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Gli elementi immateriali del franchising in Italia

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​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​​Ultimo aggiornamento del 16.04.2024 | Tempo di lettura ca. 12 minuti



Il successo della rete di franchising dipende non soltanto dagli elementi tangibili del contratto di franchising, ma anche e soprattutto dagli elementi immateriali che lo contraddistinguono. 

Tra questi assumono un ruolo di notevole importanza il marchio, che consente l’individuazione del franchisor e della sua rete all’interno del mercato, e il know-how che consiste nell’insieme delle conoscenze acquisite e sviluppate dal franchisor che gli affiliati possono sfruttare per godere dei vantaggi economici già presenti nel mercato e associati ai prodotti o servizi offerti. 

Il marchio

Tra gli elementi immateriali, il marchio riveste un ruolo di cruciale importanza. Infatti, il marchio è un elemento imprescindibile, poiché svolge un ruolo fondamentale nella promozione dei prodotti e dei servizi e consente, quindi, di determinare il successo della rete di franchising. Ciò mostra, dunque, come il marchio non sia solo un mero “segno distintivo” che il franchisor attribuisce alla propria rete ma rappresenta proprio l’immagine commerciale con cui la rete di franchising si accredita all’interno del mercato di riferimento.

Proprio il ruolo fondamentale che il marchio svolge per la rete di franchising impone al franchisor di tutelarlo in maniera adeguata ed efficace rispetto agli altri competitors. Tuttavia, nella scelta del proprio marchio, il franchisor deve rispettare la normativa di riferimento contenuta nel Codice della Proprietà Industriale (in seguito anche solo “CPI”), introdotto in Italia con il D. Lgs. 30 del 2005.

Ebbene, all’art. 7 del CPI il legislatore italiano ha stabilito quali sono i requisiti che il marchio deve avere per poter essere costituito e di conseguenza registrato. Più precisamente, la norma in parola stabilisce che “Possono costituire oggetto di registrazione come marchio d'impresa tutti i segni, in particolare le parole, compresi i nomi di persone, i disegni, le lettere, le cifre, i suoni, la forma del prodotto o della confezione di esso, le combinazioni o le tonalità cromatiche, purché siano atti:
  1. a distinguere i prodotti o i servizi di un'impresa da quelli di altre imprese; e
  2. ad essere rappresentati nel registro in modo tale da consentire alle autorità competenti ed al pubblico di determinare con chiarezza e precisione l'oggetto della protezione conferita al titolare”. 

In sostanza, il legislatore ha stabilito che il marchio deve avere delle caratteristiche tali da consentire la corretta individuazione dei prodotti e servizi offerti dal franchisor e deve essere idoneo a consentire la distinzione di questi prodotti da quelli offerti da altri competitors. Sebbene la registrazione del marchio non sia prevista obbligatoriamente dalla legge, è comunque raccomandato al franchisor di procedervi. Infatti, solo la registrazione di un marchio consente al suo titolare di esercitare i diritti disciplinati all’art. 20 del CPI, tra cui vi è anche quello di impedire che terzi non autorizzati utilizzino un marchio simile o identico. In questo modo, il titolare del marchio potrà assicurare l’esclusività e l’identità della propria impresa sul mercato. 

A seconda dell’uso che il franchisor intenda fare del proprio marchio, ovvero della strategia economica che intenda perseguire, potrà scegliere se registrare il marchio a livello nazionale, comunitario o internazionale. Una volta effettuata la scelta territoriale, dovrà, poi, individuare la categoria di prodotti o servizi per cui intende registrare il proprio marchio. Una volta fatte queste scelte, prima di presentare la domanda all’Ufficio di riferimento, il franchisor dovrà svolgere una verifica preventiva per accertare che il proprio marchio possieda il requisito della “novità”. Il franchisor deve, infatti, verificare che il proprio marchio non sia identico o simile ad un marchio anteriore già registrato all’interno del territorio di riferimento per prodotti o servizi analoghi o affini a quelli prescelti. Ne deriva, dunque, che la registrazione di un marchio potrà essere effettuata solo qualora la verifica prodromica abbia prodotto esito negativo e, quindi, solo dopo che il franchisor abbia accertato che non vi siano altri marchi anteriori, identici o simili, registrati sullo stesso territorio e per la stessa tipologia di prodotti o servizi.

