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COVID-19 – ultimi orientamenti in materia di rinegoziazione dei contratti di locazione commerciale

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Aggiornamento del 30.10.2020 | Tempo di lettura ca. 6 minuti


Come noto, con il recente Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (DPCM), firmato in data 24 ottobre 2020, sono state nuovamente previste diverse misure volte a contenere l’ulteriore diffusione del virus COVID-19, limitando l’esercizio di alcune attività commerciali.


In particolare, il predetto provvedimento ha imposto la sospensione delle attività di palestre, piscine, centri benessere e termali (art. 1 lett. f) ed imposto il contingentamento degli orari di apertura per bar, ristoranti, pub, i quali potranno svolgere l’attività esclusivamente nella fascia oraria 5-18 (art. 1 lett. ee).

In un simile scenario,  per gli esercenti le attività commerciali sopra elencate, tali misure comporteranno – nell’immediato – un notevole impatto sui fatturati e sul reale volume di affari con conseguenti e prevedibili difficoltà posto che, a seguito del lockdown della scorsa primavera e dei molteplici investimenti effettuati per l’adeguamento dei locali (es. sanificazioni straordinarie, dispositivi di protezione individuale/igienizzante, riduzione della capienza dei locali per ottemperare all’obbligo di distanziamento interpersonale), i costi fissi di gestione sono diventati maggiormente onerosi per gli imprenditori. 
 
Ferma restando la possibilità di usufruire delle misure di ristoro a fondo perduto recentemente introdotte dal D.L. 137/2020 (cd. Decreto Ristori), per far fronte alle menzionate problematiche è stata altresì prevista l’estensione della cassa integrazione per ulteriori 6 settimane, il blocco dei licenziamenti sino al 31 gennaio 2021, la sospensione del versamento degli oneri contributivi ai lavoratori per il mese di novembre e, per ultimo – ma non in ordine di importanza – l’estensione ai mesi di ottobre, novembre e dicembre del credito di imposta per i canoni di locazione commerciale.

Con riferimento a quest’ultimo tema, si registrano plurime pronunce da parte dei tribunali italiani in merito agli interessi contrapposti tra gli esercenti attività commerciali – e che pertanto conducono in locazione degli spazi commerciali e sostengono i relativi canoni – ed i proprietari/locatori di tali immobili che hanno l’aspettativa che il conduttore continui a pagare il canone come originariamente concordato.

Il quesito principale ha ad oggetto la possibile qualificazione dell’emergenza epidemiologica alla stregua di una ipotesi di forza maggiore tale da giustificare un adeguamento (più o meno forzoso) ed una rimodulazione dei canoni di locazione. 

Sul punto, a far data dalla situazione determinatasi con il lockdown della scorsa primavera (situazione che almeno parzialmente si sta nuovamente verificando), vi sono state alcune interessanti pronunce che – anche in modo controverso – hanno stabilito alcuni principi che possono essere di interesse per chi dovesse (nuovamente) trovarsi nella situazione di discutere, con il proprietario degli immobili in cui viene svolta l’attività commerciale, un adeguamento dei canoni di locazione.

Si segnalano, in particolare, i seguenti orientamenti:

Tribunale di Venezia, Sezione I 28/07/2020 

Il locatore ha intimato lo sfratto per morosità al gestore di un bar con riferimento al contratto di locazione avente ad oggetto un immobile ad uso commerciale. La parte intimata è comparsa, opponendosi allo sfratto, rilevando che la morosità è dipesa dall’impossibilità di utilizzare l’immobile a causa delle limitazioni imposte dalla normativa sanitaria di contrasto alla diffusione dell’epidemia da Covid-19.

Il Tribunale ha osservato come per il periodo da marzo 2020 a maggio 2020, nel quale l’esercizio di plurime attività commerciali è stato sospeso, non possa parlarsi di un'impossibilità assoluta di godimento dell'immobile locato, ma di una mera – per quanto significativa – impossibilità parziale, dal momento che l'unità immobiliare è rimasta pur sempre nella disponibilità del conduttore ed è stata utilizzata quantomeno con funzione di ricovero delle attrezzature e delle materie prime relative all'attività di ristorazione. Riconoscendo quindi la sussistenza di tale impossibilità (seppur parziale), il Tribunale ha quindi negato la tutela immediata richiesta dal locatore, intimando le parti di proseguire il giudizio secondo le forme ordinarie per un più approfondito esame delle rispettive posizioni. 

