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La nuova disciplina degli eco-delitti nella Terra dei Fuochi: tra sentenza pilota e riforma normativa

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​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​Ultimo aggiornamento del 3.11.2025 | Tempo di lettura ca. 8 minuti


Lo scorso 8 ottobre è entrata in vigore la legge 3 ottobre 2025 n. 147, che ha convertito con modificazioni il decreto-legge “Terra dei Fuochi” dell’8 agosto 2025 n. 116, rubricato «Disposizioni urgenti per il contrasto alle attività illecite in materia di rifiuti, per la bonifica dell’area denominata Terra dei Fuochi, nonché in materia di assistenza alla popolazione colpita da eventi calamitosi».

Premessa

La novella legislativa trae origine dalla sentenza del 30 gennaio 2025 (ricorso n. 51567/14 e altri), resa nella causa Cannavacciuolo e altri c. Italia, con la quale la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha riconosciuto la responsabilità dello Stato italiano per la violazione dell’articolo 2 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (“C.E.D.U.”), ritenendo che non fossero state predisposte misure adeguate e sufficienti a tutelare la vita e la salute dei cittadini residenti nell’area della Regione Campania nota come “Terra dei Fuochi”, interessata da un diffuso fenomeno di inquinamento ambientale derivante dallo sversamento, interramento e abbandono illegale di rifiuti, anche pericolosi, nonché dal loro incenerimento incontrollato.

Nel caso in esame, la Corte ha adottato la procedura della sentenza pilota, prescrivendo allo Stato italiano l’adozione di misure generali volte a porre fine alla violazione accertata dell’art. 2 della C.E.D.U. e a mitigarne gli effetti. In tale contesto, è stato imposto l’obbligo di predisporre una strategia nazionale integrata, finalizzata a: (i) individuare le aree interessate dallo smaltimento illecito di rifiuti, ii) valutare natura ed entità della contaminazione, iii) gestire i rischi ambientali e sanitari, iv) intervenire sulle condotte illecite che hanno generato il fenomeno.

La Corte ha stabilito, dunque, che lo Stato italiano debba attuare tutte le misure richieste entro due anni dalla definitività della sentenza Cannavacciuolo. La gravità della violazione accertata e le scadenze imposte hanno provocato una reazione immediata da parte delle istituzioni nazionali, concretizzatasi in un decreto-legge d’urgenza, poi convertito nella legge n. 147/2025.

Le novità apportate al Testo unico dell’Ambiente e al Codice penale

L’intervento normativo ha trasformato numerose contravvenzioni previste dal Testo Unico Ambientale (D.Lgs. 152/2006, di seguito “TUA”) in delitti, con un conseguente innalzamento del disvalore penale e un ampliamento delle possibilità di applicare misure cautelari personali e reali.
 
Tra le innovazioni più significative si evidenzia l’introduzione di autonome fattispecie incriminatrici per l’abbandono di rifiuti in “casi particolari” (art. 255-bis TUA) e per l’abbandono di rifiuti pericolosi (art. 255-ter TUA), che si affiancano al rafforzamento delle disposizioni relative alla gestione abusiva (art. 256 TUA), alla discarica non autorizzata e alla combustione illecita di rifiuti (art. 256-bis TUA). In tutti questi casi, le condotte sono ora punite con pene detentive più severe e con l’applicazione di sanzioni accessorie, tra cui la confisca obbligatoria dei mezzi utilizzati per la commissione del reato, la sospensione della patente di guida e il sequestro dei veicoli impiegati.