A tal riguardo, occorre tenere presente che i diritti di uso di un marchio sono validi esclusivamente nel territorio dello Stato nel quale è stata effettuata la registrazione. È quindi fondamentale per il franchisor che intenda creare un rete di franchising in Italia o che dall’Italia intenda esportare la propria rete di franchising all’estero, operare la corretta scelta nella registrazione del marchio.

La tutela del marchio su più territori può avvenire attraverso i. una serie di registrazioni “singole”, da compiersi presso i diversi Uffici nazionali dei marchi di tutti i paesi in cui si vuole ottenere protezione, ii. attraverso la registrazione del marchio europeo, avente validità in tutta l’Unione, iii. ancora, attraverso la registrazione di un marchio internazionale.

Il marchio registrato a livello Europeo ha validità in tutti i Paesi dell’Unione Europea e si estende automaticamente ai nuovi ingressi. La domanda di registrazione deve essere presentata all’EUIPO (Ufficio dell’Unione Europea per la proprietà intellettuale), e la registrazione avrà validità decennale. La registrazione a livello comunitario del marchio potrà essere rinnovata, alla scadenza per ulteriori dieci anni, e così via senza limiti di tempo.

Da ultimo, per quanto riguarda la registrazione internazionale del marchio, occorre chiarire che in verità non esiste un marchio avente validità internazionale, bensì è possibile procedere ad un’estensione internazionale del marchio registrato a livello nazionale o europeo, in tutti i Paesi che hanno aderito al Trattato di Madrid. Questa estensione a livello internazionale del marchio è da effettuarsi attraverso l’Ufficio WIPO (World Intellectual Property Organization) di Ginevra. In questo caso, il franchisor che intenda registrare il proprio marchio a livello internazionale, dovrà indicare nella domanda i paesi per cui chiede l’estensione e la tutela del proprio marchio. Per i paesi che invece non hanno aderito al Trattato di Madrid sul marchio internazionale, il franchisor dovrà procedere mediante singole registrazioni da effettuarsi presso l’Ufficio nazionale brevetti del paese in cui intenda allargare la propria rete in franchising.

Una volta registrato il proprio marchio, il franchisor avrà l’onere di svolgere un monitoraggio costante sui registri di riferimento, volto ad accertare che non vi siano terzi soggetti competitors che stanno violando i diritti del franchisor. Il monitoraggio costante dei registri consente al franchisor che dovesse accertare la sussistenza di una violazione di agire tempestivamente a tutela dei propri diritti. 

Pur mantenendo la titolarità del marchio, la legge consente comunque al franchisor di trasmettere a terzi l’uso del marchio e i relativi diritti. Questa trasmissione avviene con la licenza d’uso, mediante la quale il franchisor concede l’uso del proprio marchio e dei segni distintivi al franchisee. La licenza d’uso è uno degli elementi costitutivi del contratto di franchising che, da un lato garantisce a tutti gli affiliati l’uso del marchio di cui è titolare il franchisor e, dall’altro lato, assicura al franchisor il vantaggio di moltiplicare ed estendere l’impatto della propria impresa all’interno della rete. L’uso del marchio scelto dal franchisor è obbligatorio per tutti i franchisees che sono tenuti ad utilizzarlo sul mercato nell’ambito delle operazioni commerciali inerenti alla rete ma, allo stesso tempo, a rispettarne i requisiti e gli standards. Proprio per queste ragioni, è imprescindibile inserire nel contratto di franchising delle clausole risolutive espresse volte ad attuare tutte le cautele necessarie per inibire l’uso del marchio da parte dei franchisees che violino o danneggino il marchio del franchisor. 

Volendo concludere, dunque, il marchio rappresenta l’immagine commerciale dell’impresa sul mercato ed il suo uso è il primo fattore di espansione della catena di franchising. L’uso del marchio garantisce notorietà all’intera rete che potrà sfruttarne l’effetto sinergico proprio della fattispecie di franchising.

