile per facta concludentia.
Secondo la Corte territoriale capitolina, la semplice maturazione dei requisiti anagrafici non legittimava automaticamente la cessazione del rapporto, né consentiva al datore di recedere liberamente.

La Corte territoriale, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha dichiarato ingiustificato il licenziamento e condannato la società al risarcimento del danno in favore del lavoratore, riconoscendogli un’indennità pari a 18 mensilità più ulteriori 4, oltre al riconoscimento delle stock option maturate, dei premi di produzione e del valore d’uso dell’auto aziendale fornitagli in uso.

La decisione della Cassazione

Il datore proponeva ricorso per cassazione, sostenendo che, una volta raggiunta l’età pensionabile, il rapporto potesse essere liberamente risolto in assenza di una specifica richiesta di prosecuzione da parte del lavoratore.

La Suprema Corte, chiamata a pronunciarsi, ha respinto il ricorso, confermando la decisione della Corte d’Appello. Secondo i giudici di legittimità, la normativa vigente consente la prosecuzione del rapporto di lavoro anche oltre i 67 anni, fino al limite dei 70, ma tale prosecuzione non è automatica: essa richiede un consenso delle parti, che può tuttavia risultare anche da fatti concludenti.

Richiamando la consolidata giurisprudenza sul tema, in particolare la nota sentenza delle Sezioni Unite n. 17589 del 4 settembre 2015, la Cassazione ha precisato che la disposizione di cui all’art. 24, comma 4, del D.L. n. 201/2011 (convertito in L. n. 214/2011) non attribuisce al lavoratore un diritto automatico a proseguire il rapporto di lavoro fino al settantesimo anno di età. La norma, infatti, non crea un automatismo tra maturazione dei requisiti anagrafici e prosecuzione dell’attività lavorativa, ma si limita a prevedere condizioni previdenziali di incentivo, consentendo la possibilità, ma non l’obbligo, di prolungare il rapporto entro il limite massimo dei 70 anni.

Nel caso esaminato, la Corte ha tuttavia rilevato che il rapporto di lavoro era proseguito di fatto oltre l’età pensionabile, con il consenso reciproco delle parti desumibile per facta concludentia, ossia dalla prosecuzione della prestazione e dalla sua accettazione da parte del datore. In tali circostanze, ha ricordato la Cassazione, continua ad applicarsi la tutela contro il licenziamento prevista dall’art. 18 dello Statuto dei lavoratori, entro il limite di flessibilità dei settant’anni, restando esclusa la libera recedibilità prevista dall’art. 4 della L. n. 108/1990.

La Corte ha dunque ribadito che, una volta accertata la prosecuzione consensuale, anche tacita, del rapporto, il datore non può risolverlo unilateralmente senza giustificato motivo, dovendo il licenziamento essere sorretto da una causale legittima come in ogni ordinario rapporto di lavoro.

Considerazioni conclusive

La pronuncia conferma un principio ormai consolidato: il raggiungimento dell’età pensionabile non determina automaticamente la cessazione del rapporto di lavoro.

Quando datore e lavoratore continuano a comportarsi come se il rapporto proseguisse, senza alcuna interruzione, si configura un vero e proprio accordo tacito di prosecuzione, con tutti gli effetti che ne derivano, in particolare, la permanenza delle tutele contro il licenziamento illegittimo.

La Cassazione valorizza così il comportamento effettivo delle parti come espressione della loro volontà negoziale, riconoscendo che il consenso può risultare anche da fatti concludenti. 

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