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I principali fenomeni di Italian Sounding nel mondo agroalimentare

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Ultimo aggiornamento del 15.10.2021 | Tempo di lettura ca. 4 minuti


La cultura agroalimentare italiana segna il successo del Made in Italy nel mondo, soprattutto con riferimento all’affermazione di una concezione dell’“italianità” come sinonimo di prelibatezza e qualità. 

La relazione tra cibo, cultura e ambiente costituisce per l’Italia un fortissimo fattore identitario e un mezzo di attrazione della clientela nazionale ed estera: il “fatto in Italia” diviene così motivo d’orgoglio e di valorizzazione dell’identità italiana. 

Il legame tra prodotti alimentari e l’Italia genera quindi un importante valore economico che, in misura sempre crescente, determina la proliferazione di fenomeni di imitazione che sfruttano in maniera indebita cultura e tradizione non proprie e arrecano, nel contempo, danni di non poco conto alle nostre eccellenze alimentari.

Si tratta, in altre parole, del fenomeno del c.d. “Italian sounding”, che consiste in particolare nell’utilizzo di simboli, immagini e parole che possano far ritenere che un alimento sia italiano pur non essendo stato prodotto in Italia.

L’Italian sounding costituisce oggi la più sviluppata e subdola forma di imitazione del Made in Italy in ogni comparto dell’industria e specialmente nel settore agroalimentare. 
Si pensi infatti che, a livello mondiale, il valore del falso Made in Italy agroalimentare raggiunge i 100 miliardi di euro l’anno (di cui 23 mld. nei soli USA). 

Qualche esempio di un prodotto Italian sounding

Un prodotto Italian sounding è tale in virtù o dell’utilizzo di espressioni lessicali che rimandano all’italianità o in forza di una particolare presentazione del prodotto (packaging, forma, colori e loro combinazione) che induca la clientela a ritenerlo un prodotto Made in Italy mentre in realtà non è cosi.
 
Rientrano in tale fattispecie, ad esempio:
  • l’uso di nomi di fantasia che storpiano quelli della denominazione di origine di famosi prodotti italiani, come ad esempio i vini Barollo, Montecino e Vinoncella, smaccatamente evocativi rispettivamente del Barolo, del Montalcino e del Valpolicella;
  • l’utilizzo di marchi che “suonano” come italiani, come i formaggi Belgioioso e Progresso o le conserve di pomodoro Scalfani e Cento, tutti prodotti negli Stati Uniti; 
  • l’utilizzo delle traduzioni di nomi italiani, come accade per le denominazioni Grana Padano o Parmigiano Reggiano spesso tradotte in “Parmesan”, “Parmesao”, “Regianito”; oppure l’utilizzo di alcuni termini che fanno parte della denominazione di origine o dell’indicazioni geografica protetta, come ad es. l’utilizzo in Germania dei nomi “Balsamico“ e „Deutscher Balsamico“ per aceto che non corrisponde alle caratteristiche del “Aceto Balsamico di Modena”;
  • l’uso del tricolore o di immagini che richiamano l’Italia, come la Torre di Pisa o il Colosseo;
  • accompagnare, al nome del prodotto, l’aggettivo Italian o il sostantivo Italy.

Le categorie più colpite sono: formaggi, pasta, sughi per pasta, pomodori pelati e conserve di pomodori, olio d’oliva, aceti, salumi e affettati, vino, aceto balsamico, pizze surgelate, etc., fino alla polenta.

Quando l’Italian sounding deve ritenersi illecito e quali sono le forme di tutela

L’Italian sounding deve ritenersi illecito allorché determini:
  • la violazione diretta o indiretta di una indicazione geografica protetta;
  • si traduca comunque in un inganno del consumatore circa la provenienza del prodotto.


Quanto agli strumenti di tutela, possiamo menzionare, con riferimento alla prima ipotesi:

  • la disciplina internazionale in tema di indicazioni di provenienza e denominazione di origine contenuta nella Convenzione di Unione di Parigi (CUP) del 1883, nell’Accordo di Madrid del 1891 e nell’Accordo di Lisbona del 1958;
  • la disciplina comunitaria in tema di DOP e IGP contenuta nel Regolamento UE n. 1151/2012;
  • gli articoli 29 e 30 del Codice della Proprietà Industriale a tutela delle indicazioni geografiche e denominazioni di origine.

Con riferimento, invece, alla seconda ipotesi:
  • la disciplina della concorrenza sleale e in particolare il divieto di appropriazione di pregi di cui all’articolo 2598 n. 2 del Codice Civile;
  • l’articolo 517 del Codice Penale che vieta la vendita di prodotti industriali con segni mendaci e le norme in tema di tutela del Made in Italy;
  • gli articoli 7 e 26, paragrafo 2, lettera a) del Regolamento UE n. 1169/2011, la cui violazione viene sanzionata come illecito amministrativo ai sensi dell’art. 13, comma 1 del D.Lgs. n. 231 del 15/12/2017: ai sensi di tali norme è vietato, fornire - attraverso l’etichettatura o la pubblicità - informazioni sugli alimenti idonei a indurre in errore i consumatore sulle loro caratteristiche, tra cui il paese d’origine o il luogo di provenienza;
  • gli articoli 20 ss. del Codice del Consumo, che vietano le pratiche commerciali scorrette, tra cui le comunicazioni idonei a trarre in inganno i consumatori circa l‘origine geografica di un prodotto alimentare;
  • il nuovo comma 1-bis dell’art. 144 del Codice della Proprietà Industriale introdotto dal D.L. n. 34/2019 (Decreto crescita): le pratiche di Italian Sounding sono state qualificate come “atti di pirateria” e sono sostanzialmente equiparate alla contraffazione;
  • l’inserimento all’interno degli accordi bilaterali di libero scambio di clausole che vietino l’evocazione.

Alla luce di quanto sopra, è chiaro che siamo di fronte ad un fenomeno che danneggia non solo i consumatori, ma soprattutto le aziende che producono ed esportano prodotti italiani autentici e di qualità.
 
In questo contesto ad alto rischio si rivela quindi fondamentale segnalare gli abusi tutelandosi tempestivamente, riducendo rapidamente la perdita di fatturato derivante da questa pratica illecita prima che possa consolidarsi e risultare, inevitabilmente, devastante.

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Isabella Corrias

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