Il know-how​

Altro elemento immateriale che contraddistingue il contratto di franchising rispetto ad altre figure contrattuali affini è il know-how che consente al franchisee di sfruttare il vantaggio competitivo acquisito dal franchisor sul mercato rispetto ad eventuali competitors.

La definizione del know-how​

Con il termine know-how si intende “un patrimonio di conoscenze pratiche non brevettate derivanti da esperienze e da prove eseguite dall'affiliante, patrimonio che è segreto, sostanziale ed individuato”. La definizione di know-how è contenuta nell’art 1, comma 3, lett. a) della Legge n. 129/2004 con cui il legislatore italiano ha recepito il Regolamento europeo n. 4087/1988. Com’è agevole verificare, il know-how ha un contenuto di vario genere e consiste, in linea di massima, nel complesso di competenze, informazioni e conoscenza di cui il franchisor è titolare e che sono necessarie ed indispensabili al corretto svolgimento dell’attività all’interno della rete. Proprio in considerazione di ciò, il franchisor trasferisce il proprio know-how al franchisee con il cd. “franchise package” mediante accordi di trasferimento o di licenza. Dal canto suo, il franchisee corrisponde al franchisor un corrispettivo, la franchise, che può essere pattuito in misura fissa o variabile, a seconda degli accordi e della tipologia di know-how che si intende trasferire. 

Questo patrimonio di conoscenze, condivise, consente a tutti gli utilizzatori di avere un vantaggio concorrenziale in un determinato contesto economico, punto di forza della fattispecie di franchising.

La trasmissione del know-how ​

Ferma restando la necessità che il franchisor trasferisca al franchisee il know-how, la legge italiana non impone alcuna regola in merito alla modalità di trasmissione. Tuttavia, per prassi consolidata, si ritiene che la modalità più “sicura” per la trasmissione del know-how sia quella di predisporre un manuale operativo che viene inserito tra gli allegati al contratto di franchising, divenendo parte integrante.

Il vantaggio di utilizzare un manuale operativo risiede nella possibilità di indicare in modo chiaro ed esauriente tutto quanto necessario per lo svolgimento dell’attività e per lo sfruttamento delle competenze e conoscenze pregresse. Tuttavia, perché il manuale operativo possa essere compreso al meglio, anche nell’ottica di ottenere il vantaggio competitivo proprio del know-how, è necessario che questo non si riduca ad un mero elenco o alla mera enunciazione di formule generiche e che contenga l’indicazione chiara e intellegibile degli standards qualitativi propri dell’intera rete di affiliati.

L’unico limite che incontra la trasmissione scritta del know-how risiede nella necessità di trasmettere anche delle conoscenze pratiche; in questo caso, però, la tendenza è quella di organizzare dei training o dei corsi di formazione che consentano al franchisor di trasmettere oralmente tali conoscenze. In tal senso, spesso e volentieri, nei contratti di franchising sono previste delle sessioni formative organizzate dal franchisor proprio al fine di consentire una corretta formazione della rete di affiliati. In questa ipotesi, la tendenza è quella di organizzare dei training formativi per tutta la durata del contratto di franchising e che consentano un continuo aggiornamento degli affiliati e del loro personale di pari passo con lo sviluppo dell’attività di impresa e della rete. In tal senso, infatti, nell’ambito della propria attività, il franchisor è libero di apportare modifiche al know-how purché, però, ne dia pronta informazione ai propri affiliati e consentendogli un immediato accesso al nuovo know-how.

L’importanza e la necessità che il know-how venga trasmesso dal franchisor al franchisee trova conferma nell’art. 3, comma 4, della L. 129/2004 con cui il legislatore ha previsto l’obbligo di indicare specificamente il “know-how fornito dall’affiliante all’affiliato” e “le eventuali modalità di riconoscimento dell’apporto di know-how da parte dell’affiliato”. Ne deriva, dunque, che qualora il know-how non venga trasmesso o qualora questo risulti insufficiente ai fini dell’esercizio dell’attività, il contratto di franchising dovrà intendersi nullo per indeterminatezza dell’oggetto. In questa ipotesi, dunque, il franchisee avrà anche il diritto a chiedere la restituzione di tutte le somme eventualmente corrisposte al franchisor e a chiedere il risarcimento del danno eventualmente patito.

