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Cessione ad altri soci di partecipazioni rivalutate: benefici fiscali e abuso del diritto

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​​​​​​​​​​​​​​​​​Ultimo aggiornamento del 5.05.2025 | Tempo di lettura ca. 6 minuti​


L'atto di indirizzo del 26 febbraio 2025, firmato dal viceministro dell'Economia Maurizio Leo e dal direttore delle Finanze Giovanni Spalletta, chiarisce che non configura abuso del diritto la cessione delle partecipazioni rivalutate in favore (non solo) di soggetti terzi e indipendenti ma anche di altri soci, purché non si tratti di operazioni meramente circolari. 

La disciplina a regime della rivalutazione delle partecipazioni

Come ormai noto, la Legge di Bilancio 2025 ha reso permanente il regime ex articolo 5 della L. 448/2001, il quale consente ai contribuenti di rideterminare il costo fiscale delle partecipazioni attraverso il versamento di un’imposta sostitutiva del 18 per cento entro il 30 novembre del medesimo anno. 

Il legislatore ha inoltre rinnovato la possibilità di effettuare il pagamento in tre rate annuali di pari importo.
Si tratta di un’opzione riservata a persone fisiche, società semplici, enti non commerciali e soggetti non residenti, privi di stabile organizzazione in Italia e in possesso, al 1° gennaio di ciascun anno, di partecipazioni (quotate e non).

Dal punto di vista operativo, il valore di riferimento sul quale applicare l’imposta sostitutiva:
  • è determinato da una perizia giurata di stima per quanto concerne le partecipazioni non quotate (c.d. “valore periziato”);
  • è calcolato sulla base della media aritmetica dei prezzi rilevati nel mese di dicembre dell’anno precedente con riferimento alle partecipazioni quotate (c.d. “valore normale”).

I contribuenti interessati, per stabilire la convenienza dell’imposizione sostitutiva, effettuano il confronto tra il tax rate del 18 per cento, applicato sul valore normale o periziato, ed il tax rate del 26 per cento, calcolato sulla plusvalenza realizzata in caso di cessione della partecipazione.

L’abuso del diritto nel nostro ordinamento: irrilevanza penale e onnicomprensività

Da quasi un decennio, il D.lgs. 128/2015 (“Decreto”) ha riformato la disciplina dell’abuso del diritto, oggi dettata dall’articolo 10-bis (“Articolo”) della L. 212/2000 (c.d. Statuto dei diritti del Contribuente).

Giova ricordare che, con l’entrata in vigore del Decreto, le nozioni di abuso del diritto ed elusione fiscale sono state incorporate in un'unica definizione.

La previgente normativa, rappresentata dall’articolo 37-bis del DPR 600/73, al contrario, perseguiva le due condotte in modo differente:
  • le operazioni ritenute “elusive” dall'amministrazione potevano integrare reati tributari al superamento delle c.d. “soglie di punibilità”;
  • le operazioni “abusive”, invece, non potevano costituire reato poiché il concetto di "abuso", considerato "immanente" nel nostro ordinamento dalla giurisprudenza, non era espressamente previsto dalla norma.

La nuova disciplina, comma 13 dell’Articolo, sancisce l’irrilevanza penale di tali violazioni anche in caso di superamento delle soglie di punibilità, prevedendo invece l’applicazione delle sole sanzioni amministrative tributarie.

Inoltre, con l’adozione del Decreto, l’ambito di applicazione dell’abuso del diritto si estende alla totalità dei tributi presenti nel nostro ordinamento e non più alle sole fattispecie espressamente elencate all’ interno dell’articolo 37-bis del DPR 600/73.

Entrando nel merito, al primo comma l’Articolo stabilisce che la realizzazione di una o più operazioni prive di sostanza economica, che rispettano formalmente le norme fiscali ma mirano essenzialmente a ottenere vantaggi fiscali indebiti, configura un abuso del diritto. Tali operazioni non sono quindi opponibili all'Amministrazione, che può rideterminare i tributi basandosi sulle disposizioni e sui principi elusi.

Sulla base di quanto appena asserito e in estrema sintesi, si configura abuso del diritto quando un’operazione:
  • comporta un vantaggio fiscale indebito, ossia un beneficio ottenuto in contrasto con lo spirito delle norme fiscali o con i principi dell’ordinamento tributario;
  • è priva di sostanza economica, ovvero gli strumenti giuridici utilizzati non sono coerenti con le normali logiche di mercato e non producono effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali;
  • realizza essenzialmente un vantaggio fiscale, che deve risultare predominante rispetto ad altre finalità economiche dell’operazione.

Questi tre elementi devono essere presenti contemporaneamente affinché un’operazione possa essere qualificata come abusiva.