Tribunale di Roma, Sez. V 25/07/2020 

Con ricorso in via cautelare, il conduttore di un immobile adibito a negozio all’interno di un centro commerciale ha richiesto al giudice la risoluzione del contratto di affitto di ramo di azienda o, in subordine, la sospensione del canone di locazione, in ragione delle perduranti difficoltà di esercitare l’azienda a causa delle limitazioni imposte dalla decretazione di emergenza.

Il tribunale ha rilevato come nel caso di specie, sussista una ipotesi peculiare di impossibilità parziale della prestazione. La prestazione del locatore è infatti divenuta impossibile quanto all'obbligo di consentire al conduttore, nei locali aziendali, l'esercizio del diritto di svolgere attività di vendita al dettaglio, ma è rimasta possibile, ricevibile ed utilizzata quanto alla concessione del diritto di uso dei locali, seppure in maniera limitata quale funzione di fruizione del negozio quale magazzino e deposito merci. Pertanto, il riflesso sull'obbligo di corrispondere il canone sarà dunque quello di subire, ex articolo 1464 Codice Civile una riduzione destinata, tuttavia, a cessare nel momento in cui la prestazione del locatore potrà tornare ad essere compiutamente eseguita.

All’esito di tali considerazioni, il Tribunale ha quindi rigettato il ricorso in quanto la richiesta del conduttore non ha ad oggetto una mera proroga dei termini di adempimento o una rinegoziazione dei canoni bensì un completo esonero dall’eseguire la prestazione per un determinato periodo di tempo.

Tribunale di Roma, Sez. VI 27/08/2020 

Una società che gestisce due ristoranti nel centro di Roma, ubicati in locali da essa condotti in locazione, ha agito in giudizio nei confronti del locatore per inibire a quest’ultimo l'escussione di una fideiussione bancaria a garanzia di adempimento del pagamento del canone mensile.

A fondamento della domanda, il conduttore assume di aver subito, nel periodo in questione, a causa del lockdown, una brusca contrazione degli introiti, a causa della interruzione dell'attività provocata dalle note circostanze, e, così, di non aver potuto pagare il canone.

Il giudice ha affermato che, sulla base del canone generale di buona fede e correttezza (articolo 1375 Codice Civile), la parte che riceverebbe uno svantaggio dalla prosecuzione del contratto secondo la sua formulazione originaria a causa del sopravvenire di un evento pandemico deve avere la possibilità di rinegoziare il contenuto del contratto medesimo.

Il giudice ha pertanto accolto la domanda, inibendo al locatore di escutere la garanzia e, in aggiunta, disposto la riduzione dei canoni di locazione del 40% per i mesi di aprile e maggio 2020 e del 20 % per i mesi da giugno 2020 a marzo 2021.

Al fine di chiarire i dubbi interpretativi circa la materia contrattuale all’interno dell’attuale contesto emergenziale è recentemente intervenuta la Corte di Cassazione la quale, con la relazione n. 56 dell’8 luglio 2020, ha avuto modo di precisare che qualora l’equilibrio contrattuale sia stato alterato dall’evento pandemico – “limitare la tutela della parte svantaggiata alla risoluzione e al risarcimento del danno significherebbe demolire il rapporto contrattuale”. 

In tale ottica, secondo la Cassazione, la parte svantaggiata – in caso di eventi che comportano uno squilibrio contrattuale – deve poter usufruire di un rimedio che porti nuovamente in equilibrio il rapporto senza tuttavia risolverlo ai sensi di quanto dall’articolo 1467 Codice Civile in caso di eccessiva onerosità sopravvenuta. 

La Cassazione ha quindi individuato – quale parametro normativo – l’obbligo di interpretare il contratto secondo buona fede ed il canone della buona fede oggettiva di cui agli articoli 1366 e 1375 Codice Civile. Dunque, secondo la Cassazione, al verificarsi di talune circostanze eccezionali sopravvenute (come, ad oggi, l’evento pandemico), la rinegoziazione del contratto deve essere considerata come un diretto corollario del generale obbligo di buona fede e di cooperazione tra le parti nella fase esecutiva del contratto, aprendo in tal modo la strada ad un ulteriore rimedio rispetto alla risoluzione del vincolo contrattuale. 

Occorre, in ogni caso, procedere ad una valutazione case by case per verificare concretamente l’entità dello squilibrio sussistente ai fini dell’individuazione dei rimedi effettivamente esperibili.

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