La tutela del know-how

Da quanto sopra risulta evidente il ruolo fondamentale che riveste il know-how, ossia quell’insieme di conoscenze diffuse e sviluppate negli anni dal franchisor - business formula – e che rappresentano il cuore del business dell’impresa. È indispensabile, quindi, per le imprese proteggere il loro know-how, evitando che questo possa andare disperso o che possa essere divulgato ad altre imprese competitors. Per tale ragione, dunque, il know-how deve essere oggetto di specifiche clausole di riservatezza che vengono inserite all’interno del contratto di franchising e che si estendono, oltre che ai franchisees, anche ai loro dipendenti. Peraltro, queste stesse clausole continuano a produrre i propri effetti oltre il limite temporale di durate del contratto di franchising. Infatti, il dovere di segretezza e di riservatezza sopravvive al contratto di franchising e impone, quindi, al franchisee di tutelare di preservare il valore economico del know-how. A differenza della licenza per l’uso del marchio, la quale cessa con il venir meno della licenza connessa al rapporto di franchising, nel caso del know-how la difficoltà che si incontra è quella di definire i contorni del divieto di utilizzazione da parte dei franchisees una volta che il contratto viene meno.

Proprio al fine di garantire un livello di tutela elevato, accanto alla normativa codicistica, volta a reprimere le condotte di concorrenza sleale, il legislatore ha introdotto anche delle regole specifiche all’interno del CPI e dirette a tutelare e proteggere il know-how e i segreti commerciali. Più precisamente, per poter accedere a queste forme di tutela, il franchisor deve dimostrare che i) le informazioni trasmesse con il know-how siano segrete e individuate; ii) che il know-how abbia un valore economico e iii) di aver adottato tutte le misure necessarie per garantirne la segretezza.

Una volta che il franchisor avrà dimostrato la sussistenza di questi tre requisiti, allora avrà il pieno diritto di agire in giudizio a tutela delle proprie ragioni e potrà farlo non soltanto avverso le condotte dolose ma anche per contrastare le condotte colpose. Infatti, il legislatore ha previsto che debbano essere soggette a sanzione le condotte di acquisizione, utilizzo e divulgazione del know-how e dei segreti commerciali commesse da soggetti che erano a conoscenza o comunque che avrebbero dovuto essere a conoscenza del fatto che queste informazioni erano state ottenute da un terzo che, a sua volta, le utilizzava o divulgava in maniera illecita. Inoltre, accanto a queste condotte il legislatore ha previsto anche che le sanzioni possano essere irrogate nei confronti di chi abbia prodotto o commercializzato delle merci pur sapendo (o ignorando colposamente) che queste erano oggetto dell’utilizzo illecito dei segreti industriali e del know-how di terzi soggetti.

In conclusione, per garantire una tutela quanto più possibile efficace del know-how, il franchisor dovrà: 
  • Scegliere accuratamente il proprio marchio e registrarlo tenendo conto delle proprie scelte imprenditoriali all’interno del mercato;
  • Prevedere clausole risolutive espresse o sanzioni che tutelino il proprio marchio e l’eventuale uso illecito di questo;
  • Realizzare un manuale operativo per la trasmissione del know-how, descrivendo e fissando in modo chiaro ed esauriente le informazioni che intende trasmettere;
  • Organizzare dei corsi di formazione per gli affiliati, volti all’acquisizione di novità relative al know-how;
  • Conservare le prove di trasmissione del know-how e prevedere delle specifiche clausole di riservatezza volte a tutelare il know-how anche oltre il limite temporale del contratto di franchising;
  • Supervisionare costantemente l’attività dei franchisees, garantendo il corretto uso del marchio e del know-how;
  • ​​Agire tempestivamente, anche in sede giudiziale, qualora dovesse accertare la violazione dei propri diritti inerenti al marchio, ma anche al know-how.
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