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Le vendite on line e l’utilizzo di piattaforme di e-commerce a norma di legge

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Sempre più spesso oggi le imprese dedicano tempo e risorse alle vendite on line, abbandonando i c.d. “brick and mortar shops” e organizzando la propria strategia sales tramite piattaforme di e-commerce.

 

Tali pratiche, sicuramente economicamente vantaggiose per l’imprenditore, portano con sé, però, alcune problematiche legali che devono essere preventivamente analizzate e risolte, non solo con riferimento alla regolamentazione delle condizioni di accesso ed utilizzo dei portali ed alla predisposizione di chiari termini e condizioni di vendita, in compliance rispetto alle normative applicabili, in tema di sicurezza dei prodotti, tutela dei consumatori, sicurezza dei dati e data protection, etc., ma anche ed a volte soprattutto, con riferimento ai temi connessi alla riproduzione dei marchi altrui.

 

L’utilizzo di piattaforme di e-commerce gestite da terzi provider, magari estranei alle reti di distribuzione ufficiali dei beni contrassegnati, ad esempio per le vendite di “seconda mano”, rischia di integrare, se non adeguatamente regolamentata, una condotta di contraffazione di marchio e comunque un atto di concorrenza sleale.


Un bene recante il segno distintivo altrui, infatti, può essere rivenduto on-line, anche al di fuori della rete di distribuzione ufficiale, solo se la prima immissione sul mercato di quel bene è avvenuta ad opera del titolare del marchio o con il suo consenso.


In questo caso infatti, opera il principio dell’esaurimento del marchio, di cui all’art. 5 del c.d. Codice di Proprietà Industriale (CPI), emanato con Decreto Legislativo 10 febbraio 2005, n. 30.


In base a tale principio, il titolare del marchio non può impedire le successive rivendite del bene contrassegnato e il rivenditore può quindi riprodurre il marchio all’interno del proprio sito web o della piattaforma di e-commerce “per identificare o fare riferimento a prodotti o servizi come prodotti o servizi del titolare di tale marchio [...]”, come previsto dall’art. 14 della Direttiva EU 2436/2015, n. 1, lett. c).


Il principio dell’esaurimento del marchio non opera, però, qualora “sussistano motivi legittimi perchè il titolare stesso si opponga all'ulteriore commercializzazione dei prodotti” (v. ancora art. 5, CPI). Qualora ricorrano tali motivi legittimi, da valutarsi caso per caso, la rivendita di prodotti recanti il marchio torna quindi ad integrare una contraffazione di marchio.


In mancanza di specifici accordi diretti con il titolare del marchio o con i distributori autorizzati, è quindi fondamentale per il rivenditore on-line di prodotti contrassegnati dal marchio altrui informarsi su come sia avvenuta la prima immissione in commercio di quegli esemplari e su quale sia il sistema di distribuzione adottato per quei beni, ove possibile, ottenendo adeguata liberatoria e manleva da parte degli altri attori coinvolti nella supply chain.


E’, dunque, sempre preferibile compiere una preventiva disamina dei rischi legali connessi alle pratiche di e-commerce, prima di intraprendere tali attività.


(Fonti: Direttiva EU 2436/2015; D.lgs. 30/2005, Corte di Giustizia dell’Unione Europea, 23 aprile 2009, C- 59/08, in https://curia.europa.eu; Tribunale di Milano, 17 gennaio 2016, in www.giurisprudenzadelleimprese.it; Tribunale di Palermo, 28 febbraio 2013 in banca dati http://pluris-cedam.utetgiuridica.it.)

 

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Margherita Cera, LL.M.

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