I recenti chiarimenti del MEF circoscrivono l’ambito applicativo dell’Abuso del Diritto anche nelle operazioni di cessione delle partecipazioni rivalutate 

L’atto di indirizzo del Ministero dell’Economia e delle Finanze del 26 febbraio 2025 (c.d. Atto), fornisce importanti chiarimenti in materia di abuso del diritto, compiendo un ulteriore passo nella definizione dei criteri da adottare per la corretta individuazione delle operazioni potenzialmente abusive.

In via preliminare, l’Atto ribadisce la differenza tra evasione fiscale ed abuso: la prima implica una violazione diretta delle norme tributarie, mentre il secondo si configura quando un’operazione, pur rispettando formalmente la legge, ne tradisce la sua finalità.

Viene inoltre sottolineata l’importanza del principio di libertà negoziale del contribuente chiarendo che la scelta tra diversi regimi fiscali previsti dalla normativa, se non integra i requisiti dell’abuso, è sempre lecita anche quando comporta il conseguimento di un legittimo risparmio d’imposta.

Non configura quindi abuso del diritto il comportamento che il contribuente abbia adottato, rispettando lettera e ratio delle norme, in vista del futuro riconoscimento di un vantaggio tributario: in questa prospettiva, va inquadrata la rivalutazione delle partecipazioni al fine di ridurre il prelievo sulla plusvalenza emergente dalla successiva cessione a terzi delle stesse.

Infatti, con la disciplina della rivalutazione delle partecipazioni, il legislatore consente di incrementarne il costo fiscalmente riconosciuto attraverso il versamento di un'imposta sostitutiva, al fine di ridurre o azzerare il prelievo sulle plusvalenze realizzate mediante la successiva alienazione delle stesse.

A tale scopo, vengono fornite agli Uffici chiare indicazioni metodologiche allo scopo di agevolare una corretta ed uniforme applicazione dell’Articolo.

In particolare, l’Amministrazione finanziaria deve seguire una precisa sequenza logica:
  • verificare l’esistenza di un vantaggio fiscale indebito;
  • accertare l’assenza di sostanza economica;
  • dimostrare che il vantaggio fiscale è l’elemento essenziale dell’operazione.

Se il vantaggio fiscale non è indebito, l’analisi si deve sempre ed in ogni caso interrompere e l’operazione non può essere qualificata come abusiva. 

Qualora invece l’Amministrazione finanziaria ritenga di trovarsi di fronte ad un abuso, il contribuente può difendersi dimostrando l’esistenza di valide ragioni extrafiscali non marginali che giustifichino l’operazione.

Muovendo dalle considerazioni di cui sopra, assume particolare rilievo l’endorsment in merito alla cessione di partecipazioni rivalutate, con riferimento alla quale l’Atto presta il proprio consenso anche nel caso in cui la cessione avvenga in favore di altri soci (c.d. recesso atipico). In particolare, a livello dottrinale si è soliti distinguere tra c.d. recesso tipico e c.d. recesso atipico.

Il recesso tipico, prevede che la società rimborsi il valore della partecipazione seguendo le ordinarie regole in materia di liquidazione del socio; in conformità alla prassi consolidata, non è consentito usufruire della rivalutazione fiscale dei valori e si applica quindi l’imposta sostitutiva del 26 per cento.

Diversamente, nel recesso atipico, che presuppone che la cessione a titolo oneroso avvenga in favore di altri soci, è possibile beneficiare della rivalutazione dei valori ex articolo 5 della L. 448/2001.

La disciplina fiscale della rivalutazione non pone infatti alcun limite formale e non sottopone ad obblighi particolari la dismissione delle partecipazioni rivalutate; pertanto, il valore volontariamente affrancato ben potrà essere utilizzato per ridurre il prelievo sulle plusvalenze realizzate non solo in sede di quantificazione delle plusvalenze imponibili da cessione a soggetti terzi e indipendenti rispetto al cedente, ma anche in sede di cessione della partecipazione a favore di altri soci.

L’Atto chiarisce tuttavia che l’operazione in oggetto non deve assumere carattere meramente circolare, la transazione non deve cioè riportare i soggetti coinvolti nella situazione di partenza, ma deve modificare la situazione patrimoniale degli attori coinvolti producendo effetti economici sostanziali.

Conclusioni

L’Atto fornisce ai contribuenti e all’Amministrazione finanziaria criteri chiari per individuare le fattispecie potenzialmente abusive, contribuendo a rafforzare la certezza del diritto in materia. Il principio cardine rimane la libertà del contribuente di optare per la soluzione fiscalmente più vantaggiosa, a condizione che le operazioni abbiano una reale sostanza economica e rispettino le finalità e i principi degli istituti e delle norme tributarie. Nell’ambito specifico dell’operazione di cessione di partecipazioni rivalutate, è stato chiarito che non configura abuso del diritto la cessione delle stesse a favore di terzi, soci inclusi. ​​​​​

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