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Prezzi più alti grazie al geoblocking, multa UE da 40 milioni a Guess

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Dal 3 dicembre l’Unione Europea ha vietato il cosiddetto geo-blocking ovvero quell’insieme di pratiche con cui i negozi online limitano gli acquisti dei clienti che si collegano da altri Paesi dell’Unione Europea.

 

Nello specifico, i negozi online applicavano ai clienti di altri Paesi condizioni di vendita diverse oppure rimandavano gli stessi clienti automaticamente su siti registrati nei loro Paesi di provenienza. Ora, invece, per chi si trova in un Paese dell’Unione Europea è possibile fare acquisti online su tutti i siti di e-commerce dei Paesi dell’Unione Europea, senza essere bloccati perché non si risiede nello stato del venditore o perché si effettua il pagamento con una carta di credito di un altro Paese. Il regolamento sul geo-blocking fa parte di una serie di nuove regole per l’e-commerce che mirano a creare un mercato unico digitale europeo.


Relativamente a questo tema, ne sa qualcosa la nota catena di distribuzione GUESS. Infatti,  nel 2017, l'Antitrust Ue aveva aperto un'inchiesta sugli accordi di distribuzione e le pratiche imposte da Guess a commercianti e distributori, contestando gli obblighi sulla pubblicità online, i limiti territoriali di vendita e le imposizioni sui prezzi al dettaglio. Dall'inchiesta è emerso che, grazie a questi accordi, i prezzi al dettaglio dei prodotti Guess nei paesi dell'Europa centrale e orientale (Bulgaria, Croazia, Estonia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Polonia, Repubblica ceca, Romania, Slovacchia e Slovenia) erano in media dal 5% a 10% più alti che in Europa occidentale. La Commissione ha poi comminato una sanzione pari a 39.821.000 euro, che è stata successivamente ridotta del 50% dopo che Guess ha deciso di collaborare con la Commissione.

 

L’8 gennaio scorso, l’Autorità Garante della concorrenza e del mercato ha rilasciato un comunicato stampa nel quale ha informato di quanto segue.


Nella riunione del 20 dicembre 2018, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha sanzionato per oltre 93 milioni di euro il gruppo Enel e per oltre 16 milioni di euro il gruppo Acea per aver abusato della propria posizione dominante nei mercati della vendita di energia elettrica in cui offrono il servizio pubblico di maggior tutela. In particolare, l’istruttoria ha accertato che sia Enel -almeno a partire dal gennaio 2012 e almeno fino al maggio 2017-, sia Acea -almeno dal 2014 e fino a tutto il 2017- hanno raccolto i consensi privacy dei clienti serviti in maggior tutela per essere contattati a scopo commerciale e hanno poi utilizzato tali liste “consensate” per formulare agli stessi clienti tutelati offerte mirate volte a far stipulare loro un contratto sul mercato libero. Tali condotte risultano idonee ad alterare le dinamiche competitive nei confronti degli altri venditori, che non posseggono le stesse prerogative ma che necessitano anch’essi, per competere, di rivolgersi al bacino della clientela tutelata. La domanda più attuale che mai è la seguente: siamo consapevoli di quanto vale in termini sociale ed economici il nostro consenso al trattamento dei dati personali?

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Nadia Martini

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