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L’asimmetrico trattamento fiscale della correzione degli errori contabili: urge un ripensamento

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Ultimo aggiornamento del 6.10.2022 | Tempo di lettura ca. 5 minuti


Come è già stato osservato (si vedano “Correzione degli errori contabili semplificata anche ai fini IRAP” del 23 luglio 2022 e “Errori contabili con rilevanza fiscale nell’anno della correzione” del 22 giugno 2022), l’art. 8 comma 1 lett. b) del DL 73/2022 (c.d. “decreto semplificazioni”) ha modificato l’art. 83 comma 1 del TUIR, in riferimento al trattamento fiscale dei componenti di reddito rilevati a seguito della correzione di errori contabili, allo scopo (principale) di semplificare le modalità con le quali dare evidenza tributaria agli errori commessi.

In passato l’Amministrazione finanziaria aveva mantenuto valida nel tempo l’interpretazione secondo cui la correzione di un errore contabile relativa ad un esercizio precedente non dovesse incidere sul risultato economico dell’esercizio in cui l’errore veniva scoperto e rilevato. 

Tale orientamento, riportato nella circolare n. 31/2013, poneva le proprie basi in alcune sentenze della Corte di Cassazione asserenti l’inderogabilità del principio di competenza, affermando che al contribuente non fosse consentito scegliere il periodo d’imposta nel quale poter dedurre un costo, dovendo necessariamente rispettare i principi di cui all’art.109 del TUIR (si rimanda in particolare alle sentenze della Corte di Cassazione n. 1648 del 24 gennaio 2013; n. 10981 del 13 maggio 2009; n. 16819 del 30 luglio 2007; n. 24474 del 17 novembre 2006 e n. 16198 del 27 dicembre 2001). 

In sostanza, applicando i principi della circolare n. 31/2013 e tenendo conto dell’allungamento del periodo temporale durante il quale è possibile presentare dichiarazioni dei redditi “a favore” introdotto dal DL 193/2016, è invalso un complesso meccanismo di presentazione di dichiarazioni integrative “a cascata” che consentiva di far emergere il componente positivo o negativo di reddito nell’anno corretto di competenza, riliquidando le imposte dovute per tutte le annualità successive.

Con le modifiche apportate all’art. 83 del TUIR dal DL 73/2022 tale procedura non è più necessaria.

Semplificando in modo radicale la questione, il legislatore è intervenuto introducendo una deroga ulteriore al principio di competenza fiscale, stabilendo che nel caso di correzione di errori contabili l’esercizio di competenza dei medesimi non è più quello originario dell’anno in cui si è verificato il presupposto del componente di reddito, ma è quello in cui si rileva l’errore. In tal modo si ottengono tre risultati utili per i contribuenti:
  • si evita la presentazione di dichiarazioni integrative a cascata;
  • si allinea il risultato di esercizio civilistico a quello fiscale;
  • si rendono inapplicabili le sanzioni per la tardiva dichiarazione dei componenti positivi - almeno così pare di poter concludere - purché non intercorrano contestazioni da parte dei verificatori fiscali prima che sia presentata la dichiarazione dei redditi relativa all’anno in cui l’errore è stato rilevato.

Circostanza, quest’ultima, che a ben vedere è in linea con l’impianto sanzionatorio di stampo penalistico introdotto con il DLgs. 472/97: non dovrebbe essere punibile un errore involontario cui si è posto rimedio prima ancora che il fisco se ne accorgesse (artt. 5 e 6 del decreto legislativo).

Tuttavia, la norma reca una disposizione non neutrale, che sembra non tener conto dei principi generali del diritto tributario (ovvero la capacità contributiva e l’esigenza della decadenza dei periodi d’imposta accertabili): infatti, i componenti negativi possono essere dedotti nell’esercizio di rilevazione solo nel caso in cui non sia scaduto il termine della dichiarazione integrativa, mentre i componenti positivi vengono tassati nella dichiarazione dell’esercizio di rilevazione dell’errore indipendentemente dal fatto che si riferiscano ad annualità per cui sono scaduti i termini per l’esercizio dell’attività di accertamento.

Tale discrasia di trattamento tra componenti negativi e componenti positivi determina l’insorgere di una situazione che potrebbe rilevarsi fortemente penalizzante per i contribuenti, consentendo potenzialmente all’Amministrazione finanziaria di rivedere in aumento il reddito dei periodi d’imposta altrimenti chiusi.

Durante l’attività di verifica l’Agenzia potrebbe, infatti, imbattersi in un componente positivo di reddito non dichiarato per una annualità decaduta ma riconducibile ad un caso di errore contabile che era riconoscibile nell’anno d’imposta oggetto di verifica. 

Siccome il nuovo testo dell’art. 83 del TUIR non si limita ad incidere sull’aspetto procedurale (che invece pare aver ispirato il legislatore), ma incide proprio sulla competenza temporale dell’errore allocandolo nell’esercizio in cui è stato (o avrebbe potuto essere, diciamo noi) riconosciuto, il rischio da scongiurare è quello per cui possano elevarsi contestazioni per l’anno oggetto di verifica altrimenti non più sollevabili. 

Lo stesso rischio è evidenziato da Federholding nella nota n. 5/2022.

A questo punto potrebbe essere utile chiedersi se siano davvero favorevoli al contribuente le novità apportate all’art. 83: da un lato è stato semplificato il processo di correzione degli errori, ma dall’altro lato il carattere “mutabile” dei termini di decadenza a seconda del segno della posta reddituale (positiva o negativa) relativa alla correzione rischiano di esporre il contribuente ad una eccessiva imprevedibilità e incertezza dovuta alla teorica durata infinita del termine di accertamento, con annesse problematiche in fase di una eventuale difesa (si pensi, ad esempio, ad accertamenti per errori relativi a periodi di imposta per i quali non è più disponibile la documentazione perché scaduti i termini di conservazione).  

A nostro avviso sarebbe, quindi, meglio intervenire sulla norma regolando gli errori nello stesso modo, indipendentemente dal loro segno algebrico.

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