La legge di conversione ha modificato in modo significativo l’impostazione originaria del decreto “Terra dei Fuochi” (D.L. 116/2025), intervenendo sulla disciplina della gestione non autorizzata di rifiuti non pericolosi. In origine, questa condotta era stata qualificata come delitto, punita esclusivamente con la reclusione da sei mesi a tre anni, senza possibilità di applicare sanzioni pecuniarie. Tale impostazione, fortemente repressiva, non distingueva tra condotte effettivamente pericolose e violazioni meramente formali. Con la conversione in legge, il legislatore ha scelto di attenuare questo approccio, riportando la fattispecie nell’ambito delle contravvenzioni. Oggi, la gestione non autorizzata di rifiuti non pericolosi è punita con l’arresto fino a un anno oppure con un’ammenda compresa tra 2.600 e 26.000 euro (art. 256, comma 1, del TUA, come modificato). Questa modifica risponde all’esigenza di garantire una risposta penale proporzionata alla gravità della condotta, evitando l’applicazione di pene detentive nei casi in cui non vi sia un impatto ambientale concreto. Inoltre, con il ritorno alla contravvenzione, è stata esplicitamente reintrodotta la possibilità di estinguere il reato attraverso l’istituto dell’oblazione ambientale, previsto dagli articoli 318-bis e seguenti del TUA: ovvero se il responsabile elimina le situazioni di danno o pericolo e versa una somma pari a un quarto del massimo dell’ammenda (oppure la metà, in caso di sanatoria tardiva), il procedimento penale si estingue. Questo meccanismo deflattivo consente di chiudere il procedimento in modo rapido ed efficace, incentivando la regolarizzazione spontanea delle condotte illecite.

Sul piano codicistico, l’art. 131-bis c.p. è stato modificato per escludere la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto in relazione alle nuove fattispecie ambientali. Questa scelta normativa risponde all’esigenza di evitare che condotte potenzialmente lesive dell’ambiente possano essere considerate penalmente irrilevanti, anche quando il danno non si sia ancora concretizzato. 

L’art. 452-sexies c.p., relativo al traffico o abbandono di materiale ad alta radioattività, è stato riformulato: la pena è aumentata fino alla metà qualora il fatto comporti pericolo per la vita o la salute pubblica, oppure si verifichi in siti contaminati. Contestualmente, è stato abrogato il terzo comma. Analoga previsione è stata introdotta nell’art. 452-quaterdecies c.p., che disciplina il traffico organizzato di rifiuti: anche in questo caso, un nuovo comma prevede l’aumento fino alla metà della pena nelle medesime circostanze aggravanti. Particolare rilievo assumono, dunque, le circostanze aggravanti ad effetto speciale, che si attivano non solo in presenza di pericolo per la vita o l’incolumità delle persone, ma anche quando è minacciata l’integrità delle cosiddette matrici ambientali, suscettibili di alterazione o contaminazione. 

Modifiche al D.lgs. 231/2001

Rilevanti, inoltre, le modifiche apportate all’art. 25-undecies del D.Lgs. 231/2001, che hanno reso la responsabilità amministrativa degli enti un elemento cardine della compliance ambientale. 

Innanzitutto, le imprese devono interfacciarsi con un significativo ampliamento delle fattispecie: oltre agli eco-delitti già previsti dal Codice penale (artt. 452-bis, 452-quater, 452-sexies c.p.), la nuova versione dell’art. 25-undecies include reati derivanti dal TUA come l’abbandono di rifiuti in “casi particolari” (art. 255-bis), l’abbandono di rifiuti pericolosi (art. 255-ter), la gestione abusiva o discarica abusiva (art. 256), la combustione illecita (art. 256-bis) e la spedizione illegale (art. 259). A tali condotte si aggiungono reati codicistici come l’impedimento al controllo (art. 452-septies c.p.), l’omessa bonifica (art. 452-terdecies c.p.) e l’attività organizzata per traffico illecito di rifiuti (art. 452-quaterdecies c.p.). Ciò significa che condotte un tempo sanzionate solo in via amministrativa o come contravvenzioni assumono oggi rilevanza penale diretta, traducendosi automaticamente in responsabilità per l’ente.

Sul piano del trattamento sanzionatorio, il Legislatore ha previsto un vero e proprio inasprimento delle pene: le sanzioni pecuniarie per i reati presupposto ambientali vedono un’estensione delle quote massimo fino a 1.200 (oltre il tetto di 1.000 previsto dall’art. 10 D.Lgs. 231/2001). In parallelo, si amplia l’uso delle sanzioni interdittive (art. 9 e art. 16 D.Lgs. 231/2001), con misure quali la sospensione dell’attività, l’esclusione da contratti pubblici e, nei casi più gravi, l’interdizione definitiva dell’ente.

