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Il lavoratore è tenuto a lavorare nelle festività infrasettimanali?

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Ultimo aggiornamento del 27.04.2021 | Tempo di lettura ca. 4 minuti

La Suprema Corte, con la recente ordinanza 31 Marzo 2021 n. 8958, si è espressa in modo piuttosto tranchant su una questione che, di recente, aveva più volte sollecitato l’intervento degli interpreti e alimentato una schizofrenia decisionale dei Tribunali di merito, refrattari ad allinearsi con l’orientamento della Corte di legittimità.


In particolare, con la decisione citata, la Cassazione ha ritenuto valida ed efficace la clausola inserita nel contratto individuale di lavoro con la quale il dipendente si era obbligato, sin dal momento della instaurazione del rapporto, a rendere la prestazione lavorativa nel corso dei giorni festivi con cadenza infrasettimanale.

La pronuncia in esame, di riflesso, ha altresì affermato il corrispondente diritto datoriale, scaturente dall’accordo individuale, di richiedere (ed esigere) la prestazione lavorativa in tali giornate, sempre nel rispetto dei principi di correttezza e buona fede, con la conseguente possibilità per il datore di esercitare le proprie prerogative eventualmente sanzionando il dipendente che si rifiuti di svolgere la prestazione lavorativa durante tali periodi.

È opportuno segnalare che la decisione della Suprema Corte ha destato non poco stupore tra gli operatori del settore che, sino ad oggi, erano stati pressoché assuefatti dal proliferare di decisioni di merito che affermavano talvolta l’annullabilità, tal altra l’inefficacia delle clausole così formulate e inserite nel contratto individuale di lavoro dei dipendenti, affermando, in sostanza, che il datore di lavoro non potesse esigere sulla base delle proprie esigenze organizzative che la prestazione lavorativa fosse svolta in giornate festive neanche quando il lavoratore avesse manifestato il proprio preventivo consenso, salvo ovviamente un nuovo e specifico accordo intervenuto sul punto.

Le statuizioni di merito sono parse non curanti dell’orientamento della Suprema Corte che aveva ormai da tempo ‘sdoganato’ l’utilizzo dell’accordo individuale, escludendo contestualmente l’idoneità degli accordi collettivi ad abdicare, in difetto di uno specifico mandato in tal senso, a tale diritto soggettivo del dipendente (vds. Cassazione sentenza 15 Luglio 2019, n. 18887).

Tali orientamenti di merito avevano, tuttavia, acuito il ‘conflitto sociale’ tra le parti del rapporto di lavoro, specialmente in quei settori, come quelli del Commercio e della Logistica, nei quali negli anni più recenti la domanda dei consumatori ha imposto orari di apertura sempre più estesi (sia con riguardo all’orario giornaliero che con riferimento al numero di giornate settimanali) e ha reso ‘strutturale’ il fatto che la prestazione lavorativa dovesse essere svolta in orario serale o notturno nonché nel corso dei fine settimana, accrescendo il malcontento dei dipendenti, sostanzialmente costretti a lavorare su turnazione e in periodi che, sino a una decina di anni fa, erano universalmente destinati al riposo e alla condivisione familiare.

Nel caso esaminato, la Suprema Corte è intervenuta a ‘gamba tesa’ sulla questione trovandosi a scrutinare la decisione della Corte d’Appello Venezia che – aderendo alla giurisprudenza di merito prevalente – aveva prospettato la nullità di tali clausole contrattuali.

I vizi rilevati dalla Corte territoriale trovavano forza in una serie di plurimi fattori, quali: la indeterminatezza della clausola contrattuale, la mancanza di un corrispettivo, la posizione di debolezza rivestita dal dipendente al momento della sottoscrizione del contratto di lavoro e la piena quanto unilaterale discrezionalità del datore di lavoro.

In aggiunta a quanto sopra, la Corte di Appello si era comunque spinta ad osservare che ‘una esegesi contrattuale rapportata alla normativa vigente al momento della stipula delle suddette clausole (D.Lgs. n. 114 del 1998) e alla prassi (all'epoca del tutto eccezionale, dell'apertura degli esercizi commerciali nelle giornate festive), portava a ritenere acquisita una generica disponibilità alla prestazione lavorativa, che richiedeva un successivo accordo tra le parti ogni qual volta l'esigenza aziendale veniva rappresentata secondo criteri di correttezza e buona fede’.

Di contrario avviso invece la Suprema Corte che, nel cassare la sentenza di secondo grado, ha invece riconosciuto che: ‘il significato letterale della clausola in questione è (rectius: fosse) univoco e diretto ad attribuire al datore di lavoro, che ha acquisito il consenso del lavoratore, il potere di richiedere la prestazione lavorativa nei giorni festivi (e domenicali), nel rispetto della normativa dettata in materia di riposo settimanale’.

Inoltre, la Cassazione ha altresì precisato che l'oggetto della clausola fosse tutt’altro che indeterminabile e rimesso all’arbitrio della parte datoriale ma, anzi, esso potesse ritenersi ‘inequivocabilmente individuabile mediante il riferimento ai “giorni festivi”, e, dunque, con un esplicito rinvio alla normativa che individua tali giorni (L. n. 260 del 1949)’.

Per concludere, l’ordinanza in esame ha cassato con rinvio la sentenza della Corte d’Appello veneziana enunciando un principio di diritto esaustivo che non pare più lasciare spazio a determinazioni eccessivamente discrezionali dei singoli giudici di merito e secondo il quale: ‘la rinuncia al diritto all'astensione dalla prestazione nelle giornate festive infrasettimanali di cui della L. n. 260 del 1949, art. 2, può essere anche validamente inserita come clausola del contratto individuale di lavoro’ aggiungendo che ‘il diritto del lavoratore ad astenersi dalla prestazione durante le festività infrasettimanali è diritto disponibile e sono validi gli accordi individuali, intercorsi tra lavoratore e datore di lavoro; l'oggetto di detti accordi è chiaramente determinabile mediante il ricorso al riferimento normativo esterno costituito dalla L. n. 260 del 1949; il potere del datore di lavoro di richiedere la prestazione lavorativa nei giorni festivi va comunque esercitato nel rispetto dei principi di buona fede e correttezza’.

Ne consegue che, per evitare strumentali contestazioni da parte dei lavoratori ed eventualmente al fine di poter avviare un valido procedimento disciplinare nei confronti di coloro che si dovessero rifiutare a prestare attività lavorativa durante una festività infrasettimanale, si consiglia di regolare al meglio tale aspetto in una clausola del contratto individuale di lavoro oppure di un successivo apposito accordo, che dovrà essere pertanto redatta con tutti i crismi richiesti dalla Suprema Corte.

Autori:
Massimo Riva - Associate Partner
Stefano Belloni - Senior Associate

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Massimo Riva

Avvocato

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