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L’obbligazione “climatica”

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​Ultimo aggiornamento del 12.09.2022 | Tempo di lettura ca. 3 minuti


Nel corso di questa estate, noi tutti abbiamo toccato con mano i gravi effetti dovuti al cambiamento climatico. 

Si fa riferimento, in particolare, al caldo torrido e alla gravissima siccità che ha causato perfino la risalita sino a 30 km nell’entroterra del cuneo salino nel delta del Po’, causando gravi danni all’agricoltura, stimati in sei miliardi di euro, pari al 10 per cento del Pil agricolo. 

Chi ha la responsabilità per tali danni? Sicuramente comportamenti più coscienziosi da parte di tutti posso contribuire alla limitazione del problema. Ma elevando lo sguardo – per esempio a livello normativo – notiamo come in capo agli Stati sono previsti veri e propri obblighi di garanzia e di azione per la tutela dell’ambiente. 

Esiste, infatti, ampia e diffusa giurisprudenza, nazionale e sovrannazionale, che, dopo aver inquadrato nell’alveo dei diritti fondamentali della persona anche il diritto alla salvaguardia e alla tutela dell’ecosistema “mondo”, individua in capo agli Stati un’obbligazione c.d. “climatica”, consistente in specifici obblighi di attivazione per la tutela dell’ambiente e per il contenimento dei cambiamenti climatici.

Ad esempio, in una recente pronuncia della Corte costituzionale tedesca del 2021 (Neubauer c. Germania) i Supremi Giudici hanno affermato la responsabilità giuridica dello Stato tedesco che non si è adoperato per “il perseguimento della massima ambizione nella eliminazione dei gas serra dall’atmosfera”. 

O ancora, la Corte di Giustizia Europea ha condannato la Repubblica polacca per non aver adottato misure concrete atte a prevenire l’inquinamento acustico e ambientale dovuto al passaggio di tir e altri mezzi pesanti in una zona rurale del Paese. 

Anche lo Stato italiano è coinvolto in una causa davanti al Tribunale di Roma in cui gli viene contestata l’inerzia dimostrata difronte ai cambiamenti climatici, nonché la violazione di accordi internazionali sul clima ai quali lo Stato italiano ha aderito in proprio e quale membro dell’Unione Europea.
Sulla base di queste considerazioni, si può ritenere lo Stato italiano responsabile anche dei danni occorsi a causa della siccità. 

Infatti, basti pensare che l’Italia è tra le ultime in Europa ad investire in risorse per la realizzazione di bacini di raccolta dell’acqua che possano compensare alla mancanza d’acqua proveniente dalle montagne.
Ed inoltre, le Autorità italiane hanno dimostrato di non aver saputo regolare, in relazione all’emergenza siccità, le quote di prelievo dell’acqua dal fiume Po’ degli impianti a monte, conseguentemente danneggiando i campi agricoli o altri impianti di prelievo a valle. 

Da ultimo, si consideri che il Pnrr ha previsto lo stanziamento di fondi per migliorare l’irrigazione dei campi con lo scopo di predisporre linee di irrigazione che consentano un risparmio dell’acqua impiegata fino al 60 per cento. 

Tuttavia, è evidente che l’intervento in questione è manifestamente tardivo, profilandosi anche in questo ultimo caso delle responsabilità per il ritardo delle disposizioni normative atte a tutelare l’ambiente e ad evitare i danni dovuti al cambiamento climatico. 

Da quanto brevemente esposto, quindi, emerge che ci possono essere dei casi in cui i danni sofferti dalle imprese siano strettamente connessi all’inadempimento dell’obbligazione climatica da parte dello Stato, che quindi potrebbe essere chiamato a risponderne anche in sede giudiziale. 

Autore:
Fabrizio Pitton - Associate

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