Un altro elemento di rilievo della riforma è l’introduzione della punibilità per colpa ambientale. Il nuovo art. 259-ter del TUA punisce i delitti collegati alla gestione dei rifiuti non solo se commessi con dolo, ma anche in caso di negligenza, imprudenza o imperizia, riducendo le pene da un terzo a due terzi. 
Misure urgenti in materia di pene accessorie

Con particolare riferimento alle pene accessorie, assume particolare rilievo l’inserimento, in sede di conversione, dell’art. 2-bis recante “Misure urgenti in materia di pene accessorie”.

Tale nuova previsione normativa stabilisce, al comma 1, che le persone condannate con sentenza definitiva per i delitti di inquinamento ambientale, disastro ambientale, traffico e abbandono di materiale ad alta radioattività nonché attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, non possano ottenere, per un periodo non inferiore ad un anno né superiore a cinque anni, benefici quali: i) licenze e autorizzazioni di polizia e di commercio; ii)concessioni di acque pubbliche e diritti ad esse inerenti nonché concessioni di beni demaniali allorché siano richieste per l'esercizio di attività imprenditoriali; iii) iscrizioni negli elenchi di appaltatori o di fornitori di opere, beni e servizi riguardanti la pubblica amministrazione, nei registri della camera di commercio per l'esercizio del commercio all'ingrosso e nei registri di commissionari astatori presso i mercati annonari all'ingrosso; iv) attestazioni di qualificazione per eseguire lavori pubblici; v) altre iscrizioni o provvedimenti a contenuto autorizzatorio, concessorio o abilitativo per lo svolgimento di attività imprenditoriali, comunque denominati; vi) contributi, finanziamenti o mutui agevolati ed altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o dell'Unione europea, per lo svolgimento di attività imprenditoriali.

Inoltre, al comma 2 del medesimo articolo, è previsto che la misura interdittiva comporti, altresì, la decadenza di diritto dalle licenze, autorizzazioni, concessioni, iscrizioni, attestazioni, abilitazioni ed erogazioni di contributi pubblici, nonché il divieto di concludere contratti pubblici di lavori, servizi e fornire, di cottimo fiduciario e relativi subappalti e subcontratti, compresi i cottimi di qualsiasi tipo, i noli a caldo e le forniture con posa in opera.

Misure di prevenzione e modifiche al Codice antimafia

Sempre in sede di conversione è stato altresì modificato e integrato l’articolo 5, recante “Modifiche all’articolo 34 del Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159”.

Con tale aggiunta, è stato ampliato l’ambito dei reati che possono comportare l’applicazione dell’amministrazione giudiziaria di aziende e beni prevista dall’art. 34 del Codice antimafia. 
Oltre ai reati di stampo mafioso, infatti, sono stati inseriti numerosi reati ambientali previsti dal Codice penale e dal TUA.

È stato inoltre introdotto il comma 1-bis che consente al Procuratore della Repubblica del luogo di dimora del soggetto indagato di proporre l’amministrazione giudiziaria di aziende o beni, qualora vi siano indizi che l’attività economica possa agevolare reati ambientali. Questa misura di prevenzione mira a impedire la prosecuzione di attività illecite da parte delle imprese coinvolte. L’estensione della competenza rafforza il controllo territoriale, rendendolo più capillare ed efficace.

Conclusioni

Per concludere, la legge n. 147/2025 costituisce senza dubbio un passaggio cruciale nell’evoluzione della disciplina dei reati ambientali, rafforzando il sistema sanzionatorio e ampliando la responsabilità degli enti. L’intervento legislativo, sollecitato dalla sentenza Cannavacciuolo, inaugura così una nuova stagione di tutela ambientale, fondata su prevenzione, trasparenza e rafforzamento delle garanzie sostanziali e procedurali. Si tratta di un cambiamento che incide profondamente sull’architettura normativa, segnando un deciso avanzamento verso una giustizia ambientale più efficace e strutturata.

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